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Dediche dal Magazzino Sanguineti

Chiara Lungo

 

Occorre innanzitutto una premessa: le riflessioni che seguono non muovono da un quadro o da un censimento completo delle dediche presenti sui libri di Edoardo Sanguineti, ma sono necessariamente considerazioni parziali. In primo luogo, per la natura stessa del Magazzino Sanguineti[1], corposo, ricchissimo e vario insieme di libri – con i suoi circa 18.000 voll. – per il quale tentare bilanci complessivi è operazione non semplice. Poi perché attualmente si tratta di un cantiere aperto, in duplice direzione: da un lato le attività di catalogazione, quella libraria da poco conclusa e quella per i periodici, tuttora in corso; dall’altro i lavori relativi al progetto AMargine – Archivio digitale dei libri postillati di poeti italiani del secondo Novecento[2].

Scopo del progetto è individuare i segni di attenzione presenti nei libri (segni, sottolineature, postille), fornendone una banca dati digitale interrogabile su più fronti. Lo sguardo è dunque centrato sul poeta come lettore, ma talora la prospettiva si allarga ad altri interlocutori, per esempio attraverso le dediche che, sebbene non siano oggetto precipuo dell’indagine, possono essere registrate e descritte tramite un’apposita scheda dell’applicativo (data e dedicatore divengono allora possibili filtri di ricerca).

Circoscritto dunque il campo di azione, procedo con alcuni casi, scelti anche perché mi paiono particolarmente indicati per suggerire interrogativi e ragionamenti più ampi, di stampo tipologico/tassonomico, sul genere della dedica, argomento al centro del nostro confronto.

 

Tra le «dediche d’esemplare» del Magazzino Sanguineti

Partirò dalle forme della «dedica d’esemplare», la nota manoscritta apposta di norma dal dedicatore sulle “soglie” – per richiamare il fondamentale studio di Genette, da cui questa definizione proviene – della singola copia di un’opera a stampa[3].

Le dediche di questo tipo interessano il 10% circa dei volumi finora analizzati del Magazzino[4]. Sono scritte eterogenee, che non solo tracciano e testimoniano rapporti personali, ma confermano affinità o apprezzamento di grandi capostipiti (per esempio Giuseppe Ungaretti[5]) e nei più giovani mostrano ammirazione e affiliazioni, in forma devota (Tiziano Scarpa[6]), ludica (Aldo Nove[7]) anche accompagnata da disegni (Giuseppe Caliceti[8]).

Le dediche lambiscono talora punti focali, nodi di riflessione e vicende complesse della storia letteraria italiana e permettono di riscostruire vicinanze, anche generazionali, di ideologie o di interessi non solo relativi al Novecento e non solo italiani: mi limito all’esempio delle dediche di Haroldo De Campos[9] o di Jacqueline Risset[10] che rimandano al contempo al comune interesse dantesco e alle riflessioni e al clima delle neoavanguardie internazionali.

Restando in ambito neoavanguardistico, ecco allora, naturalmente, gli scambi tra gli esponenti del complesso e polifonico Gruppo 63, su cui mi soffermo più da vicino, scegliendo due casi.

Il primo ci conduce nell’area Pagliarani, il nome dell’autore che ci riunisce qui oggi. Troviamo tracce di un rapporto costante, incentrato sull’«amicizia» e sull’«ammirazione», fin dagli esordi. Testimoni ne sono quattro volumi, per un periodo complessivo di quasi trent’anni: dalla prima nota manoscritta su Inventario privato nel febbraio 1959, fino a quella del maggio ’85 su una copia di Esercizi platonici.

Mi pare significativo citare anche un invito a stampa (usato come segnapagina da Sanguineti nel volume di Pagliarani, La bella addormentata nel bosco), relativo alla presentazione, il 9 maggio 1988, del primo numero di «Videor», l’interessante esperimento di «rivista di poesia su videocassetta»[11], diretta da Pagliarani, ma di cui farà parte, com’è noto, anche Sanguineti.

Il secondo esempio riguarda Massimo Ferretti, e viene da una copia di Rodrigo, il romanzo, come dichiara anche il sottotitolo, edito nel 1963. Il libro riporta il caso insolito di una dedica doppia. Le due funzioni che abitualmente si possono riscontrare in una dedica d’esemplare – elogio del dedicatario e della sua opera (anche come captatio benevolentiae) e richiesta di un giudizio/recensione – qui sono presenti, ma disgiunte. La prima dedica, con data dicembre 1963, è infatti un elogio dell’opera di Sanguineti, in particolare di Capriccio italiano, edito nello stesso anno. La seconda è una richiesta di giudizio, che ruota attorno alla parola «complesso», parola-chiave non solo della nota manoscritta, ma anche della storia dell’autore e del suo breve capitolo nella vita letteraria italiana, che credo opportuno ripercorrere in sintesi, attraverso i dati conosciuti[12].

