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‘Donum auctoris’. Dediche di edizione e dediche di esemplare nel libro di Antico Regime

Marco Paoli

 

Una distinzione preliminare che si può operare all’interno del secolare rapporto tra dedica e libro a stampa è quella tra dedica di edizione e dedica di esemplare, vale a dire tra la dedica, composta con i caratteri tipografici e che interessa l’intera tiratura, e la dedica vergata dall’autore o da altri a penna in una delle pagine liminari, che interessa un singolo esemplare dell’edizione. Dal punto di vista tipologico, le dediche di edizione si dividono in epistole dedicatorie, ovvero autonomi microtesti anteposti all’opera vera e propria, che costituiscono la grande maggioranza delle occorrenze, in dediche testuali, quando l’indirizzo al dedicatario è inserito nel testo stesso dell’opera, come, ad esempio nel caso del Furioso di Ariosto offerto al cardinale Ippolito I d’Este, e in dediche che potremmo definire ‘frontespiziali’, poiché l’intitolazione al dedicatario compare solo sul frontespizio dell’edizione, a volte in compagnia dello stemma gentilizio inciso di questi. Relativamente al carattere e alle finalità, le dediche di edizione possono ulteriormente distinguersi tra dediche venali (quando perseguono lo scopo di ottenere un ritorno economico o la corresponsione di un altro beneficio, quale un impiego o un avanzamento nella carriera), dediche professionali (quando l’intento è quello di accrescere con il nome del dedicatario il prestigio dell’opera all’interno di una determinata disciplina), e dediche amicali (o parentali), quando lo scopo è principalmente quello di rinsaldare vicoli di amicizia o di parentela. Vi possono essere poi anche dediche astratte, svincolate da qualsivoglia finalità pratica, come quelle rivolte a personaggi sacri in opere di argomento liturgico o devozionale, o quelle attivate da Alfieri con uno scopo eminentemente polemico o simbolico: la dedica della tragedia Agide al defunto Carlo I d’Inghilterra, re tiranno, con l’intento di ironizzare sul cieco autoritarismo, e la dedica «Alla Libertà» del trattato Della Tirannide[1]. Simili intitolazioni, ampiamente minoritarie nel panorama dell’Antico Regime, si collocano ovviamente al di fuori del sistema.  

        Passando alle dediche di esemplare, esse presentano una differenziazione tipologica più semplificata, in quanto possono essere inquadrate in due grandi famiglie: da una parte le dediche composte dall’autore del testo stampato in atto di presentare una copia della propria opera, dall’altra le dediche vergate di pugno da persona diversa dall’autore, vale a dire il momentaneo possessore del libro, che intende trasferirne la proprietà solennizzando il dono con un microtesto autografato che accompagnerà da quel momento in poi l’esistenza del volume; per citare un esempio assai noto di questa seconda fattispecie, l’esemplare dell’edizione giolitina della Commedia dantesca donato nel 1624 a Galileo Galilei da Orazio Morandi, abate di Santa Prassede di Roma, con una nota di invio che ricalca lo schema delle contemporanee dediche di edizione: «Al molto Ill.re  S.r  mio  oss.mo/ Il Sig.r Galileo Galilei/ di  S.ta Prassedia 1624/ Obbligatiss.o  Serv.re/ Don Orazio Morandi»[2]. Inutile insistere sulla prevalente rilevanza del primo raggruppamento, dato che alla circostanza del dono del libro si viene ora ad aggiungere il plusvalore rappresentato dal fatto che è l’autore in persona a compiere il gesto generoso. Sotto il profilo della finalità, le dediche di esemplare si allineano invece alla triplice partizione che abbiamo precedentemente ricordato per le dediche di edizione. Ve ne erano di quelle che assolvevano ad uno scopo eminentemente amicale, e che rappresentavano probabilmente la maggioranza del fenomeno, come si verifica ancora oggi nelle dediche contemporanee; altre avevano lo scopo di rafforzare il prestigio dell’opera e dell’autore presso gli addetti ai lavori o presso i lettori interessati alla materia;  altre ancora, infine, assolvevano ad uno scopo pratico, sfiorando la sfera della venalità e comunque quella dei rapporti interessati. Si inquadra in quest’ultima specie, la dedica autografa di Foscolo di un esemplare dei Sepolcri al bresciano Chiusi, da mettere quasi certamente in diretta relazione con il debito acceso dal poeta nei confronti del personaggio il 30 aprile del 1807, e che ha l’aria di una parziale compensazione di quanto dovuto[3]; ma vi rientra forse anche la dedica che Giovanni Battista Giraldi Cinzio indirizza al medico Nicolò Boldoni mosso dall’amicizia e dalla gratitudine («grati animi»), evidentemente a seguito di un intervento professionale del personaggio[4]. La finalità pratica legata all’operazione di dedica poteva avere anche carattere politico o ideologico, e ne è una tarda testimonianza la dedica del 1866 a Giuseppe Garibaldi di un esemplare de El derecho y la fuerza in cui l’autore,  il patriota spagnolo Wenceslau Aygulas de Izco, dopo aver definito l’eroe dei due Mondi «terror de los tiranos y esperanza de los pueblos», afferma che «una palabra vuestra en honor de nuestra revolución havria en España un efecto magico»[5].

        Pur con le loro differenti caratteristiche, la dedica di edizione e quella di esemplare presentano una sostanziale omogeneità dovuta al fatto che ambedue hanno in comune l’elemento del dono. Accade quindi che alcune volte le dediche di esemplare, espresse retoricamente in latino, contengano l’abbreviazione classica «D.D.» con valore di «Donum Dedit»; circostanza che si verifica anche nelle dediche di edizione qualora sia stato scelto per esse lo stile epigrafico. Le dediche di esemplare non prevedono di norma una procedura standardizzata come le dediche di carattere mecenatico, sottoposte ad un codice non scritto elaborato nel sedicesimo secolo, per cui, ad esempio, era posto in capo al dedicante l’obbligo di richiedere preventivamente l’autorizzazione ad indirizzare l’opera al patrono. Una cautela di questo tipo si può comprendere se si pensa che la pubblicazione della lettera dedicatoria, anche se ampiamente laudatoria nei confronti del dedicatario, poteva risultare sgradita o inopportuna, dal momento che entravano in gioco diversi fattori tra cui la valutazione dell’affinità tra il contenuto dell’opera donata e la cultura e la storia personale del patrono, e la rispondenza tra la dignità sociale di questi e il valore riconosciuto all’autore nella repubblica delle lettere. La dedica di un esemplare dell’opera al contrario, trattandosi di un’operazione squisitamente privata, non esponeva il dedicatario ad alcun imbarazzo; tantopiù che avveniva normalmente all’interno di rapporti interpersonali gia collaudati. Sotto questo profilo, la dedica di esemplare può essere accostata alle dediche di edizione di carattere non venale, quelle professionali o amicali, per le quali non valevano di norma le regole non scritte cui era sottoposta la dedica mecenatica.

