Anna Lapenna Malerba su Antonio Porta
Arrivarono su una grande, rumorosa e lucente motocicletta tutti e due interamente coperti dai caschi modulari – o dovrei dire forse tutti e tre – perché si trattava di Leo Paolazzi detto anche Antonio Porta e di Paola - e non li avremmo riconosciuti - né loro né tanto meno il tipo di casco se lui stesso non avesse, appena sceso e ancor prima di salutarci – provveduto ad informarcene.
- Differiscono dai caschi integrali per il disegno più elegante e per la mobilità del coprimento - ci disse - oltre che della visiera, molto più comodi e più eleganti.
Fantastico - e ne fummo come si può immaginare, e allegramente lo dimostrammo - entusiasti.
Ci fu qualche piccolo traffico, e qualche sommesso battibecco – no no battibecco no - meglio qualche suggerimento di Leo a Paola ecco - la sua compagna di viaggio – su come slegare e scaricare nel miglior modo le due borse dal portapacchi e con nostra grande sorpresa - se pur ce n’era rimasta un avanzo – apparvero anche due racchette.
Nel pomeriggio guarda caso, venne voglia a Leo di fare una partita a tennis – avrebbe potuto giocare con Almansi, altro nostro ospite - che si era subito offerto. Macché - un doppio preferiva il nostro Leo, speranzoso di poter utilizzare le sue racchette - di mostrare quanto fosse previdente.
- Come no certamente, peccato che né io né Gigi, si sappia giocare a tennis – ci dispiace Leo davvero siamo mortificati – prova a chiedere ai nostri figli se ne avessero voglia.
Pietro e Giovanna, lui e Guido Almansi - erano in quattro
- Ma noi abbiamo solo due racchette disse nostro figlio - Non ti preoccupare ne porto sempre una in più con me - per ogni eventualità. Io sono molto previdente in queste cose. E tirò fuori - per ogni eventualità appunto – anche un secondo paio di scarpe da ginnastica.
- Sempre meglio portarsene dietro in più - ci disse trionfante.
Paola non era solo la sua compagna di viaggio - era allora la sua compagna di vita e ho imparato ad apprezzarla - era infatti intelligente e colta – cosa che apparviva parlando da sola con lei - perché quando era presente Leo e quasi sempre era presente - poco spazio le restava e soprattutto ogni interesse ogni sguardo a lui solo rivolgeva - con un amore e un’ammirazione senza limiti.
– Ma guarda come è bello, occhio di sole mi piace chiamarlo guarda guarda, ha il sole in fronte - diceva a me che incredula ero - e non perché Leo non fosse bello davvero - ma il sole in fronte – detto così senza nemmeno un lampo di riso negli occhi per alleggerire e smentire, mi metteva a disagio, mi ricordava la principessa di quella favola famosa - il cui sole in fronte però - si tramutò in una coda d’asino.
Meglio non aver niente in fronte allora.
Ma poi ho imparato a superare queste improprie uscite d’amore – il lampo di riso negli occhi lo aggiungevo io - e divenni amica di Paola. Ho apprezzato la sua generosità la sua rettitudine - e mille volte ho pensato quanto sarebbe stato bene benissimo per tutti – per Paolazzi soprattutto più ancora che per Porta - se fosse rimasta sempre con il nostro amico.
Questo dunque Leo Paolazzi che poi è anche Antonio Porta.
Lui infatti – unico che io sappia – anche il nome cambiò, e non il cognome soltanto, nello scegliere lo pseudonimo - e questo non va sottovalutato. E nemmeno va sottovalutato il fatto che lo pseudonimo non sostituì del tutto il nome anagrafico - ma che i due nomi abbiano convissuto parallelamente - indicando e mantenendo le due personalità - che ne erano determinate – sempre ben separate.
Leo Paolazzi era l’Editore - insomma Amministratore Delegato o Direttore Generale per anni della Casa Editrice Bombiani - e gli piaceva assaissimo farlo e lo faceva bene anche - seppure a volte un po’ troppo inserito nella parte. Come quando impose il timbro del cartellino – nel mondo editoriale - odiosa e inaccettabile novità burocratica.