Ventenne marchigiano, tormentato fin dall’infanzia da una endocardite reumatica, Ferretti deve il suo esordio ufficiale a Pasolini e alle pagine di «Officina»[13]. Secondo Pasolini, il giovane poeta «produce i versi più intimamente gioiosi e vitali degli ultimi anni»[14]: il centro propulsore della sua poesia starebbe proprio nella condizione dolorosa della malattia, che ha prodotto una maturità anticipata, lo stesso centro e dissidio interno, che troviamo espresso nel distico finale di In trattoria «Il mio complesso è una tragedia antica: / devo scrivere e vorrei ballare»[15].

Ma veniamo ora all’anno cruciale, il 1963, anno, come s’è detto, delle due dediche. Grazie all’intervento di Pasolini, la raccolta di poesie Allergia – anagramma di Allegria[16], cui forse si apparenta per l’ungarettiano spirito di naufragio – vince il premio Viareggio, sezione letteratura per l’opera prima. Lo stesso anno vede la luce Rodrigo, romanzo sperimentale, secondo Raffaeli «concepito sul calco autobiografico d’una short story da incubo familiare»[17] sempre per Garzanti. Ma il ’63 ha ancora una tappa, che concorre a far precipitare il già deteriorato rapporto con Pasolini: Ferretti accetta l’invito a partecipare al convegno di Palermo del Gruppo ’63 – è uno dei «vagantes», come lo ricorderà Eco[18];– e legge in pubblico pagine inedite di un altro lavoro, l’ultimo prima del ritiro dalla vita letteraria, Il gazzarra. Qui si chiude il cerchio (e il «complesso»): Sanguineti definisce pubblicamente la performance di Ferretti «stile da complesso d’inferiorità»[19], da cui la richiesta di un nuovo giudizio nella seconda dedica a Rodrigo. Interessante notare che proprio Il Gazzarra, dopo varie incertezze di Ferretti, sarà edito infine non per Garzanti come gli altri due libri, ma per i tipi di Feltrinelli, nel 1965, con lettura preliminare di Sanguineti[20].

Nella successiva edizione del libro (Ponte alle grazie, 1993), sarà Alfredo Giuliani, nella sua bella prefazione, a parlare del rapporto con Ferretti, proprio attraverso una dedica:

[…] Era maturato in fretta, pur appartenendo a quel genere di uomini che conservano sempre dentro di sé la puerizia, il modo di essere ragazzinesco. Questo ci univa più di tante altre cose che potevamo avere in comune. Una misteriosa amicizia tra ragazzi. Sulla copia che mi dette del Gazzarra appena uscito aveva scritto con un pennarello: "per Giuliani – perché è felice". La dedica sorprendente rivelava alcunché di lui e di me, era il segno di una misteriosa amicizia tra "ragazzi".

 

Lettere dedicatorie d’esemplare

Per proseguire il discorso, muovo da una definizione vocabolarista del termine dedica:

dèdica s. f. [der. di dedicare]. – Atto, parole con cui si dedica qualche oggetto; in partic., lettera o epigrafe, stampata generalmente dopo il frontespizio e prima del testo, con la quale l’autore o l’editore offre un libro. Anche, frase riverente o affettuosa scritta personalmente dall’autore o dall’editore sui singoli esemplari destinati ad amici, critici, ecc.[21]

La definizione rispecchia in sostanza classificazione complessiva di Genette, con «dedica d’opera» (o d’edizione) e «dedica d’esemplare» (in francese espressa attraverso l’impiego di due verbi diversi, che aiutano la distinzione: dédier per la dedica d’opera, dédicacer per la dedica d’esemplare)[22].

La classificazione non è però simmetrica. Se infatti abbiamo per la dedica d’opera (cioè la dedica a stampa) sia la possibilità dell’epigrafe, sia quella della lettera dedicatoria; per la dedica d’esemplare compare solo la forma epigrafica, la «frase» del vocabolario. Il quarto elemento, l’assente, sarebbe la lettera/epistola dedicatoria come dedica d’esemplare, che non è ovviamente considerato da Genette perché fuori dalle soglie dell’opera-libro, o meglio, fuori d’esemplare. Nell’ottica di riflessioni più ampie sul genere della dedica in biblioteche d’autore novecentesche, mi pare invece che sia utile considerare anche questo elemento: la lettera di accompagnamento al volume può infatti contenere elementi preziosi aggiuntivi rispetto alla semplice dedica-epigrafe.

