p. 77-131 Poesie di Peter Gizzi

Poesie di Peter Gizzi

traduzione di Luigi Ballerini e Federica Santini

 

NdR: Il testo originale in lingua inglese non è più disponibile perché in corso di pubblicazione
(p. 99-131)


Trovaposto sconosciuto

Finora abbiamo annunciato
solamente i codici,
in una litania per sopravvivere.
Così parlò l’asfodelo argentato
accanto alla fabbrica in rovina.
l’acqua trasporta i suoni. Il suono continua l’acqua
Il mio soggetto è il vento.
Mettersi all’ombra sotto quel che un albero può fare,
guardare una singola betulla
farsi fulmine e lasciare il cielo a bocca aperta.
Il paesaggio è una cosa costruita,
osservare la mente che si osserva.
Vedere il pensiero, un’ala
nella notte, un lungo rimuginare.
Prendilo, ascolta, la notte funge da orchestra
se la luce si accende.
Il tutto si fa giocoso. Una bacchetta
magica, impellicciata, sopra il nulla.


Ho capito, è valsa la pena lasciare il mondo,
per ritrovarmi in te.
Ce n’è da dire di cose su chi sa
vedere al buio
e ancora di più alla luce quando
non c’è niente da vedere.
Se scrivo della luna
è perché esiste.
Intorno a me non c’è che terra, sono
circondato da fiumi e laghi, pillole e foglie.
Ho visto una vita migliore in lontananza

raggio di sole sul muschio accanto a un amico,
l’aria che si fa dolce la peluria del dente di leone.
Un po’ era reale, un po’ no.
Oggi non li vedo.


Poi dal nulla un respiro.
Un’ombra animalesca nello specchio. Se
ritrovassi tutte le emozioni che ho vissuto
dove le potrei mettere,
e che valore avrebbero
per questo mondo abbattuto.
Era meglio lasciare che la luna si sfaldasse
e concentrarsi sul vero nella musica.
Era meglio lasciare che la musica
si sfaldasse e concentrarsi sul vero della notte.
Come quando ti ho trovata
in fondo ai miei pensieri.
Parlo della gente e
della notte.
La gente dentro la notte.
La notte e ciò di cui siamo fatti.
Le cose e la gente.
Il segnale e il suo rumore.

 

REVISIONARIO

Ho deciso: lascerò che il tempo consumi quel che ho dentro
Anche con i nervi che guizzano, alcune cose
   sono solo ombra.
E che vuol dire?
La musa mi ferisce.
A volte siedo per ore per poi trovar sollievo
   in una parola.
Oggi il mondo non si vede,
L’ho ficcato in un testo mentre mi immagino
   dentro questo paesaggio.

Metto a posto i miei guai, mi volto
   verso ciò che esiste.
Ascolto una vecchia pietra farsi silenzio.
Ecco un sasso coperto di licheni
   Nella foresta muschiosa di me stesso.
Mi piace stare qui nel verde.
Sono io che mi evolvo.
Incontriamo noi stessi nel posto dove siamo.
Resisto, sono un bisbiglio.
Da questo filo pendono preghiere.

Come diavolo fa la natura a buttare l’argilla in arte
   a trasformarla in aria, in un essere che parla.
Ho visto un mondo che era un pomeriggio
Tra le mani ho una nuvola.
Il cielo si riversa nel cielo e riflette l’assoluto
   del lago.
Lo stormo e i suoi nodi d’ombra.

Verso la fine, ho sentito un’allodola.
Il suo trillo mi si è fissato nella mente.
Era come un oggetto che si fa onda.
Un oggetto che si dissolve nel mondo
   così come l’ho trovato.
Illeggibile. Agrammaticale.
Analizzare la velocità di travature e stelle
   che sbocciano qui ai margini.
Che mi chiamano verso casa.

