p. 29-38 > L’arte dell’uomo primordiale: il rito sacrificale condotto alla pura azione del simbolico

L’arte dell’uomo primordiale: il rito sacrificale condotto alla pura azione del simbolico

Marta Serena

 

NdR: Gli articoli pubblicati su Rossocorpolingua riguardanti Emilio Villa si originano dal lavoro svolto

nell’ambito del Centro Internazionale di Ricerca Emilio Villa

 

abstract

Il saggio L’arte dell’uomo primordiale mette in luce alcuni caratteri di estrema importanza, non tanto per la comprensione dell’arte paleolitica in sé quanto, piuttosto, per il concetto di arte tout court, con particolare riferimento al ruolo della poesia, costituendo uno degli scritti essenziali per la comprensione dell’ideologia artistica di Emilio Villa. La nozione centrale dell’assunto villiano è quella di sacrificio (VILLA, ca. 1950-60; BATAILLE, 1949), dalla quale egli prende le mosse per aprirsi ai concetti di ‘gioco sacro’ (HUIZINGA, 1938) e animale (DERRIDA, 2006). Così, la poesia, punto di approdo del lungo cammino di sublimazione del rito sacrificale, si carica di una nuova energia, collocandosi in un territorio in cui parola e simbolo intrattengono un fitto rapporto dialettico, all’insegna del prodigioso monito: «tutto è stato fatto, e niente è stato fatto; per cui tutto è da fare, e non c’è niente che non si possa fare» (E. VILLA, 1959).

The essay L'arte dell'uomo primordiale highlights some extremely important ideas,
important not only for the understanding of paleolithic art, but rather for the concept of art tout court, with particular reference to the role of poetry and thus constituting one of the essential writings for the understanding of Emilio Villa's artistic ideology.
The center of Villa’s assumption is the notion of sacrifice (VILLA, ca. 1950-60; BATAILLE, 1949), the point from where he starts to open up to the concepts of 'sacred play' (HUIZINGA, 1938) and animal (DERRIDA, 2006). Thus, the poem, culmination of the long path of sublimation’s sacrificial rite, is filled with new energy, placing itself in a territory where word and symbol have a close dialectical relationship, under the banner of the prodigious admonition: "tutto è stato fatto, e niente è stato fatto; per cui tutto è da fare, e non c’è niente che non si possa fare" (E. VILLA, 1959).

 

KEYWORDS

Emilio Villa, arte, primordiale, sacrificio, animale

Emilio Villa, art, primordial, sacrifice, animal

 

 

Nel 1996, mentre ponevo alcuni quesiti a Carlo Felice De Bernardi intorno alle vicissitudini di suo padre, Gianni, un artista per il quale Emilio Villa aveva scritto ben cinque testi prodighi di lodi, la conversazione evocò per caso un dattiloscritto conservato dall’artista e poi da suo figlio, che non ne conosceva l’autore. Quando ebbi tra le mani il dattiloscritto, dalle correzioni aggiunte a mano riconobbi subito la grafia di Villa1

Il critico Aldo Tagliaferri, amico e studioso di Emilio Villa, descrive in questo modo il fortunato ritrovamento del saggio L’arte dell’uomo primordiale, avvenuto nel 1996. Il testo, redatto presumibilmente tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta e pubblicato, per la prima volta, solamente nel 2005, risulta incompleto. Villa, infatti, oltre alle due parti pervenuteci, Realtà e arte dell’uomo preistorico e La vita dell’immaginazione, aveva previsto l’aggiunta di un terzo capitolo, intitolato Il Theatrum dell’arte paleolitica e mesolitica, che avrebbe dovuto concentrarsi sui siti archeologici al di fuori dell’Europa. In ogni caso, l’autore correda il dattiloscritto di una breve pagina intitolata Avvertenze, nella quale si legge la dicitura:

Il presente testo, come «campione» non è da intendersi come «scritto», ma ancora allo stato di una serie di appunti per motivazioni generali; frammenti da capitoli, già interamente disposti e ideati nella loro sequenza2

A dispetto della sua parzialità, L’arte dell’uomo primordiale costituisce uno degli scritti essenziali per la comprensione dell’ideologia artistica di questo autore, non soltanto per quanto riguarda le posizioni espresse in merito alla fenomenologia dei culti sacrificali e ai temi affini alle speculazioni antropologiche, quanto piuttosto, a motivo dell’emergere, tra le pagine di questo saggio, del concetto di origine dell’arte, essenziale per l’interpretazione della produzione artistica di questo poeta.

