Tiziana Colusso, Ogni respiro un mondo,
La Vita Felice Edizioni, Milano, 2022
Lettura critica di Letizia Leone
Spesso l’atto di rilettura di un testo letterario ci conferma il fatto che la risposta estetica da parte del lettore è sempre incompleta, parziale e in divenire. E ciò è ancor più valido per un testo di natura poetica, densamente evocativo e significante, e che richiede qualità empatiche e percettive che vivifichino il testo stesso. Una lettura vivificante, dunque, è quella che si rivela stimolo alla produzione di pensieri, là dove la comprensione è arricchita anche dalla possibilità di trovare cose che l’autore non aveva consapevolmente in mente. Tutto ciò per dire quanto sia stata fruttuosa la seconda lettura critica del libro di Tiziana Colusso, del suo “versus”, questo ‘tracciare il solco’ artistico ed esistenziale, rivelatosi già una sorta di «meditazione attiva», per usare la fortunata locuzione di T. Traströmer (Nobel nel 2011), e quanto poi, questa rilettura, abbia svelato anche profonde implicazioni storico-letterarie.
Come avevo già sottolineato, una poetessa che lavora con le partiture malinconiche dell’organetto del respiro, se tautologicamente rivela un discorso metalinguistico su accenti, prosodie, cesure o vibrazioni della parola, in profondità cerca l’essenza stessa dell’elemento aria vivificato proprio nell’atto della respirazione. In effetti la prima sezione della raccolta che dà il titolo al libro, Ogni respiro un mondo, potrebbe essere letta come un’analitica del respiro allusiva delle varie declinazioni connesse al paradigma del respirare. Il respiro diventa la legge sacra che unifica i vari aspetti della realtà, né sono casuali le allusioni alchimistiche a cui sono riportati gli elementi pitagorici, terra acqua, aria e fuoco.
Questa riflessione dialettica sull’articolazione biologica del respiro, ci immette direttamente nell’esperienza della voce e della parola. Nel De anima infatti Aristotele afferma che «Non si può parlare quando si inspira o si espira, ma quando si trattiene il respiro», un trattenere il fiato e rilasciarlo che vira verso il movimento semantico, la voce e la parola. E sono proprio le parole che usa la Colusso a rivelarsi spie intertestuali di un richiamo alla nostra più alta tradizione letteraria da Dante, Cavalcante o gli stilnovisti: ...nell’aere il sole cade; ...e si acclara la mente; ...l’occhio angelico ancestrale; ...le onde del canto gregoriano. Così se la poesia, fin dalle origini potrebbe essere messa sotto la lente della declinazione ontologica del respiro, dal sospiro (atto del respiro modificato), all’inspirazione o l’ispirazione, l’afflato, il respiro trattenuto dello stupore in un vuoto di tempo, sono molti i richiami a quella poesia due-trecentesca che è tutto un risuonare, di stanza in stanza, di sospiri. Eppure il sospiro, ‘fantasma sonoro’ o allegoria respiratoria che alberga nella ‘camera del cuore’ attraversa la nostra tradizione fino a Leopardi e oltre: Or poserai per sempre stanco mio cor...nè di sospiri è degna la terra.
Così da una dimensione lirica sovratemporale, certe cadute nel presente ci avvisano della malattia contemporanea, la patologia biologica e psicosomatica del mal di vivere (e del respirare) che sono decadimento progressivo verso il nichilismo:
[ingrati apprezziamo
solo ciò che ci manca-
cosa più del respiro
è troppo a lungo mancato?
esperienza collettiva estrema
che andava capita
studiata, aperta come un portale
verso coscienze più sottili –
pochi hanno preso quella via
i più hanno fumato fameliche
sigarette a latere della mascherina
bandendo l’ossigeno
dall’orizzonte del mondo]
Le coordinate sostanziali della poesia di Tiziana Colusso vanno ricercate proprio nell’ambito di certi poeti/filosofi che armonizzano riflessione filosofica, pensiero ‘cordiale’ alla passione poetico/artistica, a scrittrici della tempra di Maria Zambrano o Cristina Campo per esempio, perché proprio dalla dimensione storico-esistenziale, da un cammino o da un esilio (anche metafisico) va sgorgando un ‘sapere’ altro che si condensa in riverberi poetici. Questo si avverte chiaramente nel suo discorso poetico che implicitamente parla di sé e del mondo in felice connessione e che non è lontano dalla definizione di G. Bachelard: «la poesia è metafisica istantanea». Una metafisica istantanea che illumina la vita umana. Un patire e pensare insieme.
Nella sezione Pastora di Parole molti testi trovano l’innesco in occasioni esistenziali (la visita al Tempio della Grande Contemplazione sul monte Amiata o alla chiesa ucraina di Santa Sophia a Roma all’inizio della guerra) ma in un’articolazione dialettica, nella fusione di anelito trascendente ai duri fatti del mondo, alle situazioni della vita. In questa tensione iniziatica verso la Fons Sapientiae, la natura resta il punto saldo, il radicamento, il fondamento e alla poetessa non resta che sillabarne l’alfabeto disperso e ormai illeggibile. La sezione Alfabeti vegetali riparte dalla nominazione antica degli alberi, quasi un appello ad un incontro sacro e segreto nelle strade rumorose della metropoli:
Eppure quando agli incroci sfioro i tronchi
snocciolando i vostri nomi antichi
-Platanus occidentalis, Salix fragilis, betulla alnus,
-Quercus petraea, Larix decidua, Acer campestris-
ritrovo il respiro grande, l’orgoglio
di sentinelle vegetali,
il ligneo irriducibile lignaggio
la cabala diagrammatica dell’Albero della Vita
abitato dai Sěfirōt e dagli uccelli migratori,
e nel maelstrom cittadino mi soccorre
la vostra segnaletica frondosa.
Una nominazione che è un ‘tornare a sentire’ qualcosa di originario, una sorta di memoria passionis, là dove i riferimenti all’antica e misterica sapienza cabalistica diventano espliciti. L’uomo della Qabbālāh parla con l’albero, ne prova una profonda compassione tanto che il suo abbattimento viene equiparato all’omicidio. Allora la poesia è alta disciplina della mente, sorveglianza di ogni lessema o cesura, consapevolezza del ritmo e del respiro, specchio riflettente informazioni spirituali
Un cammino iniziatico, movimento inziale, richiamo e ritorno alle origini non dimenticando che la poesia delle origini è linguaggio sacro, silenzio e vuoto di tempo: «vuoto di tempo che si dà nel respiro trattenuto dello stupore e dello spavento, che ci permette di cogliere, per così dire, il tempo alle spalle, nel suo momento nascente.» (M. Zambrano)
Dunque non è casuale che il primo verso di apertura della raccolta contenga la parola respiro, così come l’ultimo, a chiusura di un circolo virtuoso in cui sapientemente (al tempo degli dei) era stato inscritto il destino dell’uomo.