p. 68-71 > Erratici, disperse e altre poesie 1937-2011 di Andrea Zanzotto

Erratici, disperse e altre poesie 1937-2011 di Andrea Zanzotto

Marco Ricciardi

 

zanzotto erratici cop

 

     Nell'anno delle celebrazioni per il centenario della nascita e il decennale della morte di Andrea Zanzotto si sono (come è naturale in questi casi) moltiplicate le occasioni di incontri, seminari ed iniziative editoriali dedicati al poeta veneto. In questa ottica  va sicuramente inquadrata la recente pubblicazione di Erratici, disperse e altre poesie 1937-2011 a cura di Francesco Carbognin. Il  volume raccoglie, come il curatore sottolinea, «il cospicuo ed eterogeneo corpus delle liriche pubblicate tra il 1937 e il 2011 circolate nelle più svariate sedi editoriali (riviste e quotidiani, volumi collettanei, opuscoli, libri e cataloghi d'arte, piastrelle e piatti di maiolica impressa a serigrafia) e rimaste disperse, non essendo confluite in alcuna delle raccolte edite in volume né nell'edizione mondadoriana di tutte le poesie del 2011: liriche rinvenute dopo una lunga ricerca cui ha dato decisivo impulso la consultazione del materiale presso l'Archivio privato Andrea Zanzotto custodito a Pieve di Soligo»(p.VI-VII). 

     Operazione complessa che, bisogna darne atto al curatore, ha messo a disposizione di addetti ai lavori e appassionati un corpus editoriale piuttosto consistente (un centinaio di composizioni) di un Zanzotto collaterale, disperso in pubblicazioni (o addirittura supporti in alcuni casi) di difficile reperibilità, e che l'autore aveva confinato, in qualche modo, nella dark side del proprio corpo poetico non inserendole nelle raccolte principali. Un lavoro di cui, questo va detto, potrà sicuramente apprezzare meglio il valore chi già possiede una conoscenza non superficiale della poesia di Zanzotto e dal quale potrà cogliere interessanti spunti, sia per un approfondimento filologico delle raccolte pubblicate in vita dell'autore, sia per arricchire di nuove sfumature, sfaccettature e variazioni alcuni nuclei espressivi e stilemi dell'autore già in qualche modo familiari. Ad aprire Erratici ad esempio «si colloca una silloge rappresentativa della preistoria lirica zanzottiana, la cui stampa (30 dicembre 1937) invita a arretrare agli anni del liceo le indicazioni cronologiche (1938-1942) fornite dall'autore in riferimento ai Versi giovanili raccolti in Tutte le poesie»(p. VII). Sono poesie stilisticamente ancora immature, troppo debitrici di una certa tradizione letteraria (Petrarca, Metastasio, ma anche il “contemporaneo” Pascoli di cui Zanzotto è avido lettore in quegli anni giovanili) ragione per cui, con tutta probabilità, l'autore non le ha volutamente incluse nel suo corpus poetico “ufficiale” ritenendole non “all'altezza”. Eppure in qualche modo,  post hoc ergo propter hoc, queste liriche possono assumere per noi un qualche interesse tanto biografico quanto filologico nel potenziare l'esplorazione sull'ontogenesi stilistica del poeta veneto, proprio nella misura in cui (come ci sottolinea appunto il curatore) «sembra possibile individuarvi, col senno del poi, alcuni tra i più caratteristici motivi dell'intera esperienza poetica zanzottiana» (p.IX) ed in particolare la centralità del rapporto del soggetto con il passaggio naturale e antropico in cui è immerso, con le sue stratificazioni storiche, mitologiche e culturali (le «Prealpi trevigiane, il lunghi cordoni collinari a Nord di Pieve di Soligo, Valmareno, sagre e processioni locali […]»)(ibidem). Interessante dal nostro punto di vista anche il fatto che queste liriche giovanili, in qualche modo “rimosse” dall'autore, abbiano esplicitamente a tema il rapporto amoroso con una donna concreta, seppure idealizzata e «trasformata in musa»  per “inaccessibilità” o per l'incapacità del timido Zanzotto adolescente di instaurare con lei una comunicazione nel mondo “reale” (come Zanzotto stesso ricorda in una interessante intervista di Marco Paolini; vedi Ritratti, Andrea Zanzotto, Fandango, 2007 p. 32).  Idealizzazione che nella poesia ancora acerba del giovane poeta  serve quindi a «restaurare il vuoto che c'è nel mondo, attraverso la trama dei versi, dei ritmi...però all'inizio c'era il vuoto, c'era il no, la negazione»(Ritratti, op. cit. p.33). L'oggetto di questa dinamica tra impeto e negazione amorosa sarà poi (nel corpus zanzottiano “ufficiale” sopravvissuto all'autocensura)  distolto da una creatura femminile in carne ed ossa e prevalentemente introiettato in elementi del paesaggio di volta in volta diversi, che pian piano acquisiscono una valenza “erotica”, soprattutto a partire da La beltà (Mondadori, 1968).  Proprio in quest'ottica, quasi a segnalare un piccolo pudore autoriale, non ci sembra casuale che altri testi (in cui il tema amoroso o erotico è più esplicitamente legato ad un femminile umanizzato e desublimato dal paesaggio) siano presenti in questo volume di disperse. Tra queste, per relativa eterodossia tematica e stilistica, vanno sicuramente segnalate (tra le altre) la Ballata dell'escursione termica -10 +33 (pp. 164-165),  Veronica c'è (su motivi celentaniani)(pp.175-177), e la Canzoncina del ring e della tenzone misteriosa (pp. 190-191). Risalendo cronologicamente tra le disperse di Erratici troviamo alcune liriche che rientrano nell'orbita stilistica di Dietro il paesaggio, la prima raccolta pubblicata dal poeta nel 1951.  Interessante la nota di Zanzotto (inserita in appendice in riferimento a Trasfigurati palazzi) che secondo Carbognin consente  (in questa ed altre poesie coeve  inserite in Erratici) «di districare, dalla densa coltre degli stilemi ermetizzanti di ascendenza internazionale (Hölderlin, Rimbaud e Campana […] da Baudelaire a Mallarmé, da Trakl a Rilke a Eluard a Lorca) cifrate allusioni alla Storia collettiva dei tragici eventi bellici»(pp. IX-X).