        Un’altra caratteristica della dedica di esemplare emerge dalla prassi. Era pratica frequente personalizzare con una dedica autografa la copia di un’edizione peraltro già dedicata tipograficamente ad un diverso personaggio. Ne deriva una effettiva autonomia della dedica di esemplare, che può convivere con quella di edizione, trattandosi, si è detto, di due differenti tipologie di dono. Cito un esempio significativo. Il poeta e umanista Giovanni Andrea dell’Anguillara, intenzionato, dopo il successo ottenuto con il volgarizzamento delle Metamorfosi di Ovidio, a ridurre in lingua toscana e in ottava rima il poema di Virgilio, pubblica a sue spese, come saggio dell’impresa , Il primo libro della Eneida di Vergilio ridotto in ottava rima (Padova, Gratioso Perchacino, 1564), dedicandolo «Al Magnanimo Cardinale di Trento», vale a dire a Cristoforo Madruzzo. Nell’epistola al prelato annuncia la sua intenzione di portare a termine l’intera traduzione, confidando sul «favor, che da te bramo, e chero». In realtà, egli ha in mente un’operazione mecenatica di ben più vasta portata, affidata alla distribuzione di un alto numero di esemplari del volumetto a differenti patroni a cui chiedere separatamente un aiuto finanziario per l’attuazione dell’ambizioso progetto, fino ad ottenere la garanzia del proprio sostentamento per il periodo di tempo necessario al compimento dell’opera. A questo proposito, nella chiusa del libro pone una bizzarra nota, attestante che l’edizione era stata pensata per una mirata diffusione degli esemplari: «Tutti quelli che ringratieranno l’Autore del dono almeno con parole, o con lettere, saranno trovati da Enea ne Campi Elisi, dove saranno da Anchise lodati, gli altri per aventura si ritroveranno ne l’Inferno non senza colpa loro. La risposta si indirizzi a Venetia alla libraria della Serena». L’invio delle copie era fatto ricorrendo alla formula della dedica manoscritta, ma quasi certamente il dono dell’esemplare autografato era accompagnato da una lettera, come quella pervenutaci indirizzata a Ottavio Farnese, duca di Parma e Piacenza, in cui l’Anguillara esplicita la richiesta di «quell’aiuto che si richiede alla sua grandezza e magnanimità», affinché possa terminare l’opera di traduzione;  dalla lettera si apprende la coralità dell’iniziativa avviata: «Io ne mando per questo effetto a tutti i principi d’Italia, perché tutti concorrano ad aiutarmi»[6]. In realtà il raggio di diffusione pensato dal nostro autore era ancora più ampio. L’imperatore Massimiliano II ne ricevette una copia, conservata alla Ȍsterreichische Nationalbibliothek di Vienna[7], con questa semplice dedica: «Al re de Romani / Giovanni Andrea dell’Anguillara / dona di propria mano»[8]. L’esemplare riservato a Carlo IX, re di Francia, riporta un’iscrizione più articolata: «A Carlo Re di Francia / Christianissimo / Giovanni Andrea dell’Anguillara dona / di propria mano. & chiede aiuto / per finir il resto del libro / +Domino»[9].  La dedica di esemplare assolve quindi nel caso di Giovanni Andrea dell’Anguillara[10] ad un programma di ‘fund raising’ ante litteram, in quanto consente di moltiplicare a dismisura il numero dei patroni, paradossalmente per quante sono le copie di cui si compone la tiratura; e ciò autonomamente rispetto all’intitolazione dell’edizione al cardinale di Trento avvenuta precedentemente. Affinché tale operazione di dedicazione diffusa, attivata dall’intraprendente autore, funzionasse era necessario puntare sul valore che all’epoca si attribuiva all’oggetto-libro impreziosito dalla dedica autografa. Anguillara valorizza questo aspetto dell’offerta ai suoi mecenati, ricorrendo alla formula «dona di propria mano»; esplicitando cioè l’unicità del dono resa possibile dalla diretta manualità dell’autore, contrapposta evidentemente alla serialità della dedica tipografica. Se quindi la dedica editoriale aveva l’indubbio merito di diffondere con l’alto numero delle copie prodotte l’onore  e le virtù del patrono, la dedica di esemplare esprime una relazione personale, potenzialmente irripetibile, con il creatore dell’opera. E che lettori e possessori apprezzassero tutto ciò che rendeva unica e personale la copia di un’edizione tipografica è dimostrato dall’uso, manifestatosi fin da subito, di decorare con lettere calligrafiche e miniature i libri stampati, o di proteggerli con legature di pregio. La dedica di esemplare, sotto questo profilo, prende parte al fenomeno di sopravvivenza della componente individuale nella produzione e gestione del libro all’indomani della rivoluzione gutenberghiana, ancor vivo ai nostri giorni, in un’epoca in cui la stessa materialità dell’oggetto-libro è ora messa in discussione. L’apporto personale che l’autore poteva affiancare al processo meccanico di produzione del libro è ben sintetizzato dalla predetta formula «dona di propria mano» usata dall’Anguillara, e la sua efficacia comunicazionale dovette essere riconosciuta, e la ritroviamo, ad esempio, in versione latina, vergata da Giordano Bruno sull’esemplare del De umbris idearum (Paris, 1582) donato al suo discepolo Alexander Dicson, futuro scrittore e agente politico: «Domino Alexandro Dicsono Bonarum literarum optime merito. Jordanus Brunus Nolanus, in sui memoriam, et amicitiae prototipon dono dedit manu propria»[11].

        Uno studio sulle caratteristiche e diffusione della dedica di esemplare deve purtroppo tener conto della difficoltà di reperimento del materiale, dato che troppo spesso i lavori descrittivi delle raccolte librarie di Antico Regime hanno trascurato, specialmente nel passato, la presenza di note di possesso e di altre testimonianze manoscritte. Dal momento che la dedica in questione costituisce un indubbio accrescimento del valore di un esemplare dal punto di vista patrimoniale, tale da essere messo in evidenza da parte di colui che è intenzionato a venderlo, un’indagine condotta sui cataloghi di antiquariato porterebbe senz’altro a dei risultati soddisfacenti. Una mia personale ricerca basata su tredici cataloghi di vendita della Libreria Antiquaria Pregliasco di Torino, comprensiva della descrizione dettagliata di oltre 4300 libri, ha evidenziato il seguente esito: una dedica cinquecentesca (a firma del possessore e non dell’autore), nessuna seicentesca,  3 settecentesche, 7 ottocentesche, 6 novecentesche. 17 dediche, con la percentuale bassissima del 4 per mille. Restringendo poi le occorrenze al libro di stampa manuale il numero totale scende a sette: la dedica di un esemplare degli Epigrammata di Marziale (Venetiis, in Aedibus Aldi, 1501) donato dal primo possessore, Andreas Coner, all’umanista norimbergese, amico di Dürer, Willibald Pirckheimer[12]; le altre sono dediche autoriali, di Giovanni Jacopo de Marinoni ad Alessandro Zeno[13], di Vittorio Alfieri alla marchesa Castiglioni[14], di Saverio Bettinelli al conte Trissino[15], di Luigi Cibrario[16] e di Luigi Biondi[17], entrambe a dedicatario sconosciuto, e quella citata di Foscolo al Chiusi. La presente rilevazione ha ovviamente solo un valore indicativo, ma quantità così minime non possono non essere ugualmente significative. Del resto, pure un lavoro scientifico mirato, come la pubblicazione degli Autografi dei letterati italiani, che prende in considerazione anche i libri a stampa postillati, segnala, per il Quattrocento, il Cinquecento e i primi decenni del Seicento, solo poche decine di casi. Probabilmente siamo di fronte ad un comportamento che in tempi a noi prossimi è diventato assai diffuso (basti pensare al cosiddetto momento del firmacopie durante la presentazione al pubblico di un libro), ma che nei primi secoli della stampa dovette essere poco frequentato.