Ancora una volta, allora, le Avvertenze al testo risultano significative, fornendo un interessante chiarimento riguardo all’importanza assunta dal tema dell’arte parietale dei primordi, nella definizione della nozione di arte tout court:

Criterio generalissimo è che: per comprendere realmente, e fuori da false, pigre e comode prospettive, il grande pantheon figurale preistorico, non basti il punto di vista così detto «estetico», come non basta quello «storico». […] Il criterio per penetrarne le ragioni e la sostanza è offerto da una lettura obiettiva del materiale: un criterio che potremmo chiamare dell’Opferwollen, e che restituisce l’arte, la sua funzione e la sua dinamica all’orbita a cui naturalmente attinge i suoi poteri, che è l’orbita dell’immaginario3

A tale proposito, una delle prime intuizioni di Emilio Villa in merito alle rappresentazioni zoomorfiche e teriomorfiche presenti nelle pitture parietali paleolitiche, rinvenute un po’ovunque in Europa e nel mondo, è quella che esse assumano su di sé il carattere di «sacrificio rituale concreto». Ciò implica l’impossibilità di interpretare i segni e le figurazioni parietali, come fossero «un lungo e monotono episodio di ‘magia venatoria’»4, secondo il quadro esegetico convenzionale, in uso presso i paletnologi del tempo, i quali, agli occhi di Villa, sembravano non tenere conto del fatto che l’umanità paleolitica, a quell’altezza, non avesse ancora sviluppato una “cultura di caccia”.

Le figurazioni prodotte dall’uomo paleolitico, allora, costituiscono un enigma per la mente dell’uomo moderno e necessitano, dunque, di un metodo interpretativo attento, capace di tenere conto della complessità insita nel pensiero arcaico e primitivo. Così, Villa, invocando l’importanza di un approccio puntuale al «grande pantheon figurale preistorico», sembra avvicinarsi alle posizioni espresse da Mircea Eliade, nel suo Trattato di storia delle religioni:

Basta scorrere qualche monografia etnografica [...] per notare: 1) che la vita religiosa dei «primitivi» sconfina dal territorio che siamo abitualmente disposti a concedere all’esperienza e alla teoria religiosa; 2) che questa vita religiosa è dappertutto complessa; la presentazione semplice e lineare che troviamo di frequente nei lavori di sintesi e di volgarizzazione, è dovuta a una selezione più o meno arbitraria, compiuta dagli autori5

Pur non occupandosi direttamente di pitture parietali preistoriche, il pensatore romeno fornisce, infatti, i presupposti necessari per comprendere l’analogia istituita da Villa tra i soggetti delle figurazioni primordiali, e le necessità di carattere sacrale che costituivano il punto d’avvio dell’esperienza rappresentativa primordiale:

L’intero pantheon figurativo dell’uomo paleolitico appare come inteso alla espletazione di quel rito, che, secondo il lessico dell’uomo storico, abbiamo chiamato, e certo non senza qualche residua improprietà, sacrificium, il culto sacrificale. Pensiamo che alla base di tutta l’esperienza ideologica e ideografica, cioè artistica, dell’uomo primordiale, siano le ragioni del culto, come contenuto intero del logos. Il culto non sarà da definire «la cultura più antica» (Van der Leeuw) ma la prima esperienza integrale e integrativa, sbocciata, sviluppata, maturata come fioritura ideologica nello sforzo di conservare all’atto, nudo trasalimento, la sua naturalezza, la sua resistenza, la sua essenza manifestativa, o doxologica. È a quest’atto, l’uccidere sacrificale, che l’arte paleolitica, nella complessa esposizione ideografico-simbolica, attinge il suo potere e affida una connessione temporale6

Villa, infatti, esattamente come Eliade, sottolinea l’importanza della comprensione, da parte dell’uomo moderno, del concetto secondo il quale le azioni considerate alla stregua di meri «atti fisiologici», fossero, in realtà, esperiti dall’uomo delle culture arcaiche, come dei ‘sacramenti’ capaci di metterlo in comunione con «la forza che rappresenta la Vita stessa»7: l’uomo dei primordi viveva, cioè, la propria vita organica come una cerimonia, con particolare riferimento alla sessualità e alla nutrizione.