 

ROXY MUSIC

La vecchia lingua ci ricorda la tradizione; ci ricorda le notti, le candele che danzano alle finestre; le brezze miti e profumate; ci ricorda che ormai da tempo la ragazza ci chiede una poesia; più o meno ogni settimana dice, dov’è la mia poesia, non scrivi più, ti sei infiacchito; le rispondo: non importa, quando ti vedo e ci allacciamo e sulla sedia c’è la tua maglietta e la stanza è piena di disordine, che importa la poesia; dopo, quando ti ho vista nello specchio, ho scritto: oggi è morta la poesia.

Ma in qualche modo il mio cuore è lontano e
fluttua là fuori

Afferrati all’aldilà di chi hai amato, è l’unica cosa
    che ti appartiene
Afferrati alla piccola magia del cortile dove seppelliamo
    i pensieri, cose del mondo

Cose del mondo come un aldilà del mondo per seppellire
    la nostra esteriorità che tramonta

Va bene estrarre le ossa dall’aldilà, scarpe piene di polvere,
    Reliquie dell’aldilà

Basta un buco nella poesia e fai cuccù nell’aldilà

Ricostruiscimi una casa di cielo, una memoria che sfuma in canzoni

Basta un cappello della giusta taglia per salutare il vuoto
    che vive nella persona che ami

L’umanità di chi ami, l’amato e il cielo di notte

Forme che fluttuano là fuori e diventano gli amati, l’astratto,
    il tutto

 

ATTI LINGUISTICI PER UN MONDO CHE MUORE

C’è un passero
alla finestra che
becchetta il suo riflesso,
un dio antico
e stanco cerca
di comunicare

mi dà sui nervi

se mi accingo a cantare
il nembo della flora
sotto un cielo un po’ a macchie

se guardo verso la fine
e canto, perché no
adesso canto dal vivo,
pensando, perché no?

ora ascolto e
ricevo e mi
dà nutrimento,
ho sempre fame

se la bellezza
pesa troppo perch’io
possa trattenerla nel mio inverno

e se la biblioteca trabocca di perdite
di meraviglie

mentre si rompe la polis
e getta un’ombra
che tutto mi ricopre,
a pensarci bene

quando calano le ombre
a piccole onde, quando
i materiali che uso
sono immortali e io

ci vivo dentro
un bell’esempio
di testardaggine

a quando mi si spezza la testa
per uno sguardo, mentre i boccioli
argentei del giorno ondeggiano affiatati,
salutando questo cielo aziendale

quando ho detto lavoro
e intendevo la lirica

quando pensavo di averla finita
con la poesia come mezzo
per cogliere il senso della violenza

pensavo di averla finita
con questo mondo di merda
con la sua voce acuta

finita con la voce e
la sbobba che le viene appresso

richiamare l’eredità
del mondo fenomenologico
quando nel libro piove,
persi al mondo
nell’abbondanza del mondo
come ascoltare un violino
quando la figura non è del posto
ma lo è l’emozione

quando tutto è neve
e ciò che ci attende
è un lucchetto di Mesmer mulinante

penavo di averla finita
con la meraviglia
di effimeri giochi d’ombra
il grande progetto e tutto il
resto
pensavo di averla finita
con il tempo e la sua teatralità
la sua brillantezza e tutto il resto

nube a sbuffi, io ti vedo,
divento te
in questo solitario farmi cosa,
qui a mezza luce

quando ho detto voce,
intendevo quella sua grana empia,
che pare un paradiso

significati che sorgono e tramontano,
il cacciatore che avanza
l’orso che indietreggia
e il suono dei loro nomi

la sfilata dei nomi

 

CHE HO VISTO LA LUCE SU NONOTUCK AVENUE

Che ogni nota è una fiamma, e parla una sua lingua materna.

Che tra il pane e la cenere c’è il fuoco.

Che il giorno si gonfia e cresce come un mare

Che qui ci sono nato, tra le sirene e i camion di passaggio, dentro questa poesia

Che dentro le poesie ci va anche dell’altro, come il piccione, il cobalto, i vetri sporchi, il sole.

Che io li ho visti, la pelle dentro il marmo, l’occhio nella pietra.

Che ho addosso informazioni fatte di batteri.

Che sono un portatore.

Che è ignoto, il fantasma del testo.