        Rare le attestazioni quattrocentesche. Ricordo il caso di Angelo Poliziano che personalizza alcuni esemplari della Miscellaneorum centuria prima (Firenze, Antonio Miscomini, 19 settembre 1489) con dediche autografe[18]. La situazione muta nel secolo successivo senza che si raggiungano quantità rilevanti. Anche dal limitato spoglio che viene qui presentato si evincono le potenzialità dell’istituto della dedica di esemplare quale strumento di celebrazione della relazione amicale o professionale[19], e occasione per rafforzare i legami dell’autore con i suoi stakeholders, nell’ambito del patronage e della circolazione della propria opera. Matteo Bandello intorno al 1520 destina un esemplare dell’orazione funebre scritta in lode di Francesco Gonzaga[20] al giureconsulto milanese Girolamo Archinto, futuro proprietario della location della narrazione di due sue novelle, quel giardino, ora «ameno e bello», ora «bellissimo», dove si consumava nelle ore canicolari frutta fresca e vino bianco (I, 55; III, 54). Il poligrafo milanese Ortensio Lando indirizza una copia del Commentario de le più notabili & mostruose cose d’Italia, & altri luoghi (s. n. t. [Venezia, 1548]) al facoltoso banchiere augustano e grande mecenate Johann Jakob Fugger con una dedica autografa del seguente tenore: «Jo: Jacobo Fucchero Dno. Meo colendissimo: Hortensius lan. dictus Tranquillus dono mittit»[21], dove è dichiarata apertamente la sua dedizione al patrono, ma dove è spazio anche per il proprio profilo di dedicante, identificato dal soprannome ‘il Tranquillo’ per la sua riconosciuta mansuetudine. Nel processo di ricerca del mecenate, la dedica di esemplare interviene anche con una funzione meno diretta, quando l’autore si rivolge a personaggi di per sé non in grado di elargire premi, ma che possono, con la loro posizione, favorire la protezione del potente. In quei casi, che possiamo documentare ai più alti livelli della produzione intellettuale del Rinascimento, l’autore persegue lucidamente un piano che nelle sue intenzioni dovrebbe fargli guadagnare, direttamente e indirettamente, i favori del mecenate. E’ il caso del medico e filosofo cosentino, in odore di eresia, Agostino Doni che accarezzava l’idea di porsi al servizio del re di Polonia Stefano Bathory, e che a tal proposito dedica al sovrano il De natura hominis libri duo (Basileae, Froben 1581); ma, evidentemente dubitoso dell’esito, indirizza con dedica autografa un esemplare del libro a Niccolò Buccella, medico di corte, nella speranza, dimostratasi poi vana, di ricevere un aiuto da parte del collega per ottenere i favori del Bathory[22]. La dedica di edizione e la dedica di esemplare vengono quindi ad affiancarsi nelle intenzioni tutt’altro che disinteressate dell’autore. Una simile destinazione della dedica autografa la si trova anche in un episodio della vita di Torquato Tasso, quando nel 1594 il poeta soggiornava a Napoli per recuperare la salute. In quell’occasione conosce l’abate Stanislaw Reszka, ambasciatore nella capitale del re di Polonia Sigismondo III, e progettando quasi certamente un possibile soggiorno polacco presso la corte dei Vasa[23], dona al personaggio una copia della Gerusalemme conquistata, uscita l’anno prima a Roma[24], con anteposta una dedica autografa, «di propria mano», sotto forma di un’ottava, con incipit «Rescio, s’io passerò l’alpestro monte». L’intitolazione («Il poema al sig.r Stanislao Rescio Nuncio Ill.mo») è ambigua, dato che Tasso gioca  sulla parola «poema», lasciando quasi intendere che il dono non riguardava solo l’ottava ma l’intero poema della Gerusalemme conquistata. Ancora un esempio di una dedica di esemplare indirizzata ad un membro della corte di un regnante è offerto dal grande astronomo danese Tycho Brahe: sua l’intitolazione autografa su di una copia della princeps della Astronomiae instauratae mechanica (Wandesburgi, 1598) al conte Paolo Sisto Trautson, al servizio della Casa d’Austria[25].

        Il Seicento italiano è  variamente rappresentato dalla pratica della dedica di esemplare, anche se il materiale raccolto in questa sede è assai parziale. Ne è risultata una situazione contradditoria che non mi sento però, in attesa di ulteriori approfondimenti, di confermare. Due dei protagonisti della dedica di edizione barocca, Giambattista Marino e Galileo Galilei[26], avrebbero tenuto comportamenti difformi nei confronti della dedica di esemplare. Mentre il grande scienziato, come vedremo, utilizza frequentemente le intitolazioni autografe, lo stesso sembra non si possa dire per il poeta. E’ probabile che Marino abbia indirizzato una copia della sua Galeria. Distinta in pitture, & sculture (Venezia, Ciotti 1619) al pittore Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, data la comune appartenenza all’Accademia romana degli Umoristi e la protezione condivisa da parte della famiglia Aldobrandini; lo fa pensare anche lo spazio dedicato dal poeta all’elogio di alcuni dipinti del Cesari, quali la Galatea, il San Giorgio e il Davide e Golia; ma di questa possibile dedica di esemplare non ho trovato finora riscontro. E’ un fatto che, per parte sua, il Cavalier d’Arpino aveva regalato a Marino un suo disegno raffigurante Galatea trainata da delfini e tritoni, conservato a Parigi, Bibliothèque de l’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts, con una dedica autografa mutila: «Al Sig. Cavalier Gio. Battista Marino …» (1620 ca.)[27]; il che farebbe pensare, ripeto, all’esistenza di una copia del volume della Galeria, personalizzato con il nome del pittore romano. Caso ben diverso quello di Galileo Galilei - sulla cui biblioteca personale e sugli esemplari delle sue opere si sono succeduti importanti interventi critici[28] - dato che egli fa un deciso uso della dedica di esemplare. Il suo connotato di autore-cortigiano[29] - lui che indirizza pubblicamente il Sidereus Nuncius (1610) e il Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua (1612) a Cosimo II e il Dialogo sopra i due Massimi Sistemi (1632) a Ferdinando II, granduchi di Toscana - si manifesta tale anche nel teatro privato delle dediche autografe, ora con intitolazioni a membri della casata Medici, come  Don Giovanni[30], responsabile della ristrutturazione del porto di Livorno, e il principe Mattias[31], ora a personaggi dell’entourage della corte fiorentina come Silvio Piccolomini[32]. Galileo non trascura di inviare copie ad illustri studenti dell’Università di Padova, come il nobile inglese Richard Willoughby[33], o a uomini di scienza, come il fisico Angelo Bonelli, cui dedica un esemplare de Il Saggiatore (Roma, Giacomo Mascardi 1623)[34], o come il medico Ronconi, destinatario di una copia del Dialogo sopra i due massimi sistemi (Firenze, Gio. Battista Landini 1632)[35], ma la sua vocazione cortigiana si fa sentire anche con la destinazione di esemplari all’arcivescovo di Firenze Alessandro Marzi Medici e al cardinale Federigo Borromeo[36].