Proprio il nutrimento diviene l’elemento centrale della speculazione di Villa, incentrata sulla sconfessione della prospettiva convenzionale, secondo la quale l’uomo dei primordi sarebbe stato governato dalla paura - «tremante e fuggitivo, un Caino, allo sbaraglio»8 - per restituirne l’immagine opposta, basata, cioè, sull’iniziativa offensiva dell’uccidere:

il coltello di silice, il bastone da scavo, il primo cuneo che gronda sangue o stride sulla pietra [...] sono strumenti per aggredire e uccidere, non per difendersi9

L’atto di uccidere, oltre ad essere strettamente connesso agli «impulsi primari della fecondità»10, diviene, per il primo vivente, essenziale per la rigenerazione della realtà, precedendo la distinzione tra sacro e profano, organizzata secondo una struttura razionale basata sugli sforzi speculativi dell’uomo moderno. Tutto ciò, spinge Villa fino a sostenere che per l’uomo primordiale «la morte non esiste come categoria del reale»11: ‘mangiare’ o ‘venire mangiati’ dovevano essere eventualità che non costituivano una reale preoccupazione, coincidendo entrambe con delle necessità di carattere vitalistico riconosciute come necessarie alla rigenerazione della realtà.

In questo procedimento divinizzante, caratterizzato dal passaggio continuo da uno stato energetico all’altro, l’animale è implicato alla stessa maniera dell’uomo; entrambi, infatti, attraverso l’atto dell’uccidere, restituiscono la propria organicità alla realtà che li circonda, attestandosi all’interno di una visione del mondo che può essere definita quasi edenica:

l’uomo primordiale non ha orizzonti. È tutto nel tutto, uomo nell’uomo, nutrimento nel nutrimento, flusso nel flusso, divino nel divino. Non c’è metamorfosi, poiché non c’è forma. C’è, sola, la sostanza omogenea, pesante e simbolica, di ciò che c’è: del questo e del quello, del sé e dell’altro, come tutto12

A questo punto, Villa si chiede: «quale apertura potrà in qualche modo spalancarsi al di fuori dell’orbita chiusa, della prigione, del contesto unitario e monotono tracciato dall’uomo paleolitico?»13. La presenza delle pitture parietali assume, secondo questa prospettiva, un valore essenziale, divenendo l’emblema dell’«esperienza ideologica e ideografica, cioè artistica» dell’uomo paleolitico che tramuta l’uccidere, ovvero un atto fisiologico reale, attraverso un lungo e penoso percorso di conquista delle prerogative essenziali della mens moderna, nella sua rappresentazione, ovvero nel simbolo del sacrificio reale:

Se noi dobbiamo, in mancanza di un lessico meno provvisorio e meno limitato, chiamare «arte» il frutto della primaria tentazione umana, possiamo supporre che appunto l’arte, la più tarda manifestazione dell’uomo millenario, sia da considerarsi come l’iter, l’itinerarium mentis et corporis, verso la fuoriuscita dell’uomo sulle zone contigue, affini e diverse? L’arte, come spiraglio, come spiraculum anzi, feritoia: l’arte che ferisce il mondo, il divino, che infligge la piaga solenne nel corpo del mondo: l’arte come strumento sacrificale14

Attraverso questa rappresentazione della nozione di arte, Villa marca la natura oppositiva dell’uomo nei confronti del divino, incarnata, in questo caso, nella tentazione umana di replicare l’atto di uccidere, senza che da esso scaturisca un reale processo di rigenerazione organica dell’universo. Una concezione di questo genere, in effetti, non era nuova al pensiero di questo autore, il quale aveva già evidenziato l’importanza del conflitto tra uomo e divinità, nell’interpretazione dei mitologemi alla base della narrazione contenuta nell’Antico Testamento, individuando nella «concezione del primordiale rifiuto da parte dell’uomo (un semidio; “forma” del fiato alitante della divinità) alla Parola della divinità»15, il punto d’avvio della «grande saga dell’iter dell’umanità verso la liberazione, o salvezza, nel compimento della propria iniziale destinazione»16.