     Interessante sia perché più esplicita (ed in qualche modo fuori da questa introiezione simbolista delle vicende storiche nella heimat del paesaggio tipica di quegli anni) sia perché probabilmente, come ci segnala il curatore, è «la più antica attestazione di poesia dichiaratamente “civile” in Zanzotto»(p.X), sono i versi di  Neve rossa,  legati ad un episodio della resistenza di cui il poeta ha avuto esperienza diretta: «Oggi la neve sul bianco del collo/ha un filo di sangue/ che esce dalle vene/di dieci cuori acuti come denti/di dieci morti/che hanno ascoltato la rossa neve/ che ieri camminavano sulla neve[...]»(p.31). Nell'area affine alle due raccolte successive (Vocativo  del '57, Mondadori; IX Ecloghe del '62, Mondadori) sono da  ascriversi alcune poesie scritte tra il '58 e il '63: tra queste va sicuramente segnalata L'Aprile dell'uomo volto indietro in cui «microstoria privata [la morte della sorella Angela e dell'amico partigiano Antonio Adami n.d.r.]e Storia collettiva» si proiettano in un paesaggio  «artificioso, estraneo e perturbante» (p.X): «[...] Dove amico frantumato il tuo volto/i tuoi denti e l'amor tuo/volgi il piede tra le alghe/ tra le felci del coma insondabile?[...]»(p.35).

     Le liriche disperse inserite in Erratici del periodo che vanno dagli anni '60 in poi cominciano a convergere stilisticamente con lo Zanzotto maggiore e sperimentale che sbozzola definitivamente nel '68 proprio con la pubblicazione de La Beltà. Vanno per questo segnalate con interesse e curiosità alcune composizioni sui generis come La politica (in sestine di settenari rimati in stile pariniano dedicata all'amico Giacomo Noventa per la sua militanza tra le file del PSU; pp. 39-42) e Per una giovane socialista scomparsa (dedicata ad Augusta da Pozzo, militante socialista; pp. 44-45), due liriche in qualche modo di occasione o se vogliamo “militanti”, in cui il dato di cronaca e la politica entrano più scopertamente fuor di metafora nel verso del poeta di Pieve di Soligo e la trasfigurazione linguistica del reale appare meno ardita rispetto alla produzione coeva.

     Appunti e abbozzi per un'ecloga in dialetto sulla fine del dialetto (pp.147-158) approda alla stampa soltanto nel 2001 ma, come ci sottolinea il curatore, la composizione risale «al  triennio 1969-1971» ed è «un documento di capitale importanza , poiché attesta, in netto anticipo sul poemetto Filò (Edizioni del Ruzante, 1976), che ne assumerà motivi e cadenze, un utilizzo metalinguistico del dialetto ben diverso da quello “mimetico” caratterizzante il Recitativo veneziano e La Cantilena londinese commissionatigli dall'amico Federico Fellini […] per due scene del Casanova»(p.XII).