        Altri celebri autori seicenteschi, come il medico e letterato Francesco Redi[37] e il filosofo Tommaso Campanella attestano il radicamento del costume della dedica di esemplare. In particolare, quest’ultimo, in fuga da Roma, ne fa uno strumento per cementare le sue relazioni durante l’esilio francese[38]. A Nicolas-Claude  Fabri de Peiresc, dotto amico che lo aveva ospitato nel novembre del 1634 nella sua residenza di Aix-en-Provence appena giunto in terra di Francia, sulla via di Parigi, e dove avrebbe familiarizzato con Pierre Gassendi, dedica una copia del De sensu rerum et magia (Paris, L. Boullenger 1636)[39]; e a Jean-Emmanuel de Rieux, marchese d’Assérac, suo protettore, indirizza un esemplare dell’Atheismus triumphatus (Paris, Du Bray 1636) chiamandolo appunto «patrono suo charisssimo»[40]. Ma già quando si trovava ancora in Italia, Campanella aveva iniziato da anni, come è noto, ad intessere buoni rapporti con gli intellettuali francesi[41], e lo testimonia, sotto il profilo che qui ci preme, la dedica autografa di un esemplare dell’Atheismus triumphatus (Roma, erede di Bartolomeo Zannetti 1631) indirizzato all’erudito Gabriel Naudé, che aveva al suo attivo il divenuto poi celebre Advis pour dresser une bibliothèque (Paris, François Targa 1627), e a cui, non a caso, Campanella avrebbe dettato nel 1632 un indice delle sue opere (Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi)[42]

        Passando al Settecento, secolo che in Italia vede ancora florido il mercato delle dediche di edizione, l’uso di quelle autografe in occasione del dono di libri è ormai fenomeno esteso, in specie nel comparto delle edizioni pubblicate a spese dell’autore[43]. Così può accadere di incontrare lo stesso personaggio in veste di patrono tanto nella prima, che nella seconda categoria di dono. Ad esempio, il conte vicentino Marcantonio Trissino figura sia come dedicatario dell’edizione del Delle lodi del Petrarca di Saverio Bettinelli (Mantova, Erede di Alberto Pazzoni, 1787)[44], che come destinatario del dono autografato Del dominio delle donne e della virtù, ancora del Bettinelli, uscito nello stesso anno 1787 ([Parma, Stamperia Reale]). Non ci si sarebbe limitati poi al semplice microtesto della nota di invio, dato che la dedica può esibire una certa lunghezza ed esprimere articolati, benevoli giudizi sul dedicatario, oppure, come nel caso citato dell’esemplare della Gerusalemme conquistata, assumere la forma di un’ottava inedita: per rimanere ancora nell’ambito della produzione bettinelliana, ricordo la circostanza dell’ottava di dedica che l’ex-gesuita appone su di un esemplare del menzionato Delle lodi del Petrarca (1787), in cui chiede al Pindemonte, destinatario del dono, di correggere il suo lavoro di critica letteraria sull’autore del Canzoniere[45]. L’attenzione puntata su due edizioni emblematiche settecentesche - la prima raccolta di tragedie dell’Alfieri stampata a Siena da Pazzini Carli (1783-1785), e la princeps del Dei Delitti e delle pene  di Cesare Beccaria, uscita anonima presso la stamperia Coltellini di Livorno (1764) - consente poi di verificare il ricorso massiccio che i loro autori fecero del dono di esemplari autografati allo scopo di far conoscere la propria opera. Il primo volume dell’edizione senese delle Tragedie venne stampato nel marzo del 1783, e Alfieri, che si trovava a Roma, appena ricevute le prime copie, «sudicissimamente stampate … grazie al tipografo», come ebbe poi a lamentarsene, procede, dopo averle fatte rilegare, alla loro distribuzione gratuita. Ne riferisce egli stesso nell’autobiografia: «La ragazzata di andare attorno attorno per le varie case di Roma, regalando ben rilegate quelle mie prime fatiche, affine di accattar voti, mi tenne più giorni occupato, non senza parer risibile agli occhi miei stessi, non che agli altrui»[46]. Si ha notizia di due degli esemplari distribuiti in quella primavera del 1783, con nota autografa dell’Alfieri: uno indirizzato a Caterina Giustiniani, moglie di Baldassare Odescalchi[47], e l’altro, prima menzionato, confezionato per Maria Paola Litta Arese, sposa del marchese Giuseppe Castiglioni Stampa, con la seguente iscrizione: «All’amabilissima Marchesa Castiglioni / L’Autore»[48]. Più documentata, grazie alla base dati Illuminismo lombardo[49], la distribuzione della prima edizione del capolavoro di Beccaria, come è noto, uno dei testi fondamentali dell’illuminismo italiano ed europeo. La copia destinata a Pietro Verri, nella cui casa, dove si riuniva l’Accademia dei Pugni, l’opera era stata scritta, venne personalizzata con una lunga dedica in francese, che è stata giudicata «alquanto leziosa e sfuggente»[50]; in essa Beccaria attribuisce al «caro amico e filosofo» tutti i piaceri che ha ricavato dalla scrittura del libro[51], stabilendo nel contempo un vincolo di responsabilità tra l’opera e colui che era stato tra coloro che ne avevano sollecitato la composizione. Tutta sbilanciata sulle doti fisiche e morali della dedicataria, per cui ella si era guadagnata la stima dei ‘philosophes’,  è invece l’iscrizione in francese sull’esemplare donato alla contessa Antonia Barbiano di Belgioioso[52]. All’amico e accademico ‘dei Pugni’ Giambattista Biffi invia addirittura tre esemplari autografati del Dei delitti, l’ultimo dei quali accompagnato da altre copie che questi avrebbe dovuto distribuire; la dedica è un viatico tutto illuminista: «Ricevete, mio caro Biffi, alcuni esemplari di un libro a cui avete tutto il diritto. Esso è così vostro che mio. Ricordatevi nel distribuirlo che la verità sola e gli amici son degni dei nostri omaggi»[53].  

        La dedica di esemplare, a giudicare dagli esempi fin qui ricordati, assume sempre più le caratteristiche di comunicazione amicale o di strumento per far circolare all’interno di un circuito prescelto le copie dell’opera, venendo a perdere il connotato di ricerca di un ritorno economico che in passato poteva aver assunto; ciò in coincidenza con le feroci critiche di caratere etico rivolte alla dedica mecenatica sullo scorcio del Settecento, e con la progressiva perdita di centralità di essa, quale intitolazione venale di un’edizione, all’interno della produzione tipografica dei primi decenni dell’Ottocento, a favore dell’emergere delle dediche di impronta familiare o amicale o professionale. Così, uno dei fieri demolitori dell’edificio del sistema delle dediche rivolte ai potenti, insieme all’Alfieri, vale a dire Ugo Foscolo[54], dona disinteressatamente esemplari dei suoi libri: la prima edizione dell’Ortis (Italia [Milano], 1802) al poeta e amico Giovanni Battista Nicolini, cui avrebbe dedicato l’anno dopo il volgarizzamento della Chioma di Berenice[55]; il Dell’origine e dell’ufficio della letteratura (Milano, 1809) all’amico Carlo Catena[56]; l’edizione londinese dell’Ortis del 1817 all’esule varesino Giulio Bossi conosciuto nella capitale inglese[57]. Oppure, è la volta del proprio medico milanese Luigi Ramondini che si trova ad essere destinatario di un esemplare del Ragguaglio d’un’adunanza dell’Accademia de’ Pittagorici (Milano, 1810), con una dedica che tradisce l’intima sensibilità del paziente: «Al Dr. Ramondini / Medico amorevole del mio corpo / e del mio fegato irato / perché mi dica il suo parere schiettamente / intorno a questo libricciuolo che io scriveva con / compiacenza, e che ora leggo con certa noia / Ugo Foscolo // 1810»[58]. A ben vedere, un microtesto in cui, al di là di un certo autocompiacimento dissimulato da falsa modestia, si coglie la richiesta di un franco pronunciamento sul valore dell’opera donata, come si trattasse della schiettezza richiesta al proprio medico circa la reale entità di una malattia. Foscolo ricorrerà al dono delle copie personalizzate anche per alimentare la rete delle sue relazioni amorose: una copia dei Sepolcri è indirizzata a Marzia Martinengo, donna ammirata dal poeta, con dedica autografa[59]; ma è soprattutto con la raffinata operazione dei Vestigi della storia del sonetto italiano dall’anno MCC al MDCCC che Foscolo segna il punto di arrivo ideale del sistema della dedica di esemplare, e lo fa finalizzandolo al tema della celebrazione della donna. Come è noto il volumetto di 48 pagine, un’antologia di 26 sonetti, da Guittone a Foscolo stesso per un totale di 364 versi, uno per ogni giorno dell’anno, esce nel 1816 quale gioco editoriale, presso gli zurighesi Orell e Füssli, stampato in sole tre copie, tante quante erano le Grazie[60]. Nel frontespizio infatti si legge: «Tre copie di questo libretto si stampano in Zurigo pel giorno I dell’anno MDCCCXVI». Ebbene ciascuno dei preziosi esemplari reca una dedica manoscritta del poeta ad altrettante donne. Quello destinato a Quirina Mocenni Magiotti, la ‘donna gentile’ che l’aveva sostenuto finanziariamente nei mesi dell’esilio, è conservato nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, e reca la dedica datata «I Gennaro 1816»[61]. Foscolo dichiara esplicitamente di aver concepito l’antologia in onore del personaggio («tal cosa fatta segnatamente per voi»), al punto che la dedicataria ha avuto idealmente parte nella sua realizzazione («questo Libercoletto come cosa mia e vostra ad un sempre»). Evidente la dignità di ‘destinataria prima’ del libretto riconosciuta dal poeta alla Mocenni[62], come è attestato dal minore coinvolgimento espresso nell’indirizzo degli altri due esemplari, uno a Susetta Füssli, figlia dell’editore zurighese dell’Ortis[63], l’altro a Matilde Dembowski Viscontini[64]. Quindi, nel caso dell’intitolazione alla ‘donna gentile’, la dedica di esemplare viene di fatto a coincidere con la dedica del testo dell’opera. Nello stesso anno 1816, Foscolo avrebbe dato vita ad un'altra operazione editoriale che presenta un indubbio interesse dal nostro specifico punto di vista. Egli inserirà, in soli 12 esemplari dei 104 di cui si componeva la tiratura dell’Ipercalisse, una Clavis, cioè una chiave interpretativa del criptico testo, e doterà ciascuno di essi di una dedica a stampa rivolta ad un personaggio o ad una istituzione[65]. Ne risultò quindi un’inedita fattispecie di dedica di esemplare[66], stampata e non nella consueta forma manoscritta.   