Ne mostro un esempio, dal Magazzino Sanguineti[23]. Tra i libri, è presente anche uno specimen, stampato nel 1967, della nascente Enciclopedia dantesca, inviato da Umberto Bosco, direttore dei lavori. Il saggio è accompagnato da una lettera dedicatoria che avanza anche una proposta di collaborazione, chiedendo di redigere alcune voci. Per ragioni non note, forse legate ai tempi di consegna, la proposta non avrà seguito e le voci saranno in parte affidate ad altri collaboratori.

Un ultimo caso, curioso e molto specifico vede invece l’impiego delle dediche come referenze. È il caso di Giuseppe Fontanelli (1913-2004), maresciallo, custode di casa Boccaccio a Certaldo per venticinque anni, compositore di versi in proprio e conoscente/amico di Montale. Fontanelli chiede a Edoardo Sanguineti, che non conosce, notizie del volume I poeti di Montale (uno dei due volumi genovesi per gli ottant’anni del poeta)[24], e allega alla sua lettera, in fotocopia, come referenze e a testimonianza del legame con Montale, le dediche possedute sia del poeta stesso, sia di altri autori noti del Novecento. Tra le copie di dediche montaliane, ne cito soltanto una, il cui originale si trova oggi presso il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia, ed è parte del fondo Fontanelli, donato da lui stesso[25]. La dedica proviene dal frontespizio del volumetto T. S. Eliot tradotto da Eugenio Montale (All’insegna del pesce d’oro, 1958) ed è rivolta al «Maresciallo delle Muse, oggi retrocesso a sottotenente»[26]. Segue una breve poesia, oggi raccolta, insieme con la dedica a Fontanelli, tra le Poesie disperse di Montale (dunque con passaggio da dedica d’esemplare a dedica d’opera/edizione). Eccone il testo: «Tornerei a Certaldo / se tal poeta io fossi / che il Balducci (Ronaldo, / anzi ribaldo) / non mi trattasse peggio d’uno straccio, / posponendo al Boccaccio i miei grami Ossi. / E così resto solo nelle grigie / (solferine) cantine dello Stige»[27].

È Vittore Branca, dalle pagine del «Corriere della Sera», il 5 settembre 1982, a svelarne l’occasione, pubblicando anche il testo integrale della dedica/poesia[28]:

[Montale] Era alle volte a Certaldo ospite alla tavola dl un proprietario terriero, Ronaldo Balducci; e c'era anche il caro e pittoresco conservatore della casa del Boccaccio, Giuseppe Fontanelli. ex-maresciallo dei carabinieri, promosso a sottotenente per le straordinarie virtù di cavallerizzo, poeta generoso, accolto anche nell'antologia vallecchiana di Fasolo.

Alle insistenze di averlo ancora a Certaldo in un incontro boccacciano del ‘58, Montale rispose con dispiacere che no, non poteva: ma per esser con noi inviò i ridenti versi che pubblichiamo per la prima volta, con l'anatema alla cattiva tavola di quell'ospite, col gioco estroso fra gli «Ossi»·suoi e quelli del Boccaccio, con l'allusione – credo unica – al suo impegno quotidiano al «Corriere», in quella ormai famosa stanza al pianterreno di via Solferino («Mi hanno messo in cantina, accanto alle porte degli Inferi: allo sportello delle necrologie», diceva fra l'agro e il sorriso agli amici).

Complessi, occasioni, (mancati) incontri, dunque: sono solo alcuni esempi dei possibili percorsi e intrecci che si possono rivelare dalle parole in soglie e dalle soglie del Magazzino Sanguineti.

 

[1] Nome con cui è nota, tra chi ci lavora, la biblioteca dell’autore: l’etichetta, che rimanda a Novissum Testamentum (1986): «il nostro mondo è un grande magazzino», era già stata impiegata in Magazzino Sanguineti. Sette stanze sull’opera di Edoardo Sanguineti, mostra a cura di Erminio Risso, Loggia degli Abati, Palazzo Ducale, Genova, 23 maggio - 27 giugno 2004. La biblioteca, donata dalla moglie Luciana Garabello al Comune di Genova, è oggi ospitata nelle splendide sale della Biblioteca Universitaria nella stessa città: colgo l’occasione per ringraziarne il direttore, Paolo Giannone; il responsabile delle biblioteche d’autore, Giancarlo Morettini, e il personale tutto per la fondamentale collaborazione e il prezioso aiuto. Ringrazio inoltre gli eredi, e in particolare Giulia Sanguineti, per la generosa disponibilità.