A sua giustificazione possiamo solo citare la profonda veneta - e sofferta assaissimo - educazione cattolica. Per lui, per Paolazzi, era in gioco la sua personale sopravvivenza psichica. Ma insieme - lo sappiamo bene purtroppo - era il modo per punire, per liberarsi dalla insopportabile irritazione - non tanto per le esuberanze, il disordine e i ritardi - ma per il compiacimento e la leggerezza che Nanni Filippini – Redattore capo in quegli anni della Narrativa Bompiani – e di noi tutti grande amico - ne esibiva.
Ebbene si può dire che i due non erano fatti per lavorare insieme – soprattutto non era possibile imbrigliare Filippini con regole rigide e intransigenti e quando poi il nostro Nanni non rifiutò - ma proprio ignorò del tutto – questa faccenda di timbrare il cartellino – sostenendo, e a buona ragione - che i suoi ritardi le sue presunte assenze non danneggiavano la produzione ma anzi ne erano motore - le cose fra loro precipitarono pericolosamente.
Per calmare le acque burrascose sono intervenuti in più occasioni gli stessi autori. Gigi senz’altro lo ricordo bene. Finché Nanni nel 1976 non si trasferì a Roma come collaboratore di Repubblica.
L’anno dopo ci venne anche Porta per impegni universitari a Roma - e qui mise su una nuova famiglia con una nuova - terza moglie.
Anche questo allora era Leo Paolazzi.
Antonio Porta era invece il Poeta - e questo gli piaceva e lo faceva bene – anzi molto bene.
Non riesco poi a trovare nelle mie conoscenze nessuno che, essendo poeta lui stesso, e pubblicando con successo opere sue molto belle, e avendo fondato e diretto riviste prestigiose di cultura di letteratura di poesia come AlfaBeta Quindici La Gola Malebolge e tante altre – sia stato così generoso così stimolante e propositivo verso i suoi compagni autori - e così privo di gelosia per l’altrui lavoro - e per l’altrui successo - come Antonio Porta.
Li invitava a scrivere li invitava a pubblicare e pubblicava lui stesso le loro opere - per quanto poteva - e li aiutava.
Un vero generoso scopritore di talenti – e molti poeti sono stati da lui scoperti e devono a lui molto del loro successo.
Questo va riconosciuto perché è raro rarissimo.
E anche questo era Antonio Porta.
Quanto severo e formale Leo Paolazzi con i collaboratori - e come abbiamo visto a volte fiscale con i sottoposti - tanto aperto e generoso era invece Antonio Porta.
Correva voce addirittura che sudasse solo dalla parte Paolazzi.
Pedanti e pignoli erano invece tutti e due.
Da noi spesso spessissimo veniva e sempre eravamo felici di accoglierlo – a Roma e anche a Orvieto – sia come Antonio Porta amico carissimo e compagno di avventura di Gigi nel Gruppo 63 e per il Cavallo di Troia – sia anche dal 1968 al 1977 come Leo Paolazzi nelle vesti di Editore, Direttore Generale della Bompiani - che allora di mio marito pubblicava tutti i libri.
Mi piacerebbe dire a conferma di questa doppia personalità che non capitava mai che sbagliassimo nel chiamarlo – e che alternavamo abilmente i due nomi secondo la necessità - tanto le due personalità erano differenti e inconfondibili – ma in realtà per noi era sempre Leo, e sempre così lo chiamavamo – come Leo era per le sue mogli e per gli amici cari - che come noi lo frequentavano al di là della professione. Oppure a volte “il Porta” – ma solo indirettamente – quando parlavamo del Poeta – e mai rivolgendoci a lui – e comunque Antonio mai.