        La dedica di esemplare si diffonde nell’Ottocento anche sulla base delle relazioni professionali. Leopardi, per citare un autore attratto comunque dall’uso di dediche familiari o amicali anteposte a suoi lavori di carattere erudito[67], sembra marginalmente interessato alla diffusione di copie autografate di sue opere a stampa[68], mentre Manzoni risulta maggiormente integrato nella prassi. Degno di nota lo scambio di copie personalizzate tra il letterato milanese e l’assai più anziano Goethe. All’origine del rapporto pare essere stato l’esemplare dell’Adelchi (Milano, Vincenzio Ferrario 1822) donato da Manzoni con dedica autografa, scritta in tedesco, in cui Goethe è descritto come una stella che brillava nel cielo della sua prima giovinezza e a cui egli aveva chiesto idealmente consigli e ordini[69]. Successivamente, il 15 luglio 1827, Manzoni destinava a Goethe, con dedica autografa, i tre volumi dell’edizione Ferrario dei Promessi sposi, appena licenziata nell’ultimo volume; dono che il letterato tedesco mostrava compiaciuto, nella sua Weimar, al poeta e critico letterario Johann-Peter Eckermann[70]. Nello stesso luglio 1827, Goethe ricambiava con l’invio di una copia autografata dell’edizione delle Opere poetiche del Manzoni che egli aveva curato e prefato a Jena[71]. Manzoni si segnala anche per aver donato al figlio Pietro una rarità bibliografica, il terzo volume delle opere di Voltaire (edizione Dresda, 1748), impreziosito dalle correzioni autografe del filosofo, apponendovi una dedica autografa in cui ricostruiva la storia dell’esemplare attraverso la catena dei precedenti proprietari illustri, da Turgot all’amico Fauriel[72]; consentendoci così di chiudere come abbiamo iniziato, con un riferimento alla seconda famiglia delle dediche di esemplare, quelle vergate da persona diversa dall’autore dell’opera edita, ad attestare quanto sia sempre stato veriegato nell’Antico Regime il nesso tra libro a stampa e interventi manoscritti, vuoi  note di possesso, vuoi postille o correzioni, vuoi dediche autografe appunto.

 

[1] Cfr. M. PAOLI, La dedica. Storia di una strategia editoriale, Lucca, Pacini Fazzi, 2009, p. 337.

[2] Collezione Livio Ambrogio.

[3] L’esemplare dei Sepolcri (Brescia, Niccolò Bettoni, 1807), recante sul verso del foglio di guardia anteriore la scritta autografa in inchiostro bruno «A E. (?) Chiusi // Ugo Foscolo», figura al n. 56 del catalogo di vendita n. 95 (marzo 2007), n.56 della Libreria Antiquaria Pregliasco di Torino. Il debito di lire 1890 milanesi è attestato dalla ricevuta,  datata 30 aprile 1807 (conservata nella Biblioteca Braidense di Milano), che il poeta rilasciò al Chiusi con l’impegno di restituirne la metà al 17 maggio e il saldo al 30 giugno; cfr. Edizione nazionale delle opere di Ugo Foscolo. Epistolario, luglio 1804-dicembre 1808, a cura di P. CARLI, Firenze, Le Monnier, 1933, p. 598.

[4] «Nicolao Boldonio Philosopho clarissimo / et Protomedico digniss. / Cynthius Jo. Bap. Gyraldus / Amicus amico opt. Ac D.M. / Observantiae ac grati animi ergo / D.D.»; cfr. U. ROZZO,  La letteratura italiana negli ‘indici’ del Cinquecento, Udine, Forum, 2005, p. 187.

[5] Cfr. T. OLIVARI, La biblioteca di Garibaldi a Caprera, Milano, FrancoAngeli, 2014, p. 35 (W. AYGULAS DE IZCO, El derecho y la fuerza. Poema filosófico, Madrid, Imprenta de R. Labajos, 1866).

[6] Cfr.M. PELAEZ, La vita e le opere di Giovanni Andrea dell’Anguillara, Bologna, Fava e Garagnani, 1891, pp. 39-40.

[7] Segnata «35.D.13».

[8] L’invio fu quasi certamente accompagnato dalla stampa di una canzone (A Massimiliano II imperatore dei Romani, 1564). Lo stesso avvenne per l’invio a Giovanna d’Austria de Il secondo libro dell’Eneida di Vergilio ridotto da Giovanni Andrea dell’Anguillara in ottava rima (Roma, Giulio Bolani degli Accolti, 1566, anch’essa dedicato al Madruzzo), accompagnato dalla Canzone di Giovanni Andrea dell’Anguillara alla serenissima principessa di Fiorenza (Firenze, Appresso i Giunti, 1566), in cui è menzionata l’opera oggetto del dono («E nel libro ch’io mando, ov’arde Troia»).  

[9] Cfr. A. COTUGNO, Le ‘Metamorfosi’ di Ovidio “ridotte” in ottava rima da Giovanni Andrea dell’Anguillara. Tradizione e fortuna editoriale di un best-seller cinquecentesco, in «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti», CLXV, 2007, p. 502.

[10] L’operazione venne replicata dall’Anguillara due anni dopo, con l’uscita de Il secondo libro dell’Eneida di Vergilio; si veda supra nota 8.

[11] Cfr. S. RICCI, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Roma, Salerno, 2000, p. 277. Mio il corsivo.

[12] «Bilibaldo Pirkamer Andreas Coneriis D.D.». Catalogo n. 93 (marzo 2006), n. 336.