     La poesia Le crudità (pp.51-52), riproposta qui, esce per la prima volta nel 1977 su “Forum Italicum: a journal of Italian studies” assieme a Faine, dolenzie, ΛΟΓΙΑ. Quest'ultima verrà inserita nella raccolta Fosfeni (Mondadori, 1983). In cambio Le crudità -per stile linguistico e tematiche più vicina agli esiti de La beltà, de Gli Sguardi i Fatti e Senhal (tip. Bernardi 1969 poi in Mondadori 1990) e di Pasque (Mondadori 1973) e per questo probabilmente ritenuta meno organica alle tensioni metafisiche di Fosfeni- rappresenta un altro piccolo capitolo della trasfigurazione del mondo in merce, di quel mondo «che si è fatto noi, roba per noi» (Si, ancora la neve, ne La Beltà op. cit.)  e di una comunicazione ridotta a marketing totalizzante in cui l'essere umano è degradato a soggetto/oggetto da gourmet: «Crudités, petite marmite, mon régal favori/con grangusto saremo crunch e chimo/ senza sapere per chi».(p. 52). Molte di quelle liriche pubblicate a partire dagli anni '80  e rimaste per volontà dell'autore “dietro le quinte” (e che troviamo appunto in Erratici) sono quelle più naturalmente assimilabili allo Zanzotto “sotto i riflettori” delle raccolte coeve e, a nostro avviso, forse tra quelle dal valore assoluto più consistente del volume: sorta di ri-armonizzazioni jazzistiche o di variazioni su nuclei tematici o poetiche lampo (per dirla proprio in termini zanzottiani) che per qualche motivo (ridondanza o eterodossia stilistica o altro) non sono state inserite dall’autore nelle raccolte principali. Tra queste segnaliamo Luci non manifestabili mai (p.87), Come il grande gelo (p.114), 21 Aprile? Aprilbraio (p. 116), Gelo custodito tra vette colli e pianori (p.141) in cui uno dei nuclei tematici più presenti nelle raccolte di questi anni (la dialettica tra eros e logos, tra stasi trascendente del gelo/zero assoluto e l'entropia dell'immanente) è fortemente rappresentato. La cromatografia erotico-psichedelica presente soprattutto in Meteo (Donzelli 1996) ed in Sovrimpressioni (Mondadori 2001) ma che allunga le propaggini fin dentro Conglomerati (ultima raccolta pubblicata in vita dall'autore, Mondadori 2009), è  qui espressa in modo interessante ed originale ad esempio in In ciascuna di queste (p. 83), Papaveri, Poppies, Pavots (p.90), Altri luoghi di haiku (pp. 91-92), Variazioni '94 (pp. 128-129), come pure nella breve serie di simil-haiku dedicata al tobinambur, uno dei fiori-topos botanici (assieme a papaveri, vitalbe, ecc.)  più frequentati dall'ultimo Zanzotto (pp. 122-124); oppure l'agone cromatico-metafisico tra il verde,il viola, il giallo ecc. (colori in queste poesie ormai quasi de-materializzati, de-botanicizzati e trasformati in frequenze di accesso epistemico, in stati/strati di coscienza) che è ben  rappresentato in alcune “varianti notevoli” presenti in Appendice I al testo (in particolare pp. 230-239).

     Centrati invece sulla tematica (così pressante e appassionata  nello Zanzotto senior) del degrado etico-ecologico del mondo contemporaneo sono alcune composizioni brevi degli ultimi anni (pp. 180-184) come ad es.: «Il mondo gira male/ perché cerca di lucrare/ anche sul proprio funerale». (p.184)  oppure  “l'antiglobalista” (in settenari probabilmente di ascendenza pariniana): «Dovunque il guardo giro/immenso caos ti vedo/per l'opre tue mi adiro/ ti riconosco in me./ Il ciel la terra il mare/parlan del tuo strafare/del tuo globalizzare/ma chi, perché, ma che?»(p. 180). Sono versi dallo stile piano, meno criptico,  con un linguaggio che spesso si pone volutamente sul filone condiviso di una tradizione letteraria illustre e “classica”, quasi a sottolineare un bisogno urgente di una comunicazione più esplicita e diretta, elemento chiaramente riscontrabile anche nell'ultimo Zanzotto di Conglomerati. In questi numerosi piccoli frammenti delle disperse c'è anche quella «stessa forma minimale dei numerosi haiku fioriti singolarmente o “a sciami” a partire dalla metà degli anni Ottanta su diversi supporti» e che incarna l'intento «di vietare al Soggetto l'esclusivo monopolio sul Senso»(p. XIV) e che troverà poi la sua agglutinazione editoriale nella pubblicazione postuma di una raccolta dedicata (Haiku for a season, University of Chicago press, 2012, poi in Mondadori, 2019)

     Piccola frattalica raccolta nella raccolta è la serie di versi de Il vero Tema (pp. 200-214; uscita in plaquette e libro d’autore nel 2011 poco prima della scomparsa del poeta) dove alcuni dei motivi attraversati dallo Zanzotto di fine/inizio millennio trovano articolazioni convincenti e di arricchimento armonico. Concludiamo segnalando (anche se un numero certamente maggiore di composizioni meriterebbe una menzione) altre tre poesie in qualche modo “celebrative” e sui generis: Tra vellicchi, sfregolii, tintinni di colori (pp. 72-73) dedicata a Federico Fellini, Su tracce notturne leopardiche (p.125), con chiaro riferimento al poeta di Recanati (più volte e in modo più o meno esplicito, “presente”  nel corpus dell'autore) e il suggestivo remake della poesia Al Mondo, una delle composizioni più iconiche dell'autore contenute ne La Beltà (In memoria di una poesia Al Mondo; pp.185-186).

Andrea Zanzotto, Erratici: disperse e altre poesie, a cura di Francesco Carbognin, Milano, Mondadori, 2021