[2] Si tratta dello stesso progetto PRIN cui afferiscono gli interventi di chi mi ha preceduta – Federico Milone per Alfredo Giuliani; Fabrizio Miliucci per Franco Fortini – di cui fanno parte le Università di Genova, Pavia e Torino. Per il Magazzino Sanguineti gli addetti ai lavori siamo Giuseppe Carrara e io; l’area di indagine è finora quella relativa perlopiù alla letteratura italiana, dalle origini al Novecento, con segnatura STUDIO ES (volumi in origine conservati nello studio dell’autore).

[3] Si veda l’intero capitolo Le dediche, in G. Genette, Soglie, Torino, Einaudi, 1989 (Seuils, 1° ediz. 1987), pp. 115-140; per la «dedica d’esemplare» si rimanda in particolare alle pp. 134-135.

[4] Il totale dei libri presi in esame si aggira intorno ai 9000 esemplari. Per le opere antiche, ovviamente, il compilatore delle dediche d’esemplare non sarà l’autore, ma il curatore della specifica edizione.

[5] A commento del rapporto tra i due autori, cito almeno le significative dichiarazioni di Sanguineti in un’intervista di Giuliano Galletta, per «Il Secolo XIX», 20 ottobre 2009, ora in E. Sanguineti, La ballata del quotidiano, Genova, Il Melangolo, 2012: «Quando [Ungaretti, ndr] lesse il libro [Laborintus, ndr] si entusiasmò davvero, mi scrisse e decise di presentare e sostenere il mio libro al Premio Viareggio. Le nostre poesie non avevano naturalmente nulla in comune, se non, forse, solo il fatto di essere “difficili”; ma la difficoltà era del tutto diversa dalla mia. Ciononostante Ungaretti amò le mie poesie forse in ricordo di quando a Parigi aveva frequentato le avanguardie. Fu poi lui a invitarmi agli incontri letterari di Cerisy-la-Salle. Tornai altre volte in Normandia dove conobbi il gruppo di “Tel Quel” e incontrai Octavio Paz che anni dopo mi avrebbe invitato a Parigi per realizzare, da Gallimard, l'opera poetica collettiva Renga con lui, Roubaud e Tomlinson». Le dediche confermano un rapporto di stima e di affetto già noto: si veda per esempio la notizia, dal sito divulgativo Magazzino Sanguineti, di una lettera di Ungaretti, «un breve scritto che augura a Sanguineti una carriera luminosa, che a Ungaretti pare sicura», all’indirizzo: http://magazzinosanguineti.it/tra-gli-inediti/. Nella dedica apposta sulla copia del volume G. Ungaretti, Lettere a un fenomenologo, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1972, Ungaretti riprende inoltre l’autodefinizione «i settecentomila occhi del più smorfioso goha di suk d’antan» (cito dal saggio introduttivo al volume, di Enzo Paci, p. 12), attribuitasi durante gli scatti fotografici inclusi nell’opera.

[6] Si veda la dedica apposta alla copia di Che cos’è questo fracasso? nella quale compare un elenco aggettivale laudatorio, all’insegna della lessicomania.

[7] A. Nove, Maria, Torino, Einaudi, 2007.

[8] G. Caliceti, Ad alta voce: poesie interattive, Milano, Addictions, 2002.

[9] Nel Magazzino Sanguineti è conservata una copia di O Meu Dante, quaderno dell’Instituto cultural italo-brasileiro, realizzato in occasione delle celebrazioni per il centenario dantesco del 1965, in cui compare un interessante contributo dello stesso De Campos, Dante e a poesia de vanguardia, con dedica.

[10] Jacqueline Risset invia una copia del suo «Inferno francesizzato» (Flammarion, 1985) a Sanguineti, «poeta dantista / e paradisiaco».

[11] Come indicato nell’invito a stampa stesso.

[12] Tentativi di riportare l’attenzione sul dimenticato scrittore sono stati fatti in più tempi, a partire dalla ripubblicazione dei suoi libri: Il gazzarra (Ponte alle grazie, 1992), con prefazione di Alfredo Giuliani; Rodrigo (Sestante, 1993), a cura di Massimo Raffaeli; Allergia (Marcos y Marcos, 1994, con postfazione di Massimo Raffaeli; poi Giometti & Antonello, 2019), fino all’istituzione di un premio di poesia a lui intitolato (prima edizione, maggio 2021). Massimo Raffaeli aveva già curato nel 1986 il prezioso volume M. Ferretti, Lettere a Pier Paolo Pasolini e altri inediti, Chiaravalle, Centro culturale polivalente del Comune di Chiaravalle, 1986 (al quale rimando per tutte le citazioni dai documenti epistolari). Ricordo inoltre la monografia di E. Pigliapoco, Fuori dal coro. L'opera di Massimo Ferretti, Ancona, Edizioni peQuod, e rimando per i complessi e complicati rapporti con Pasolini a una recente lezione di M. Berisso, Pasolini e Ferretti, per il ciclo di seminari Contra Pasolini, Università di Genova, a. a. 2021-2022.

