Stelle in gola di Antonio Moresco
Roberto Milana
Da una specie di fossato biografico Moresco ha tirato su pezze di scritture dimenticate, rifiutate o rimosse medicalmente nel tempo, dando ora alla loro nudità di scarto o di insufficienza una veste editoriale, ovvero vita.
Si va furiosamente dagli appunti sparsi, “striscioline lacerate da giornali su cui avevo annotato piccole e quasi incomprensibili frasi” alla saggistica personale in corso narrativo con avanguardismi grafici, alla suggestione unica dei brevi racconti e poi ancora alle bozze romanzesche più corpose sciorinate con veemenza in testi come Romanzo di fuga (Capitoli e frammenti di capitoli) e Storie di frammenti di animali, organi genitali, incendi.
Tutta questa caotica pulsante materia fisiologicamente detta, come un espettorato narrativo, pare letterariamente primitiva, di grado zero, nella stretta distanza col corpo nervoso in funzione gnoseologica e l’io più pressato dalla pienezza di quel dolore di stare al mondo, anzi in questo mondo. Poi come per incantamento nell’atto riavvolgente della lettura vediamo costituirsi un’altra testimonianza della profonda letterarietà della scrittura di Moresco. Né acquiescenza retorica né conformismo di circostanza, genere e repertorio, la letterarietà dei suoi testi è data dai procedimenti avversi e squilibrati di un testardo flusso di feriali e visionarie sequenze corporali, crudelissime e reiterate fino alla buffa pornografia, sociopatiche, ospedaliere registrate con grande energia paratattica in uno spazio e in un tempo altro, post umano, fastidioso e sempre estremo. Fulminante a tale proposito l’opinione di David Grossman “Antonio Moresco racconta il confine tra la vita e la morte in modo meraviglioso”.
Già ne L’ addio, romanzo più oniricamente strutturato, si seguiva un via vai parossistico, vagamente dantesco, tra il mondo dei vivi e quello dei morti; ma quello che intende Grossman sta nell’enorme resto dell’opera/continuum di Moresco, dove in genere una specie di alter ego solitario ora in prima ora in terza persona si muove in una terra di mezzo di memorie e bieca attualità dalla vitalità mortuaria. Sequele di ambienti di agonie metropolitane, stanze claustrofobiche e fumi di superficie, angoli di spazzature, dropouts e prostituzione totale in una irrealtà visionaria di scioccanti performances maniacali che alla fine sembrano comporre un j’accuse “la terra è un’ebollizione di fantasmi” stremato dal male ma di una limpidezza morale quasi pura che leopardianamente non illude, ma propone una via ancora più estrema della morte, l’increato.
Come si sa Gli increati è uno dei libri più importanti di Moresco, l’attraversamento di uno stato precario e potenziale precedente alla pena della vita oltre persino alla sua localizzazione uterina: “…ho bisogno di tornare là, di ricongiungermi a quella solitudine, a quella terribile libertà e a quel profondo buio da dove sono venuto e che sono sempre stati lì ad aspettarmi”.
Ma comunque la tensione e il desiderio di salvezza nel nulla e nell’insensibilità Moresco li esercita sul testo come un supplizio doveroso, attraverso un personale eroismo linguistico dedito agli inquietanti dettagli ricchi di parossismo simbolico. In uno dei brani di questa strana antologia, egli detta così una sua poetica basata sull’abbandono alle autonome virtù costruttive della parola, un procedimento di lucida anarchia “Come ci si dovrà dunque regolare nella stesura di un romanzo, che cosa si dovrà scrivere senza doversi addossare la colpa di mutilare, stravolgere e banalizzare la cosiddetta realtà (magari dietro l’arrogante pretesa di volerla rappresentare) ? Più onesto è, a mio parere, partire dalla povera parola che abbiamo e lasciare che essa, se lo può, porti a una qualsiasi concretezza, a un qualsiasi pensiero”.
E la parola di Moresco è così prensile sugli eventi suscitati che pare ricreare un mondo fitto e parallelo, perfino tipograficamente, ricordiamo le migliaia di pagine dei suoi libri. Un mondo dove la caduta dell’umanità non è paventata, ma più estremo di Houellebecq è già avvenuta. La caratteristica di questo Stelle in gola, ovvero opere trattenute al confine fonetico, è la creazione dei testi nel tempo “Questo libro abbraccia un arco di 55 anni[…] Non saprei dire perché queste pagine si sono salvate mentre molte altre (che non erano sicuramente peggiori) sono andate distrutte. Ma è un fatto che queste […] sono sopravvissute mentre tutto il resto no”.
Ciò crea una interessante varietà di linee espressive e, a parte quelle già accennate rientranti nel grande filone entropico, di commovente bellezza sono quelle di memorialistica relative ai vecchi genitori, alla vita in seminario e quelle di perfetta unità e suggestione dei brevi racconti come Il silenzio, La bambina, Scena del fiume.
Antonio Moresco, Stelle in gola, Milano, Ed. SEM (Società editrice milanese), 2021