Traduzione di Gianluca Rizzo
L’originale si legge online sul sito della Poetry Foundation, a questo indirizzo:
https://www.poetryfoundation.org/poetrymagazine/poems/30206/briggflatts
I
Vantati, dolce tenore d’un toro,
improvvisa sul madrigale del Rawthey,[1]
ogni sasso fa la sua parte
nella tarda primavera del pianoro.
Balla sulle punte, toro,
nero contro il biancospino[2].
Ridicolo e amorevole
rincorri ombre a ostacoli
da mane a sera.
Biancospino sulla pelle del toro
e per tutto il vallone
i solchi s’empiono di biancospino,
aprendo la strada all’orbettino.
Batte un muratore il martello
al canto di un’allodola,
ascolta quando il marmo riposa,
pone il regolo
sull’orlo d’una lettera,
controlla coi polpastrelli,
finché la pietra compita un nome
che non nomina nessuno,
un uomo abolito.
Allodola dolorosa, che fatica a levarsi!
Il martello solenne dice:
Lui nella tomba a giacere
e noialtri qui a marcire.
Putredine spinge la spiga,
il grano s’alza sugli escrementi
tremante. Il Rawthey freme.
La lingua inciampa, errano le orecchie
per paura della primavera.
Con la sabbia strofina la pietra,
arenaria bagnata per strappar
via la ruvidezza. Dolgono
le dita sulla pietra strofinata.
Il muratore dice: Càpitano
per caso, le rocce. Qui
nessuno serra l’uscio di casa,
l’amore è pieno di piaghe.
Pietra liscia come pelle,
freddi come morti caricano
un carro di notte.
La luna siede sul pianoro
ma verrà a piovere.
Sotto i sacchi sulla pietra
due bambini se ne stanno distesi,
ascolta l’urinare del cavallo,
il fischiettare del muratore,
le briglie mormorano all’asta,
l’asse stride al cerchione,
il solco tonfa col mozzo,
ghiaia stritolata.
Calza a calza, maglia a maglia,
testa a duro braccio,
si baciano sotto la pioggia,
ammaccati dal loro letto di marmo.
A Garsdale, l’alba;
a Hawes, tè dal barattolo.
Smette di piovere, sacchi
fumano al sole, si siedono dritti.
Baffi come fili di rame,
occhi che riflettono il mare
e con parlata da controcanto baltico
dichiarano: È vicino a rocce come
queste che hanno ucciso Bloodaxe.[3]
Un sangue selvaggio gli pulsa nella lingua,
parole magre.
Crani rasati per cappelli d’acciaio
s’adunano attorno a Stainmore.[4]
I ruscelli lì da loro risuonano sul calcare,
sussurrano alla torba.
Il carro impantanato spinge giù il cavallo.
In un’aria così soffice
arrancano e cantano,
sciorinando per aria melodie oneste.
Tutti i suoni ammutoliscono,
un mormorio per il pianoro,
pavoncelli giocano a nascondino.
Il polso di lei e il passo di quegli altri,
palmo contro palmo,
fino a riempire un fosso,
pietra bianca come il formaggio
lancia provocazioni a valle.
Legno nodoso, difficile da spaccare,
si fa cenere lentamente;
odore di mele ottobrine.
Per strada di nuovo,
al trotto.
Più zuppi, più caldi, guardano
il muratore che medita
sul nome e la data.
La pioggia sciacqua la strada,
il toro gronda e si lagna.
Dal fornello zuppa di segale acida
con panna e tè nero,
carne, crosta e mollica.
I genitori di lei a letto
i bambini si asciugano i vestiti.
Davanti al fuoco lui ha sciolto
il nastro delle mutande di lei
a strisce, di flanella. Nuda
sul tappetino di stracci bucato
le dita di lui pettinano la paglia,
tetto alla casa della sua virilità.
Voci gentili e generose intrecciano
parole sulla notte
nuda per rassicurare e dilettare
fino all’alba degli uccelli.
Lei attinge acqua piovana
dal barile e flanella
per lavarlo, centimetro per centimetro,
baciando i ciottoli.
Orbettino lucido partecipa al miracolo.
Il muratore si sveglia:
Parole!
Le penne sono troppo leggere.
Per scrivere, ci vuole lo scalpello.
Ogni nascita un crimine,
ogni sentenza una vita.
Netta di muffa e acari
la palla righerebbe dritto?
Nessuna speranza di ritorno.
Mastini esitano e si perdono,
la vergogna fa deviare la penna.
L’amore assassinato non sanguina né soffoca
ma sprona il gomito dell’artigiano.
Cosa può lui, cambiato, dire
a lei, cambiata, e forse morta?
Il piacere svanisce. Il biasimo
resta il medesimo.
È difficile trovare parole brevi,
forme da incidere e abbandonare:
Bloodaxe, re di York,
re di Dublino, re di Orkney.
Non badare alle lacrime;
scava lettere nella pietra che durino
più dell’amore messo da parte altrimenti
felicità insopportabili impediranno
la fuga a Stainmore,
per rintracciare
allodola, martello,
ruscelli, stormi
e colpi d’ascia.
Il letame non sporcherà il mosaico
dell’orbettino. Senza fiato l’allodola
cade e fa il nido nella spazzatura fradicia;
il Rawthey truculento, sudicio.
Il servo del martello, il biancospino sfiorito,
la nebbia sui pianori. Di primavera la colpa
e con la coda della stagione
amputata gli anni soffrono dacché
il toro è manzo, l’amore convenienza.
Morire è più facile che ricordare.
Nome e data
divisi in soffice ardesia
cancellano alcuni mesi.
[1] Fiume nella regione della Cumbria, nel nord ovest dell’Inghinlterra, parte del “lake district” e dunque di una zona di grande bellezza paesaggistica che ha ispirato artisti e letterati per secoli.
[2] Bunting qui usa “may” che è sia il nome del mese, “maggio”, che un nome regionale per il biancospino, altrimenti detto “hawthorn”. Anche se da noi, in alcuni usi regionali, alcune specie di fiori primaverili si dicono “maggi”, s’è preferito usare un pascoliano biancospino.
[3] Erik Haraldsson, detto anche Bloodaxe, cioè Ascia Insanguinata, ovvero Brother-Slayer, cioè Ammazza-Fratelli, era un re norvegese che ha soggiogato York e la Northumbria per due volte, fra il 947 e il 948, e poi fra il 952 e il 954. Si è guadagnato appellativi tanto truculenti con l’abitudine a giustiziare fratelli e sodali sospettati di volerlo tradire. Si tratta di una figura abbastanza importante nel folklore locale, ma per Bunting forse il dato più importante è che il poeta vichingo Egil Skallagramsson (circa 910-990), dopo aver rinnegato Eric e ucciso uno dei suoi figli, trovandosi suo prigioniero, per farsi perdonare, scrisse un poema elogiativo in suo onore, tuttora conservato sotto il titolo di Egils Saga.
[4] Dopo la seconda cacciata da York, Eric venne ucciso a Stainmore. I crani rasati menzionati più sopra potrebbero essere quelli dei vichinghi che gli hanno teso l’imboscata, così come le colline intorno al passo di Stainmore, le cui cime sono, appunto, brulle.