La prima delle sue mogli, che nessuno di noi ha visto mai, era anche l’unica che il padre di Leo cattolicissimo reazionario proprietario e fondatore della Casa Editrice Rusconi Paolazzi abbia mai riconosciuto. Si erano sposati giovanissimi - istigati dal padre di lui – per evitare che peccassero – ci confidò una volta. E presto, non prima però di aver peccato abbastanza da dar vita a due figli, si separarono.
Il Vecchio Paolazzi non accettò questa separazione e continuò a mantenere e a frequentare solo questa moglie, la prima – la sola legittima a suo dire - e questi due soli nipoti.
Ecco perché da questo momento in poi Leo fu sempre assillato da mille ristrettezze e molti problemi economici – e fu costretto a lavorare molto – sia come Paolazzi che come Porta e dovette accettare anche scomodi faticosi e poco soddisfacenti incarichi di qua e di là e su e giù tra Roma e Milano.
Ma lo stesso guadagnava poco pochissimo – e sempre era in ristrettezze appesantito da tutte queste famiglie e questi figli - e la sua salute molto ne risentì.
Ce la portò dunque questa nuova moglie, americana, con al collo il loro neonato bambino - di Paola più giovane e più bella, ma di lei ancor più muta – forse per la lingua che ancora l’italiano non padroneggiava bene – ma soprattutto perché in sua vece come sempre - Leo interveniva - sempre era lui pronto a dirci a informarci.
E fu sempre lui ad attribuire alla giovane madre una grande passione per l’allattamento – e a parlarci con orgoglio della sua ricerca nei Musei dell’Italia tutta e del Mondo intero – delle immagini della Madonna nell’atto di nutrire al seno il figlio suo Gesù.
Una ricerca d’arte interessantissima e unica, da lui sostenuta e lodata – e naturalmente da lui alla moglie suggerita - che sarebbe stata prestissimo oggetto di un importante originale saggio che avrebbe - quando dato alle stampe - raccolto molti allori.
L’amicizia di Maria Corti con Paolazzi e Porta - durò tutta la vita - e non soltanto per ragioni intellettuali, di comunanza e gemellaggio culturale, per aver ideato inventato fondato e diretto, dividendo idee e lavoro - le molte numerose notissime riviste – ma anche e soprattutto per il legame affettuoso, profondo che ci fu sempre tra loro.
Erano diventati l’un per l’altra una vera famiglia – lei per non averne altre – lui che invece ne aveva e parecchie - per averle tutte rifiutate - seppure a volte Maria si lagnava per l’eccessiva disinvoltura dei suoi arrivi improvvisi con moglie e figli al seguito, nella sua casa di campagna, al Lago – dove lei si ritirava l’estate per lavorare e scrivere. Casa da lei amatissima e come si può immaginare ordinata perfetta - e soprattutto da quando l’aveva ricevuta in eredità da suo padre – immobile e immutata. E che invece ora i figli di Porta avevano tentato e ripetutamente - a sua detta - di distruggere.
- Sono dei selvaggi - per chiamare lanciano sassi contro le finestre e mandano in frantumi i vetri – mi otturano - per gioco o per dispetto - gli scoli del giardino con terra e foglie - così alla prima pioggia tutto si allaga - e poi urlano e gridano – non ne posso più.
Maria era abituata a vivere da sola, a lavorare nell’ordinato silenzio del suo studio – non aveva pazienza né consuetudine con i bambini - ma anch’io avevo ospitato i figli di Leo - e assaissimo allo stato brado - mi sentivo in effetti di definirli.
Poi ci fu quella terribile, drammatica telefonata della mia amica Vilma che mi annunciò
– Ho qui a casa Antonio Porta – è morto. Ti prego vieni non so cosa fare.
Pensai di non aver capito - me lo dovette ripetere.
Era arrivato in treno quella mattina - da Milano alla Stazione Tiburtina - per un Incontro di Poesia – e subito a casa di Vilma era corso, si proprio corso intendo - a piedi e di corsa - per cambiarsi prima di andare insieme a lei - dove erano attesi. Ma subito appena entrato si era sentito male - ed era caduto a terra senza vita. Un infarto ci dissero.
Ed era purtroppo la verità.