Che abito vicino a una base aerea militare e nel cielo risuona la morte.

Che il suono al pari di una vecchia poesia può ammazzarci

Che la poesia contiene cose piccole: graffette, garza, patatine, coltelli.

Che il vuoto a volte si sparge sulle colazioni, il macadam sulla strada, le stelle.

Che ho fame.

Che cerco la sapienza dell’antico sicomoro che abita nella valle dove abito anch’io.

Che lo imploro.

Che su di noi passano gli aeroplani.

Che vivo solo nella mia mente qui fuori in una poesia accanto a un albero magico

Che ho visto la luce su Nonotuck e ho sentito il richiamo di una tortora spegnersi in un frullo.

Che quel richiamo era luce tranquilla che illumina una bara

Che mi ha trasformato.

Che oggi il fiume è una camera obscura. alberi che si piegano.

Che canto con brillio metallico, canto il cielo, la canzone, canto il tutto e mi chiedo se morissi torneresti a cercarmi?

 

IL PRESENTE COME ELEGIA COSTANTE

Quegli anni in cui ero vivo, ai tempi delle macchine veloci.

C’erano silhouette in oro e azzurro acceso, anabbaglianti sui segni delle gomme in mezzo al campo— quando i fiori dell’alcea sapevano parlare

C’erano le erbacce in un paesaggio di speranza come c’è una faccia sullo sfondo in un dipinto.

Poi mi sono ritrovato che la poesia voleva farmi del male mentre la scrivevo.

Il cielo c’era ancora ma era inutile—che ne è stato dei fiori azzurri della flox, sulla scena, cangianti.

Sboccia rapido il caso, è un miracolo che ce la facciamo a capirci qualcosa, con il desiderio che l’amore sbuchi da sottoterra.

Arriva la passione da un mondo duro—sono stanco dei crepuscoli, quando la luce si schiaccia e il tempo srotola il suo filo.

Lungo la strada ho scoperto una voce, un sentiero macchiato di sole stretto in una luce antica, un raggio già sbocciato.

Guardalo questo mondo, il suo velo.

 

ARCHEOFONETICA

Sono solo di passaggio in questa voce
Di passaggio tra le strutture molecolari
   Che dicono ciò che sto dicendo
Sono di passaggio nel mondo in questo momento
   e sta andando a fuoco
È sempre andato a fuoco

Ciò che io dico mi sta dicendo
È così che funziona, come un seghetto
Ho l’archivio in bocca e l’archivio va a fuoco
Se vuoi proprio saperlo
Il sole e il corpo e il corpo dentro il sole

Andava così proprio così
Il mondo che mi viene incontro
E il mondo attorno a me
Attorno a me ci sono mondi che lo dicono
   dicono fuoco
Dicono qualcosa o dicono tutto

 

SE LA PROSSIMITÀ ORBITALE FA RABBIRIVIDIRE

Eccole qui le microonde adolescenti
che ti trapassano il corpo urlando
mentre ci scambiamo messaggi.
È proprio adesso che ho bisogno che tu canti
    assieme a me.
Mi faccio strada in una stanza oscura
cerco altre strutture da amare.
Sulla sinistra qualcosa parla
    ma non so cosa.
Il pavimento si spacca e si muove
E non accade solo di notte
Ma anche di giorno quando non ho voglia di
    pensarci su.
Che ho visto un’arancia sanguinella incastrata
    fuori dalla mia finestra.
Che ascolto la luce che mi dice adesso.
Che ascolto il tempo che mi dice, ah.
Devi urlare contro lo spazio strappato e maledetto.
Ti devono stanare dal tuo nascondiglio
    tutto disordine e bagliori.
Ma amo questa palla che sto cavalcando.
Lo strano grumo di metallo e roccia che guizza
attorno ai miei amori e al mio amare.
Il fatto è che io giro e che gira e che tutto
    da vicino sta girando.
Visto da lontano è tutto così ganzo.
La chiamano fisica, mi pare, o le chiamano leggi.
Perché soffriamo, se sono fatte così bene?
Pensavo che il giorno stesse per dischiudersi
Ma mi avvedo adesso che se n’è già andato.
Là fuori la colomba crudele ha una finestra rotta.
Il giorno mi è nemico.
E tu chi sei per me?
Un modo di capire il pavimento?
Il pavimento che mi regge e mi consente
    Di stare in piedi
Non lo so dove andare.
Io, alle cinque di martedì pomeriggio.
Che vuol dire trovarsi in una stanza,
    una qualsiasi.
Il vento batte contro le assi che rivestono la casa.
Ne so abbastanza per capire che il vetro della finestra
resterà rotto chissà per quanto tempo.
Chi ha tempo per certe cose nella canzone?
Si spezza. Sboccia.
La luce che oscilla sulla grana del legno
    a fine pomeriggio.
Nell’amarezza dell’arancia.
Nella bellezza dell’arancia.