[13] La dedica («Viro Excellentissimo / Alexandro Zeno / Divi Marci Equiti / & / Procuratori. / In perenne obsequii & graqti animi argumentum. / Auctor M.»), vergata in forma calligrafica, compare su di un foglio inserito dopo il titolo. L’edizione è G.J. MARINONI, De astronomica specula domestica et organico apparatu astronomico, Viennae Austriae, excudebat J. Kaliwoda, 1745. Catalogo n. 93 (marzo 2006), n. 177.

[14] La dedica («All’amabilissima Marchesa Castiglioni / L’Autore») figura sul verso del foglio bianco iniziale del primo tomo delle Tragedie (Siena, Vincenzo Pazzini Carli, 1783). Catalogo n. 91 (marzo 2005), n. 6.

[15] Dedica autografa su di un esemplare del Dominio delle donne e della virtù ([Parma, Stamperia Reale, 1787]). Catalogo n. 95 (marzo 2007), n. 30.

[16] La dedica compare su ambedue i volumi del Delle storie di Chieri. Libri quattro. Con documenti, Torino, L’Alliana, 1827. Il nome del dedicatario è cancellato. Catalogo n. 86, n. 327

[17] La dedica compare su La Georgica di Virgilio Marone, tradotta in terza rima (Torino, Chirio e Mina, 1832). Il catalogo di antiquariato (n. 96, ottobre 2007, n. 289) non riporta il dedicatario.

[18] Gli esemplari sono: Cambridge, MA, Houghton Library, Inc. 6149 A; Cambridge, MA, Huntington Library, RB 55503; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Inc. Magl. B 2 27; cfr. Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, II, Roma, Salerno Editrice, 2013, pp. 305, 310.

[19] Tra le dediche di esemplare professionali cito quella apposta dal medico e filosofo Francisco Sanchez su di un esemplare dell’opera sua più nota, il Quod nihil scitur (Lugduni, apud Antonium Gryphium, 1581), indirizzandola a Giordano Bruno («Clarissimo Viro Domino Jordano Bruno Nolano Theologiae Doctori Philosopho Acutissimo familiaritatis gratia honoris causa dono dedit F. Sanchez»); cfr. S. RICCI, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, cit., p. 141). Bruno aveva consciuto Sanchez a Tolosa dove questi era medico nell’ospedale della città.

[20] M. BANDELLO, Parentalis oratio pro clarissimo imperatore Francisco Gonzaga Marchione Mantuae IV, s. n. t. [1520 ca.]. L’esemplare è conservato presso la Biblioteca Ambrosiana («Hieronymo Archinto Jureconsulto clariss.»); cfr. A.C. FIORATO, Bandello entre l’histoire et l’écriture. La vie, l’éxperience sociale, l’évolution culturelle d’un conteur de la Renaissance, in «Biblioteca dell’Archivum Romanicum», 1979, p. 210.

[21] München, Bayerische Staatsbibliothek, It. 92; cfr. Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, II, cit., p. 250.

[22] L’esemplare è conservato presso l’Ossolineum di Wroclau; cfr. Dizionario Biografico degli Italiani, XLI, 1992 (voce a firma di A. ROTONDO’); A. ROTONDO’, Studi di storia ereticale del Cinquecento, II, Firenze, Olschki, 2008, p. 693.

[23] L’intento è ipotizzato con buona plausibilità da Jacek Partyka (Tasso’s Autograph Retraced and Rediscovered. The Poem offered to the Polish Ambassador Stanislaw Reszka in the Copy of the British Library, in «Terminus», XVI, 2014, p. 355. L’esemplare è conservato presso la British Library di Londra; la dedica è scritta sul foglio di guardia.

[24] Roma, Guglielmo Facciotti, 1593, con dedica di edizione al cardinale Cinzio Aldobrandini.

[25] L’esemplare è posseduto dalla Biblioteca Trivulziana di Milano (Triv. B. 501). Il dedicatario viene così individuato: «Domino suo / observandissimo / dedit / Tycho Brahe»; cfr. Mostra storica della legatura. Biblioteca Trivulziana, a cura di C. SANTORO, Milano, Libreria Antiquaria Moretti, 1953, n. 32.

[26] Cfr. M. PAOLI, La dedica, cit., pp. 269-276.

[27] Cfr. G. FULCO, La ‘meravigliosa ‘ passione. Studi sul Barocco tra letteratura e arte, Roma, Salerno Editrice, 2001, p. 117.

[28] A. FAVARO, La libreria di Galileo (con Saggio di catalogo della libreria di Galileo), in «Memorie del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti«, XXII, 1882, pp. 982-1034; ID., La Libreria di Galileo Galilei descritta e illustrata, in «Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», XIX, 1886, pp. 219-293; ID., Appendice prima alla Libreria di Galileo Galilei descritta e illustrata, in «Bullettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche e fisiche», XX, 1887, pp. 372-376; ID., Appendice seconda alla ‘Libreria di Galileo’, in ID., Scampoli Galileiani, Padova, Randi, 1896, pp. 44-50; Galileo e l’universo dei suoi libri (catalogo della mostra presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze a cura di E. BENUCCI et alii), Firenze, Vallecchi, 2008.

[29] Sull’argomento, cfr. M. BIAGIOLI, Galileo, Courtier. The Practice of Science in the Culture of Absolutism, Chicago-London, The University of Ghicago Press, 1993.

[30] Gli dedica un esemplare del Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua (Firenze, Cosimo Giunti, 1612) con la seguente iscrizione: «P. l’Ill.mo et Ecc.mo Sig. D. Giovanni Medici»; cfr. A. FAVARO, La Libreria di Galileo Galilei, cit., pp. 235-236. L’esemplare appartiene alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

[31] Gli dedica un esemplare dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla Mecanica et i Movimenti locali (Leida, appresso gli Elzeviri, 1638) con la seguente iscrizione: «Al Ser.o Principe Mattias, l’Autore»; cfr. A. FAVARO, Appendice prima alla Libreria, cit., p. 373.

[32] Gli dedica un esemplare della Difesa contro alle calunnie & imposture di Baldessar Capra milanese (Venezia, Tomaso Baglioni, 1607) con la seguente iscrizione: «All’Ill.mo S. C. Silvio Piccolomini, l’aut.re»; cfr. Galileo e l’universo dei suoi libri, cit., p. 80. L’esemplare appartiene alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

[33] Gli dedica una copia della citata Difesa contro alle calunnie & imposture di Baldessar Capra; cfr. A. FAVARO, Appendice seconda alla ‘Libreria di Galileo’, cit., p. 46. Esemplare posseduto dalla Biblioteca Universitaria di Padova («Al M. Ill.re S. Riccardo Villobeo, l’Autore»). Sul personaggio, cfr. A. FAVARO, Stemmi ed inscrizioni concernenti personaggi galileiani nella Università di Padova, Padova, Prosperini, 1893, pp. 13-14; C. BELLINATI, Richard Willoughby, amico di Galileo, in una nota dell’obituario di San Lorenzo (23 aprile 1617), in «Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere e Arti», XCVI, 1983-1984, pp. 137-141.

[34] Cfr. A. FAVARO,  Appendice seconda alla ‘Libreria di Galileo’, cit., p. 86. Esemplare posseduto dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze («All’Ecc.mo S. Agnolo Bonelli, l’Autore»).

[35] Ivi, p. 87. Esemplare posseduto dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze («All’Ill.mo S. Med. Ronconi, l’Autore»).

[36] Al primo dedica una copia de Il Saggiatore (cfr. A. FAVARO, La Libreria di Galileo Galilei, cit., p. 237;  esemplare posseduto all’epoca di Favaro dal marchese Giuseppe Campori; «A M. Alessandro Marzimedici Arc. Di Firenze»). Al secondo invia un esemplare della stessa edizione con lettera del 18 novembre 1623, conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano (Ibidem).