D’altro canto, la possibilità di uccidere attraverso il simbolo, contravvenendo, cioè, alle regole universali di rigenerazione organica, oltre a lasciare emergere il carattere eversivo del gesto artistico originario, ne sottolinea anche l’ingiustificabilità dal punto di vista utilitaristico, stabilendo un legame piuttosto evidente con la nozione di ‘eccedenza programmatica’ postulata da Georges Bataille, il quale, per altro, aveva visitato le grotte di Lascaux qualche anno prima, rimanendone ugualmente affascinato, tanto da pubblicare nel 1952 il saggio Lascaux. La nascita dell’arte17.

Il simbolo costituisce quindi il tratto caratteristico dell’emancipazione dell’uomo dei primordi dal mondo che lo circonda, favorendo la presa di coscienza del proprio essere nella realtà: la traccia dipinta diviene il «simbolo puramente concettuato del segno originario, ed è violenza contenuta, ma mentale in senso più fluido»18. Come scrive Bataille nel celebre saggio La parte maledetta, però: «nessuno può render cosa l’altro se stesso che è lo schiavo senza allontanarsi nello stesso tempo da ciò ch’egli medesimo è intimamente, senza porre a se stesso i limiti della cosa»19. L’avvento del «simbolo crudele» segna, infatti, l’aurora dell’uomo moderno e con essa l’insorgere della percezione di essere ‘cosa’ in mezzo alle ‘cose’.

La trasposizione messa in atto dall’uomo dei primordi attraverso le pitture parietali, ovvero la trasformazione dell’atto vero e proprio dell’uccidere nel suo simbolo inciso sulla pietra, diviene, così, una stupefacente e antichissima manifestazione di dépence ma anche l’esordio della dialettica tra vittima e carnefice. L’uomo paleolitico percepisce, per la prima volta, il proprio essere esiliato dalla realtà che lo circonda, iniziando un penoso cammino a ritroso, teso a ricostituire, attraverso l’arte, «l’intimità perduta»20 con l’universo nel quale abita.

Nell’insorgere della dialettica tra vittima e carnefice, l’animale assume una posizione centrale. Il sacrificio preistorico, come scrive Villa: «non presenta né limitazioni né specializzazioni: il sacrificio è “animale”, mammut o lepre, asino o bisonte, uomo o cavallo, serpente o pesce»21. E ancora:

L’immaginazione, come sfera del divino, appare nella figurazione preistorica prevalentemente animalizzata. E, del resto, l’esperienza teriomorfica dell’intenzione immaginaria dell’uomo di ogni tempo risale da strati di una profondità inaudita e inaccessibile, ma chiara, che collabora apertamente con la incessante, pressante tentazione mitica della psiche22

La centralità della nozione di animale, infatti, è intimamente correlata alla capacità della bestia di stimolare l’abilità immaginativa dell’uomo paleolitico. Gli animali che l’uomo preistorico raffigura suscitano, infatti, quella che Villa definisce la «tentazione mitica della psiche» di ammettere tra due cose di diverso ordine, un’identità nell’essere:

essi sono la polarità nutrimento-distruzione, vita-morte, terra-cielo. Sono animali divinità: della veemenza, dell’aggressione, della ferocia, della fuga (la renna, la lepre); oppure del riposo, della rigenerazione, della fecondità23

Questo procedimento mentale, tipicamente umano, costituisce uno degli elementi chiave per la nascita della nozione di culto, che Villa inserisce, dunque, all’interno dell’«orbita dell’immaginario»24. Il comportamento tipico dell’espressione dei riti, duranti i quali la distinzione tra creduto e simulato va perdendosi, d’altro canto, presenta alcune caratteristiche affini con l’esperienza del gioco, come postulato anche dal filosofo olandese Johan Huizinga, nel saggio Homo ludens. Tutto ciò, avvalora la tesi di Villa, secondo la quale all’origine dell’arte parietale preistorica non vi sarebbe «l’insorgere dell’istinto mimetico, piegato poi a intenzioni magiche»25, quanto piuttosto «l’esercizio dell’orbe immaginario, sotto spinte autonome»26, proprio come il mondo zoomorfico fiabesco dei bambini attuali non viene ricondotto a un’esperienza venatoria:

La mente del bambino attuale è popolata, affollata di immagini animali, di mostri: ma, per restare nei tempi storici, anche la mente del profeta attinge alla fonte apocalittica i suoi mostri e le sue chimere; e anche la sfera del mito è un’immensa foresta di mostri e animali. Ora, l’esperienza quotidiana, pratica, non partecipa di questi nuclei immaginari: e non si vede perché l’uomo paleolitico, che non è l’uomo di un giorno, ma che ha spessore di milioni di anni, abbia avuto a disposizione soltanto la caccia per imprimere un sigillo immaginoso alla sua esistenza; ed è da riconoscere invece che appunto la sostanza immaginaria è prerogativa e proprietà destinata dell’umano come tale, come vivente27

La nascita del simbolo, originata dalla spinta immaginifica dell’uomo, allora, risulta una pratica ricca di elementi affini a quella del ‘gioco sacro’, secondo la definizione che ne diede Huizinga, come di una azione indispensabile per la salute della collettività, nella quale si ritrovano «il bimbo e il poeta, insieme col selvaggio primitivo»28, marcando, così, la stretta relazione tra immaginazione e mito, culto e poesia.

Per quanto riguarda l’arte dell’uomo primordiale, d’altro canto, l’importanza dell’animale, oggetto e soggetto prediletto delle raffigurazioni parietali, non deve essere sottovalutata:

Alla radice del fantasma antropomorfico o zoomorfico che abita nell’immaginazione dell’uomo-preistorico [...] vive l’azione del simbolo, la dinamica del sacrificio, la presenza dell’animato-animante, dell’animale-distruttore che è animale-rigeneratore29

La centralità della figura della bestia, allora, fornisce l’occasione per porre una questione ontologicamente essenziale, riguardo il ruolo dell’antropomorfismo. Come ha scritto l’antropologo brasiliano Eduardo Viveiros de Castro, infatti, «il nostro problema con l’“antropomorfismo” tipicamente ha a che fare con la proiezione dell’umanità in divinità, non in animalità»30: questa stessa considerazione emerge anche tra le pagine del saggio villiano, suggerendo l’ipotesi secondo la quale, l’uomo paleolitico non avrebbe voluto mettere in scena una cosmogonia che indicasse l’ascensione alla divinità, quanto piuttosto la volontà di colmare la distanza che lo separava «dall’Altro-Stesso»31, ovvero l’animale.

Basti notare come, la descrizione della rappresentazione del sacrificio animale che Villa fornisce, faccia riferimento alla necessità di “ex-primere” la bestia, lasciandola emergere dalle proprie viscere:

nell’atto di esprimerlo, l’uomo eseguisce se medesimo traendo fuori di sé l’animale, dopo averlo inghiottito. L’uomo ha dentro l’animale: se ne libera, per sacrificarlo e restituirlo alla vita, uccidendolo con il segno32

Proprio nel passaggio tra «il segno» e la parola, si inserisce l’importanza che questo saggio assume per la comprensione dell’opera poetica di questo autore. Non è un caso che l’avvento dell’arte sia connesso, nell’ideologia di Villa, con l’insorgere dell’alterità, rappresentata primariamente attraverso la figura dell’animale. Un concetto, quello dell’animalità, caratterizzato tanto da implicazioni di tipo archetipico, quanto assolutamente moderno, basti pensare, tra gli altri, all’interesse che questo tema ha suscitato in Jacques Derrida, il quale nel saggio L’animale che dunque sono scrive:

L’animale che parola!

Una parola, l’animale, un nome che gli uomini hanno istituito, un nome che essi si sono presi il diritto e l’autorità di dare all’altro vivente33

Il nocciolo della questione, in effetti, è da ricercare, proprio nei meccanismi che legano la nozione di animale con quella di nominazione, avvicinandosi al vasto immaginario dell’Antico Testamento, attraverso l’assonanza di questo tema con il mito della torre di Babele.