 

LIBERA L’OSCURITÀ FANNE NUOVI
LICHENI

Ma ho trovato il modo di dire no
al legno di casa mia

continuava a scricchiolare
non la smetteva di parlare

ho trovato il modo di dire no

devo starmene in piedi
nel calore del legno
fatto dal sole

devo dissolvermi

altrimenti è tutto altrimenti
sono perduto, l’ho detto che

oggi ho visto la frangia della luce
che camminava sul sentiero

l’hai sentito il ridestarsi
dentro il legno, tra gli aghi di pino
e tra i rami

sarà stato il vento o una creatura
sarò qui o sarà già tutto finito

era questo il primo giorno
il giorno del nulla
nell’anno del nulla

mi ha fatto coraggio

con le sue tracce di azzurro,
di nuvole, di balli
e di elettricità

mi ha dato raggi
mai visti prima

che precipitavano
e toccavano le cose

era questo il primo giorno

 

 

NON È CONCLUSIONE QUESTO MONDO

                   per Emily Dickinson

Se guardo fuori dalla tua finestra vedo un’altra finestra
nel cervello rivedo un matrimonio, uno stilo e un solco
una voce che fa dei cenni

se guardo fuori dalla tua finestra vedo un’altra finestra
non sono veri questi alberi crescono dall’aria
sono caduti come polvere sono caduti

Perciò cantare è vedere e una visione è musica
Ho visto corone e diademi, margherite e api, nastrini, pettirossi,
e dischi fatti di neve
effetti che esplodono nella luce a matita

Se guardo fuori dalla tua finestra vedo un’altra finestra
vedo una ragazza e un fuoco, capelli di fiamma e occhi color nocciola
un pubblico nel cielo

Quando il mondo ritorna sarà fatto di suoni registrati
quel cespuglio che tuba sarà chiamato dickinson
si spezzeranno il sillabico, il fricativo, il percussivo il fatico

Dalla tua finestra vedo un’altra finestra
vedo un funerale nell’aria spazio d’alabastro
ci leggo una circonferenza

 

 