[13] Cfr. P. P. Pasolini, Il neosperimentalismo, «Officina», n. 5, febbraio 1956, pp. 169-182.

[14] Ivi, p. 173.

[15] La poesia di Ferretti viene pubblicata sempre su «Officina», nella Piccola antologia neosperimentale di Pasolini, che provocherà la nota polemica (e la rottura dei rapporti tra Sanguineti e Pasolini); cfr. P. P. Pasolini, La libertà stilistica, «Officina», nn. 9-10, giugno 1957, pp. 341-346.

[16] Si veda A. G. Solari, Gli squali di Viareggio, «Lo specchio», anno IV, n. 35, 01.09.1963: «Ferretti, dunque, avvicinatosi untuosamente a Ungaretti, gli dichiarava che il titolo del suo libro voleva essere l’anagramma del primo glorioso libro del maestro intitolato Allegria. Chissà Ungaretti a cosa d’altro pensava ridendo così clamorosamente».

[17] La citazione proviene dal già citato M. Ferretti, Lettere a Pier Paolo Pasolini e altri inediti; soggiace a Rodrigo la tragica vicenda familiare del suicidio del giovane cugino di Ferretti.

[18] Dalla prolusione dell’8 maggio 2003, Bologna, per i quarant’anni del Gruppo 63.

[19] La notizia è riportata, tra gli altri, in La poesia delle Marche: il Novecento, a cura di G. Garufi, Ancona, Il lavoro editoriale, 1998, p. 50.

[20] Ne parla Ferretti, in una lettera al fratello Maurizio del 14 aprile 1965, poco dopo la firma del contratto, lamentando con cruda amarezza il parallelo/equazione dei ruoli di Pasolini per Garzanti e di Sanguineti per Feltrinelli: «ho concluso con Feltrinelli […] Quello che ti dico subito è che il libro è stato fatto leggere (per iniziativa di Feltrinelli, mi ha detto Filippini) a Sanguineti. La cosa è schifosa: per pubblicare con G.[arzanti] sono dovuto passare attraverso P.[asolini], per pubblicare con F[eltrinelli]. attraverso S.[anguineti] | G.: P. = F.: S.| Le equazioni non me le ricordo: ma credo che questa sia giusta.» (M. Ferretti, Lettere a Pier Paolo Pasolini e altri inediti, cit., p. 179).

[21] Definizione tratta dal Vocabolario Treccani.

[22] G. Genette, Soglie, cit., in particolare p. 115.

[23] Lettere dedicatorie erano in origine conservate dall’autore tra le pagine dei volumi della sua biblioteca.

[24] Il riferimento è a I poeti di Montale, nell’elegante edizione a carte sciolte per Bozzi, Genova 1978 (pubblicato in parallelo a Letture montaliane, sempre per Bozzi, Genova, 1977).

[25] Ringrazio il Centro Manoscritti di Pavia e in particolare il direttore Giuseppe Antonelli, Chiara Andreatta e Nicoletta Trotta, per avermi permesso la consultazione dei materiali del Fondo Fontanelli.

[26] Il volume faceva parte dei materiali esposti in occasione della mostra Da Montale a Montale: autografi, disegni, lettere, libri, a cura di Renzo Cremante, Gianfranca Lavezzi, Nicoletta Trotta, Pavia, 2004, per cui si rimanda al relativo catalogo a stampa (CLU, 2004).

[27] Il testo si trova in E. Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, p. 823.

[28] Dedica e testo poetico erano già stati pubblicati l’anno precedente in un articolo-intervista a Fontanelli (a firma B. B.): Un Eugenio Montale inedito ricordato da un amico che gli fu spesso vicino, «La Nazione», 30 settembre 1981; compaiono poi come s’è detto in V. Branca, Montale, gli Ossi e le ossa del Boccaccio, «Corriere della Sera», 5 settembre 1982. Nell’articolo, Branca collega il riferimento montaliano alle ossa del Boccaccio a un precedente incontro di gruppo, presenti Montale e Maria Luisa Spaziani, a Certaldo, nel ’49 e a notizie di cronaca del periodo, relative a uno «strombazzato ritrovamento di certe ossa che sarebbero state del Boccaccio».