[37] A lui Filippo Baldinucci dedica un esemplare del Vocabolario toscano dell’arte del disegno (Firenze, Santi Franchi, 1681), acquistato in tempi non lontani dall’Ufficio per i Beni Librari della Regione Toscana (cfr. Francesco Redi. Un protagonista della scienza moderna, a cura di W. BERNARDI e L. GUERRINI, Firenze, Olschki, 1999, p. 227), e Giovanni Camillo Peresio gli dedica una copia del poema eroicomico Il maggio romanesco overo il palio conquistato (Ferrara, Bernardino Pomastelli, 1688; cfr. A. e M. GALLENZI, Nuovi dati sulla vita e le opere di Peresio, in «Studi Secenteschi», LVII, 2016, p. 133;  esemplare posseduto dalla Biblioteca Città di Arezzo); un imprecisato volume di Redi, con dedica autografa alla poetessa arcadica Faustina degli Azzi, è apparso sul mercato antiquario (cfr. Francesco Redi, cit., p. 227).

[38] Ai confratelli e agli studenti del convento dei Giacobini di Parigi di Saint-Jacques, Campanella dedica un esemplare del De sensu rerum et magia (Paris, Boullenger, 1636), posseduto dalla Fondazione «Biblioteca Benedetto Croce» di Napoli, e un esemplare della Philosophia realis (Paris, D. Houssaye, 1637), posseduto dalla Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi; cfr. Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, I, Roma, Salerno Editrice, 2009, p. 110.

[39] Cfr. Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, I, cit., p. 110. L’esemplare è posseduto dalla Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi (4 S 367).

[40] Cfr. Tommaso Campanella. Lettere, a cura di G. ERNST, Firenze, Olschki, 2010, n. 155. L’esemplare è posseduto dalla Bibliothèque Sainte-Geneviève di Parigi (D4° 1642, inv. 1821 FA); ecco il testo della dedica, datata, Parigi, 14 dicembre 1636: «Illustrissimo domino Johanni Riesio Marchioni de Asserach patrono suo charissimo Autor d[ono] d[edit]».

[41] Si veda la bella e importante voce su  Campanella curata da Luigi Firpo in Dizionario Biografico degli Italiani, XVII, 1974.

[42] Anche al citato marchese de Rieux d’Assérac, Campanella, quando non aveva ancora intrapreso l’esilio in Francia, aveva donato una copia personalizzata di una sua opera. Si tratta di un esemplare della Monarchia Messiae, stampata a Jesi (Aesii, apud Gregorium Arnazzinum, 1633), posseduto dalla Biblioteca Russa di Stato di Mosca; cfr.  Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, I, cit., p. 110.

[43] Un esempio precoce è la dedica autografa indirizzata al celebre erudito veronese Francesco Bianchini in occasione dell’invio del suo primo opuscolo filosofico De nostri temporis studiorum ratione dissertatio (Napoli, F. Mosca, 1709); cfr. L. MESSEDAGLIA, Vita di cent’anni fa. Angelo Messedaglia adolescente e la sua crisi spirituale, in «Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona», CVII, 1930, p. 103. L’esemplare, con la dedica vergata in calce al frontespizio («All’Ill.mo Monsignor Bianchini riverentemente l’Autore d.»), era di proprietà all’epoca di Luigi Messedaglia. Vico avrebbe poi donato al Bianchini un esemplare dei Principj di una scienza nuova (Napoli, F. Mosca, 1725), prima redazione del suo capolavoro. L’esemplare, con dedica vergata sul verso del frontespizio («All’Ill.mo Monsignor Francesco Bianchini in segno di stima l’Autore») è posseduto dalla Biblioteca Comunale di Verona (ibidem). Ambedue le edizioni citate vennero pubblicate da Vico a proprie spese; cfr. M. PAOLI, L’appannato specchio. L’autore e l’editoria italiana nel Settecento, Lucca, Pacini Fazzi, 2004, pp. 127-129.

[44] Si tratta della ristampa dell’opera uscita presso i Remondini di Bassano l’anno precedente. Nella dedica il Trissino figura quale principe dell’Accademia Olimpica di Vicenza, alla quale Bettinelli era stato ascritto a seguito della pubblicazione della prima edizione dell’opera.

[45] Ecco il testo dell’ottava: «Tu guida ad agguagliar l’alto concetto / La penna, che per sé tanto non sale, / Tu, Pindemonte, pari al gran suggetto / Tu puoi frenar, tu  indirizzarmi l’ale: /Ben conoscendo il mio fiacco intelletto, / Che a sì sublime vol regger non vale, / Tu colla face tua s’io ne son degno / Gli error segnando dà luce all’ingegno». Il testo venne pubblicato dallo stesso Bettinelli nel VI volume delle Opere edite e inedite in prosa e in versi (Venezia, Adolfo Cesare, 1799, p. [182]), con il seguente avvertimento: «Versi dell’Autore manoscritti nell’edizione delle Lodi del Petrarca Mantova 1787 mandata in dono al celebre sig. Cavaliere Ippolito Pindemonte».

[46] V. ALFIERI, Vita scritta da esso, cap. X.

[47] Cfr. “Per far di bianca carta carta nera”. Prime edizioni e cimeli alfieriani (catalogo della mostra presso la Biblioteca Reale di Torino a cura di V. COLOMBO et alii), Savigliano, Editrice Artistica Piemontese, 2001, p. 26. La dedica è vergata con inchiostro di seppia sulla carta di guardia.

[48] Si veda supra nota 14.

[50] Atti del convegno internazionale su Cesare Beccaria, Torino, Accademia delle Scienze 1966, p. 339.

[51] «Á celui qui a été l’auteur de tous les plaisirs que j’ai prouvez en faisant ce livre, à mon cher et philosophe ami le Comte Pierre Verri. C.B.B.»; cfr. Illuminismo lombardo. Cesare Beccaria. Carteggio, n. 28. La sigla è da sciogliersi in «Cesare Beccaria Bonesana».

[52] «A madame la comtesse Somaglia, née comtesse Barbiano de Belgioioso, qui a trop de beauté et de graces pour ne point faire des malheureux, qui a trop d’esprit et de merite pour ne point faire des envieux, qui a trop de vertu et de bienfaisance pour ne pas obtenir l’estime et l’attachement des philosophes. L’auteur C.B.B.»; cfr. Illuminismo lombardo, cit., n. 35.

[53] Cfr. Illuminismo lombardo, cit., n. 96. Ecco il testo delle due precedenti dediche: «Al caro Biffi omaggio di amicizia. L’autore» (Ivi, n. 32); «Ricevete, conte Biffi mio caro amico, questo debol ma sincero pegno della mia amicizia. La verità e gli amici son degni de’ miei omaggi. Marchese Cesare Beccaria Bonesana autore».

[54] Cfr. M.A. TERZOLI, I testi di dedica tra secondo Settecento e primo Ottocento: metamorfosi di un genere, in Dénouement des Lumières et invention romantique, a cura di G. BARDAZZI e A. GROSRICHARD, Genève, Droz, 2003, pp. 161-162, 172-175; M. PAOLI,  La dedica, cit., pp. 333-341.

[55] Asta Pandolfini, Firenze 22 novembre 2016, lotto n. 238 («A Giambattista Nicolini amico del mio Cesare»).

[56] Cfr. Esposizione generale italiana in Torino. 1884. Sezione per la storia del Risorgimento nazionale. Commissione per Milano. Catalogo, Milano, F. Manini, 1885, p. 19 (sezione ‘Documenti’, n. 141). Esemplare posseduto all’epoca da Damiano Muoni, storico e numismatico («A Carlo Catena, Ugo Foscolo. Amicitiae monumentum»).