ADESSO FA BUIO

Oggi proprio non va, il cielo si rannuvola
e ho perso il segnale.
Non riuscivo a trovare le scarpe e ho pensato
che l’ingigantirsi di un governo dedito
al commercio mi stravolge.
Stamattina cercando le scarpe pensavo
ma dov’è che sto andando?
Non c’è spazio che mi permetta di uscire
da questo cielo chimico.
Così ho pensato di scrivere una poesia.
Ho pensato di darmi all’arte.
Ma le sostanze chimiche si infiltrano dappertutto.
Potessi, lettore, restituirti un sole disegnato
con i pastelli a cera.
Un sole informe nel cielo di carta.
Mi chiedo di quale carta io sia fatto.
Come umano, so bene che è la carta che forma la mia mente.
Una polpa strana che mi ricorda quanto sia lontano.
Quando mio fratello non riusciva più a parlare
gli ho detto, Tommy, ci penso io
anche se non è quello che voglio, canto io al posto tuo.
Quando mio fratello non aveva più voce restavano solo il divano
e il pavimento in legno
il soffitto e una TV di pulviscolo e senza volume.
Quando mio fratello ha perduto la voce io ho perduto la mia infanzia
ho perduto il sole sulla sabbia da qualche parte che non mi ricordo
l’estate del Rhode Island.
Così distante da me stesso in un corpo che non mi ricordo.
Non ricordarsi più il proprio corpo da bambino
non ricordarsi più niente di quello che è successo.
Il sole tormentava anche Van Gogh, e perché no.
Una luce costante lame ardenti che uccidono e curano.
Non mi dà conforto l’invariabilità fredda
delle leggi universali
anche se so che un giorno morirò e va bene così.
Almeno scrivo e già questa è una festa in mezzo al buio.
Una qualità da zombie che mi connette ai morti viventi.
Leggo che ogni istante può diventare occasione di grazia
e penso a ogni istante come a una possibilità per l’arte.
Mi allaccio le scarpe ed eccomi da solo in piedi
in una luce nera come l’inchiostro
Ieri ho visto un Budget Motel proprio accanto
alla Peoples Bank.1
Se le due cose vanno insieme io non l’ho capito.
Anche mio cuore non l’ho capito.
Il clima come il pensiero si disfa in elettricità,
un ricordo ondulato come le matrioske del
mio vuoto spirituale.
Il cielo si spalanca dentro il vuoto.
Pensavo al dolore come a una forma di grazia.
Poi qualcuno mi ha detto che quel che conta dei soldi
È che sono soldi.
Vivo al limite di una circonferenza in espansione
da solo in una luce buia come l’inchiostro
Ecco la pioggia a trasformare il mondo in un applauso senza sosta
Il giorno si spezza in due.
Resta solo il tuono e la casa si sfalda in un rumore
che mi assomiglia.
Sembra che parli la pioggia gelata e argentea
e non mi chiede niente.
Fa solo quel che deve e sa fare nel mattino grigio.
Mi andava bene il materialismo ma
avevo bisogno di mistero.
Mi sono fatto un sacco di domande sul
perché i giorni si sfilano
e rifiutano la vita, accettano la perdita.
È tutto uno spettacolo insensato.
L’intero me stesso che si occupa di poesia
e l’arroganza che ne consegue.
La voglia di trascrivere la solitudine
Perché invece non affrontare il resto della vita
con il suo silenzio.
Ho sulla scrivania degli animaletti in plastica.
È irreale la luce che ci batte sopra.
Mi spezza in due.
Oppure la vista di finestre molto serie
che si spalancano su prati molto seri.
sul serissimo pratino.
Dev’essere un edifico governativo.
Dev’essere il bip di una stanza anodina
di ospedale.
È aliena ogni dichiarazione sul collegamento.
Eccomi in questo corridoio che gironzolo in una mente.
Ma al giorno non importa nulla ormai.
Sboccia ritmato all’inizio di com’erano
le cose ai vecchi tempi.
Non ne posso più della tradizione e dei suoi deboli segnali.
Le ecloghe frizzanti divagano aggiungendo
ben poco alla causa.
Sono un caso intrappolato in lunghe descrizioni
Cercatelo su Google.
La copertina è un po’ usurata,
quasi perfetta la rilegatura.

 

DA QUESTO LATO DELLA TRISTEZZA

Una particolare sbavatura
mi trapassava la mente
da lato a lato.

Il senso di essere
privo di futuro.

In caduta libera.

Sembra inverno,
il cielo è coperto
e il giorno si accende
da dentro.

Trovarci un verso

Ci ho trovato un mondo
arso nel rinnovarsi,
gambi anneriti
che puntano al cielo.

Mi sono fortificato
con la scomparsa
Da questo lato
L’annotazione è verde.

Non si ferma la musica
aria che entra
e aria che strappa,
erano vecchie
le canzoni.

Sono arrivate
con lo scricciolo
e il pettirosso.
e anche con il corvo
così caro alla realtà
e all’elegia
al traffico,
al suo essenziale brusio.

Sinestesia
del brusio.

Da questo lato
della tristezza
ho riconosciuto
che la voce era morta,
mi faceva compagnia.
Ho riconosciuto che il cielo
si faceva di topazio.