Secondo questa prospettiva, L’arte dell’uomo primordiale, pur occupandosi principalmente di antropologia, assume una grande importanza anche nell’interpretazione della poetica di questo autore, promuovendo la «necessità di lanciare questo grande ponte sul passato, che vuol dire sul futuro»34, alla ricerca delle proprietà ferine e sacrali dell’arte, capaci di innescare nuovamente il processo di convertibilità tra atto e simbolo che questo autore considerava alla base dell’iniziativa artistica dell’uomo dei primordi.

La bestia, allora, diviene il punto di partenza di un processo artistico e immaginario, attraverso il quale riconquistare il proprio posto all’interno del meccanismo di rigenerazione della realtà, dal quale l’uomo contemporaneo sembra essere stato estromesso, alla ricerca di una lingua poetica in cui simbolo e parola possano fondersi e – per utilizzare le parole di Deleuze e Guattari - filare «via con la testa in avanti, facendo capriole»35.

 

1ALDO TAGLIAFERRI, Il testo e il contesto, in EMILIO VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, a cura di A. TAGLIAFERRI, Milano, Abscondita, 2005, cit. p. 107.

2 EMILIO VILLA, Avvertenze, in ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 10.

3 ID., L’arte dell’uomo primordiale, ibid.

4 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 16.

5 MIRCEA ELIADE, Trattato di storia delle religioni [Prima ed. Traité d’histoire des religions, 1948], traduzione a cura di VIRGINIA VACCA, Torino, Bollati Boringhieri, 1988, cit. pp. 37-38.

6E. VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 24.

7 M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni, cit. pp. 39-40.

8 E. VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 23.

9 ID., L’arte dell’uomo primordiale, ibid.

10 ID., L’arte dell’uomo primordiale, ibid.

11 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 27.

12 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 28.

13 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 29.

14 ID., L’arte dell’uomo primordiale, ibid.

15 Genesi, traduzione di EMILIO VILLA, in Archivio di Emilio Villa, fasc. 167, Introduzione, pp. 3-4.

16 ID., Genesi, ibid.

17 GEORGES BATAILLE, Lascaux. La nascita dell’arte [Prima ed. Lascaux ou la naissance de l'art, 1952], traduzione a cura di SUSANNA MATI, Milano, Mimesis, 2007.

18 E. VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 35.

19 GEORGES BATAILLE, La parte maledetta preceduto da La nozione di dépence [Prima ed. La Part maudite, 1949], traduzione a cura di FRANCESCO SERNA, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, cit. p. 68.

20 Cfr. ID., La parte maledetta, cit. p. 68: «A questo decadimento l’uomo di tutti i tempi si sforzò di sfuggire. Nei suoi strani miti, nei suoi riti crudeli, l’uomo è fin dall’inizio alla ricerca di un’intimità perduta».

21 E. VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 19.

22 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 66.

23 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 67.

24 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 10.

25 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 64.

26 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 65.

27 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. pp. 65-66.

28 JOHAN HUIZINGA, Homo ludens [Prima ed. 1938], traduzione di ARRIGO VITA, Einaudi, 2002, cit. p. 40.

29 E. VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 66.

30 EDUARDO VIVEIROS DE CASTRO, Prospettivismo cosmologico in Amazzonia e altrove, a cura di ROBERTO BRIGATI, postfazione di ROY WAGNER, Quodlibet, 2019. La nota riportata è inserita nella trascrizione di una delle quattro lezioni tenute presso il Department of Social Anthropology, Cambridge University, nel febbraio-marzo del 1998.

31 E. VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 26.

32 ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 63.

33 JACQUES DERRIDA, L’animale che dunque sono [Prima ed. L’animal que donc je suis, 2006], traduzione a cura di MASSIMO ZANNINI, Milano, Jaca Book, 2006, cit. p. 62.

34 E. VILLA, Ciò che è primitivo, in «Arti visive», n. 4-5, Roma, 1953; ora in ID., L’arte dell’uomo primordiale, cit. p. 91.

35 GILLES DELEUZE, FÉLIX GUATTARI, Kafka. Per una letteratura minore [Prima ed. Kafka. Pour une littérature mineure, 1975], traduzione a cura di ALESSANDRO SERRA, Macerata, Quodlibet, 2017, cit. p. 48.