[57] «A Giulio Bossi U. Foscolo 19 novembre 1819. “Sic licet felix ubicumque mavis et memor nostri. Hor.”». Un altro esemplare della stessa edizione veniva donato a Caroline Fox, sorella di Lord Holland, sua ammiratrice;  conservato presso la Raccolta Acchiappati (Università di Pavia, Centro Manoscritti); la dedica («To Miss Fox // Hugh Foscolo») figura sul retro del frontespizio;  cfr. Raccolta foscoliana Acchiappati. 1814-1841, a cura di G. ACCHIAPPATI, Milano, Il Polifilo, 1989, p. 228.

[58] L’esemplare, recante la dedica sul verso della sovracoperta, è conservato nella raccolta di autografi della Biblioteca Bertoliana di Vicenza;  cfr. F. TREVISAN, Ugo Foscolo e la sua professione politica, Mantova, Bortolo Balbiani, 1871, p. [192].

[59] Cfr. A. MARPICATI, Lettere inedite di Ugo Foscolo a Marzia Martinengo, Firenze, Le Monnier, 1939, p. 128; U. DA COMO, Una dedica di Ugo Foscolo. Ricordi bresciani, in «Rivista d’Italia», XXII, 1919; G. LANG, Ugo da Como e il Foscolo. Storia di un carteggio e di dediche autografe, in «Commentari dell’Ateneo di Brescia», CXCV, 1996, pp. 441-452.

[60] Cfr. M.A. TERZOLI, I ‘Vestigi della storia del sonetto italiano di Ugo Foscolo’, Roma, Salerno Editrice, 1993.

[61] Eccone il testo: «Alla donna Gentile Quirina Mocenni Maggiotti. Non vi rincresca, donna gentile, di custodire questo Libercoletto come cosa mia e vostra ad un sempre. Non ch’io voglia invanire dell’essermi ajutato della memoria; tanto più che mi avrà forse tradito, da ch’io vivo in paese dove i poeti italiani sono noti appena di nome; né ho libri che mi accompagnino nell’esilio. Bensì mi compiaccio di mandarvi tal cosa fatta segnatamente per voi; affinché se per gli anni avvenire la fortuna mi concedesse di ricevere i doni vostri graziosi, e di mandarvi alcuno de’ miei, voi rileggendo ad ogni principio d’anno questo libretto, possiate, donna gentile, e ricordarvi e accertarvi ch’io vissi e vivrò, sino all’ultimo de’ giorni miei, vostro amico».

[62] Cfr. M.A. TERZOLI, I ‘Vestigi della storia del sonetto, cit., p. 15.

[63] L’esemplare è conservato nella Staatsbibliothek di Berlino. La dedica è piuttosto semplice: «Alla Gentile Donzella Susetta Füssli. Dal Tabernacolo d’Hottingen la mattina del dì I Gennaro 1816. Ugo Foscolo».

[64] L’esemplare è conservato nella Biblioteca Braidense di Milano. La dedica, datata 6 giugno 1816, consiste nella trascrizione di mano di Foscolo della seconda strofa della canzone «O giovinetta che la dubbia via» di Pindemonte.

[65] L’Ipercalisse esce a Zurigo nel 1816 con la falsa data di «Pisis in Aedibus Sapientiae MDCCCXV«; cfr. M.A. TERZOLI, L’Ipercalisse o il libercolo sibillino di Ugo Foscolo, in Obscuritas. Retorica e poetica dell’oscuro, a cura di G. LACHIN e F. ZAMBON, Trento, Dipartimento di Scienze Filosofiche e Storiche,  2004, pp. 381-404.

[66] Nelle dediche era fatto esplicito riferimento al singolo esemplare («EN HYPERCALYPSEOS CLAVIS CUJUS XII TANTUM PRODEUNT EXEMPLARIA SUO UNUMQUODQUE ET NUMERO ET NOMINE»). Non era quindi il caso delle dediche personalizzate che nel Settecento si accompagnavano a singole partizioni del testo stampato o a singole tavole calcografiche; si veda in proposito, M. PAOLI, L’appannato specchio, cit., p. 57.

[67] M.A. TERZOLI, Dediche leopardiane I: infanzia e adoloescenza (1808-1815). II: lavori eruditi e falsi del’adolescenza e della giovinezza (1815-1825), in «Margini», 2007, 1, 2008, 2.

[68] Segnalo un estratto delle Annotazioni sopra la Cronica d’Eusebio pubblicata l’anno MDCCCXVIII in Milano dai dottori Angelo Mai, e Giovanni Zohrab scritte l’anno appresso dal conte Giacomo Leopardi a un amico suo, Roma, Nella Stamperia De Romanis, 1823 (da «Effemeridi letterarie di Roma», 1823, X, pp. 101-115, 167-182. 362-387; XI, pp. 117-123, 304-322; XII, pp. 263-281), con dedica autografa a  Georg Barthold Niebuhr, filologo e antichista tedesco, ambasciatore prussiano a Roma, con cui Leopardi intendeva ricambiare le attenzioni dello studioso nei suoi confronti; cfr. Giacomo Leopardi. Mostra documentaria, a cura di F. CACCIAPUOTI, Napoli, Biblioteca Nazionale 1987, p. 60, n. 63. Dedicatario dell’edizione, l’«amico suo», è il romano Bartolomeo Borghesi; cfr. S. TIMPANARO, Due note leopardiane, in «Giornale storico della letteratura italiana», CXXXVIII, 1961, pp. 101-105; Leopardi a Roma. Catalogo della mostra, a cura di N. BELLUCCI e L. TRENTI, Milano, Electa, 1998, pp. 100-102 (scheda a firma di P. PETTERUTI PELLEGRINO). Leopardi aveva intenzione di dedicare al Niebuhr, probabilente intorno al 1825, anche un imprecisato lavoro di carattere erudito, con un microtesto in latino rimasto inedito e pubblicato per la prima volta in G. LEOPARDI, Opere. Saggi giovanili ed altri scritti non compresi nelle Opere, Carte napoletane con aggiunte inedite o poco note, a cura di R. BACCHELLI e G. SCARPA, Milano, Officina Tipografica Gregoriana, 1935, pp. 1227, 1297; si veda anche M.A. TERZOLI, Dediche leopardiane. II, cit..

[69] Il volume è posseduto dal Museo goethiano di Weimar. La dedica, riprodotta in B. WIESE- E. PERCOPO, Storia della letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1904, p. 597, fig. 131, è la seguente: «a Goethe / L’autore / Du bist mir nidht fremd. Dein Nahme war’s der mir / in meiner ersten Jugend gleich einem Stern des Him-/mels entgegenleuchtete Wie oft hab ich nach dir /gehorcht, gefragt!».

[70] Cfr. L. PIRANDELLO, Conversazioni con Goethe, in «Rassegna Settimanale Universale», 5 luglio 1896, nota 1.

[71] Cfr. Biblioteca Braidense. Catalogo della Sala Manzoniana. Stampati, Milano, Tipografia Bortolotti, 1890, p. X. L’edizione è:  Opere poetiche di Alessandro Manzoni. Prefazione di Goethe, Jena, Federico Frommann, 1827.

[72] Il volume è posseduto dalla Biblioteca Braidense di Milano; ecco il testo della dedica: «A Pietro mio figlio, Alessandro Manzoni. Esemplare con correzioni autografe (spezzato dall’edizione intera) dato da Voltaire a Turgot, da questo a Condorcet, da Mad. De Condorcet al mio amico Fauriel, da cui fu donato a me»; cfr. Biblioteca Braidense. Catalogo della Sala Manzoniana, cit., p. VIII.