Non ho
capito le ombre
non ho capito
la luminosità.

Non ho capito
il codice che mi teneva
attaccato al mondo.

Da questo lato
brillano le foglie,
l’aria è fresca.

Mi ci aggiro e ci casco dentro,
l’attraverso e mi meraviglio,
si fa polvere il giorno

dentro una dalia blu.

Sono polvere e dalia.

Sono coevo
al tronco che marcisce
agli aghi di pino
che rigenerano il suolo.

Sono al massimo della
felicità sul suolo della
foresta, i rami si elencano
sotto un cielo di porcellana.
Me ne intendo di questa luce
medievale che occhieggia
tra le foglie.
Gli archi dei rami
adesso sono
un grande regno.

Da questo lato
della tristezza
non c’è niente là fuori
che io voglia
e mi domando
se qui dentro ci sia niente
di cui ho bisogno?

Me ne intendo del modo in cui
la tecnologia di un io
si riempie di morti.

Sono carico di luce
quando parla
il vecchio sole,
quando non so più
se il giorno sia vero.

Quando è duro
esserci dentro e fatto della sua
stessa materia, starci assieme
e starci sotto.

Da questo lato della tristezza
provengono o le forme,
Tutte le ombre più audaci.

Da questo lato gli animali,
i vecchi occhi,
il cri de Coeur,
i pomeriggi stesi
nella luce che cola.

Povero sole,
che aspetta di morire.
Povero sole
unico nello spazio,
che ci rifornisca
la mente,
un sole minuto
dentro la mente.

Proprio ora,
decade
una particella
sul prato.

Da questo lato
marcisce nella mente
la gravità.

Per non scordarsi mai
gli angoli
e i grumi di polvere
del sole che ride.

Ma se non fosse una stella
luminosa la canzone
lì appesa
al firmamento
che ne sarebbe
allora dei tizzoni
che ardono
nel fuoco.

Vedo che ti volti
e ti rivolti dentro
un sogno freddo
del passato
che intreccia
l’offuscarsi
con l’adesso.

Offuscati con me
quando sono stanco
di morire,
quando ho paura di sbagliare
la canzone che amo.

Sta’ con me
ogni volta che resto qui
a sprecare i giorni.

Da’ conforto alle ore.

 

 

UN TELESCOPIO PROTEGGE CIÒ CHE VEDE

Amo leggere i morti.

Parte di un’intera campagna andata in fumo.

Si è alzato il ponte.

Un tuo ritratto fatto di quello che non dici.

Sulla mia manica. Il verbo essere.

Ho coraggio ma sono grato.

La morte e l’immaginazione sono la vita stessa.

Messaggi da una vecchia bottiglia,
spazzatura in orbita.

Un libro o una barca?

Forse i nastri neri della primavera
sembrano sdolcinati

ma amo leggere sotto un cielo azzurro chiaro
che si anima e si intensifica.

Amo leggere i morti.

Passano tizio e caio
tutti, là fuori

tutti

le parole si srotolano nell’aria.

Sineddoche: l’atto del ricevere da altri.

Metonimia: cambio di nome.

Chi non si è mai trovato
a pregare in una stanza scombinata.

E lei disse che ne sarà di tutto quel loro
triste lavoro lungo il fiume

un triste modo di manovrare la luce sulla carta da parati

graticci di bidoni dell’immondizia ammaccati
e detriti all’alba.

 

NOTA AL TESTO

I bravi poeti sfidano le cose
con il cuore

ecco come un frammento
si fa strada nella gente

non dite la bellezza dite il bello
dite la gente

dite che è con il canto che la scrittura
è entrata nella gente

con immagini e amore per la natura,
i fiori pieni come uova

Questo luogo scarnificato
ecco la mia canzone

l’unico ricorso del sole
anche le sillabe più piccole

si possono cucire dentro la bocca
È sulla lingua che il sole mostra rispetto

Due sillabe attaccate
a ciascun lato

Per allungare il paradigma della voce
il suo filo simile al lino

 

 

1 Motel Bilancio, Banca popolare