p. 98-102 > da Briggflatts: Un’autobiografia di Basil Bunting

 da Briggflatts: Un’autobiografia di Basil Bunting

Traduzione di Gianluca Rizzo

 

L’originale si legge online sul sito della Poetry Foundation, a questo indirizzo:
https://www.poetryfoundation.org/poetrymagazine/poems/30206/briggflatts

 

I

Vantati, dolce tenore d’un toro,

improvvisa sul madrigale del Rawthey,[1]

ogni sasso fa la sua parte

nella tarda primavera del pianoro.

Balla sulle punte, toro,

nero contro il biancospino[2].

Ridicolo e amorevole

rincorri ombre a ostacoli

da mane a sera.

Biancospino sulla pelle del toro

e per tutto il vallone

i solchi s’empiono di biancospino,

aprendo la strada all’orbettino.

 

Batte un muratore il martello

al canto di un’allodola,

ascolta quando il marmo riposa,

pone il regolo

sull’orlo d’una lettera,

controlla coi polpastrelli,

finché la pietra compita un nome

che non nomina nessuno,

un uomo abolito.

Allodola dolorosa, che fatica a levarsi!

Il martello solenne dice:

Lui nella tomba a giacere

e noialtri qui a marcire.

 

Putredine spinge la spiga,

il grano s’alza sugli escrementi

tremante. Il Rawthey freme.

La lingua inciampa, errano le orecchie

per paura della primavera.

Con la sabbia strofina la pietra,

arenaria bagnata per strappar

via la ruvidezza. Dolgono

le dita sulla pietra strofinata.

Il muratore dice: Càpitano

per caso, le rocce. Qui

nessuno serra l’uscio di casa,

l’amore è pieno di piaghe.

 

Pietra liscia come pelle,

freddi come morti caricano

un carro di notte.

La luna siede sul pianoro

ma verrà a piovere.

Sotto i sacchi sulla pietra

due bambini se ne stanno distesi,

ascolta l’urinare del cavallo,

il fischiettare del muratore,

le briglie mormorano all’asta,

l’asse stride al cerchione,

il solco tonfa col mozzo,

ghiaia stritolata.

 

Calza a calza, maglia a maglia,

testa a duro braccio,

si baciano sotto la pioggia,

ammaccati dal loro letto di marmo.

A Garsdale, l’alba;

a Hawes, tè dal barattolo.

Smette di piovere, sacchi

fumano al sole, si siedono dritti.

Baffi come fili di rame,

occhi che riflettono il mare

e con parlata da controcanto baltico

dichiarano: È vicino a rocce come

queste che hanno ucciso Bloodaxe.[3]

 

Un sangue selvaggio gli pulsa nella lingua,

parole magre.

Crani rasati per cappelli d’acciaio

s’adunano attorno a Stainmore.[4]

I ruscelli lì da loro risuonano sul calcare,

sussurrano alla torba.

Il carro impantanato spinge giù il cavallo.

In un’aria così soffice

arrancano e cantano,

sciorinando per aria melodie oneste.

Tutti i suoni ammutoliscono,

un mormorio per il pianoro,

pavoncelli giocano a nascondino.

 

Il polso di lei e il passo di quegli altri,

palmo contro palmo,

fino a riempire un fosso,

pietra bianca come il formaggio

lancia provocazioni a valle.

Legno nodoso, difficile da spaccare,

si fa cenere lentamente;

odore di mele ottobrine.

Per strada di nuovo,

al trotto.

Più zuppi, più caldi, guardano

il muratore che medita

sul nome e la data.

 

La pioggia sciacqua la strada,

il toro gronda e si lagna.

Dal fornello zuppa di segale acida

con panna e tè nero,

carne, crosta e mollica.

I genitori di lei a letto

i bambini si asciugano i vestiti.

Davanti al fuoco lui ha sciolto

il nastro delle mutande di lei

a strisce, di flanella. Nuda

sul tappetino di stracci bucato

le dita di lui pettinano la paglia,

tetto alla casa della sua virilità.

 

Voci gentili e generose intrecciano

parole sulla notte

nuda per rassicurare e dilettare

fino all’alba degli uccelli.

Lei attinge acqua piovana

dal barile e flanella

per lavarlo, centimetro per centimetro,

baciando i ciottoli.

Orbettino lucido partecipa al miracolo.

Il muratore si sveglia:

Parole!

Le penne sono troppo leggere.

Per scrivere, ci vuole lo scalpello.

 

Ogni nascita un crimine,

ogni sentenza una vita.

Netta di muffa e acari

la palla righerebbe dritto?

Nessuna speranza di ritorno.

Mastini esitano e si perdono,

la vergogna fa deviare la penna.

L’amore assassinato non sanguina né soffoca

ma sprona il gomito dell’artigiano.

Cosa può lui, cambiato, dire

a lei, cambiata, e forse morta?

Il piacere svanisce. Il biasimo

resta il medesimo.

 

È difficile trovare parole brevi,

forme da incidere e abbandonare:

Bloodaxe, re di York,

re di Dublino, re di Orkney.

Non badare alle lacrime;

scava lettere nella pietra che durino

più dell’amore messo da parte altrimenti

felicità insopportabili impediranno

la fuga a Stainmore,

per rintracciare

allodola, martello,

ruscelli, stormi

e colpi d’ascia.

 

Il letame non sporcherà il mosaico

dell’orbettino. Senza fiato l’allodola

cade e fa il nido nella spazzatura fradicia;

il Rawthey truculento, sudicio.

Il servo del martello, il biancospino sfiorito,

la nebbia sui pianori. Di primavera la colpa

e con la coda della stagione

amputata gli anni soffrono dacché

il toro è manzo, l’amore convenienza.

Morire è più facile che ricordare.

Nome e data

divisi in soffice ardesia

cancellano alcuni mesi.


[1] Fiume nella regione della Cumbria, nel nord ovest dell’Inghinlterra, parte del “lake district” e dunque di una zona di grande bellezza paesaggistica che ha ispirato artisti e letterati per secoli.

[2] Bunting qui usa “may” che è sia il nome del mese, “maggio”, che un nome regionale per il biancospino, altrimenti detto “hawthorn”. Anche se da noi, in alcuni usi regionali, alcune specie di fiori primaverili si dicono “maggi”, s’è preferito usare un pascoliano biancospino.

[3] Erik Haraldsson, detto anche Bloodaxe, cioè Ascia Insanguinata, ovvero Brother-Slayer, cioè Ammazza-Fratelli, era un re norvegese che ha soggiogato York e la Northumbria per due volte, fra il 947 e il 948, e poi fra il 952 e il 954. Si è guadagnato appellativi tanto truculenti con l’abitudine a giustiziare fratelli e sodali sospettati di volerlo tradire. Si tratta di una figura abbastanza importante nel folklore locale, ma per Bunting forse il dato più importante è che il poeta vichingo Egil Skallagramsson (circa 910-990), dopo aver rinnegato Eric e ucciso uno dei suoi figli, trovandosi suo prigioniero, per farsi perdonare, scrisse un poema elogiativo in suo onore, tuttora conservato sotto il titolo di Egils Saga.

[4] Dopo la seconda cacciata da York, Eric venne ucciso a Stainmore. I crani rasati menzionati più sopra potrebbero essere quelli dei vichinghi che gli hanno teso l’imboscata, così come le colline intorno al passo di Stainmore, le cui cime sono, appunto, brulle.