Il laboratorio di “Periodo Ipotetico”
Gabriella Sica
Questa è una testimonianza di eventi giovanili lontani, di esperienze vissute che sembrano appartenere al sogno più che alla realtà, di smaglianti intermittenze sfumate nella mente.
Per la terza volta in questo 2022 mi trovo involontariamente alle prese con un tema, quello dei padri, diventato stringente chissà perché solo ora, forse a un passaggio di generazioni. Nel primo numero di “Prato pagano”, nella prima paginetta editoriale non firmata ma di mio pugno, scrivo dei poeti nuovi, quelli degli anni Ottanta, della “parola ritrovata”: “Costoro non si affidano a qualcuno, sono diventati padri e madri di sé stessi, sono infine soli”. Lucida consapevolezza, fin d’allora, di appartenere a una generazione senza padri. Non che non abbia avuto maestri intorno a me, più grandi o più piccoli, e quelli preferiti che erano i coetanei, che mi hanno lasciato tutti una briciola luminosa del loro sapere e maestri che da luoghi e tempi lontanissimi mi hanno parlato attraverso le loro pagine e i loro libri. Nessuno nasce solo da sé stesso. E sono stati miei maestri anche gli alberi, gli animali, le vie del cielo e le vie della terra, gli intrecci meravigliosi e le circostanze che la vita ha convocato intorno a me.
Il titolo del mio intervento allude a un laboratorio che ha preceduto i laboratori pubblici di poesia tenuti con bella passione pedagogica da Elio Pagliarani a più tappe e in diversi luoghi, a cominciare dal 1978, a cui hanno partecipato poeti giovani e meno giovani di quegli anni a Roma. Ne ricordo qualcuno, con un Plinio De Martiis, gallerista e fotografo, che metteva a disposizione La Tartaruga in via dell’Oca per eventi di poesia, oltre che d’arte. Per esempio quello in cui Elio dialogava affabile, da suo grande estimatore, con Amelia (Rosselli), precisa e attenta. E certo era già una vera bellezza avere davanti due figure così affiatate e speciali nel panorama della poesia di quel tempo. Tuttavia a quei laboratori ho partecipato poco per la semplice ragione che avevo già goduto del privilegio di un laboratorio di poesia personale e tutto per me, unica spettatrice, attenta, silenziosa e come sempre curiosa.
Nel tempo appena precedente avevo aiutato Elio a confezionare “Periodo ipotetico”, fin dal n. 7, che porta la data “luglio 1973”. Freschissima di laurea (con Walter Pedullà, il professore che a “La Sapienza” aggregava studenti che volevano cambiare il mondo) avevo cominciato ad andare ogni tanto in quella via segreta di studi d’artisti e negozi d’artigianato che era allora via Margutta 53/a, in quella casa addossata a una montagnola, immersa nella natura e certamente memorabile, a tentare di aiutarlo, capire prima i suoi orientamenti, raccogliere le poesie sue e degli altri, semplicemente ascoltarlo, come fossi a teatro, nei suoi bellissimi ricordi dei tempi milanesi con la voce cantante, e vederlo battere e pulire la pipa con compiaciuta lentezza. Osservare un poeta nel suo fare e creare poesia può essere per una ragazza felicemente contagioso. Ascoltatrice e curatrice, avrei dovuto firmare come segretaria di redazione di “Periodo ipotetico”, cosa che abbiamo tralasciato poi di fare, sia io che Elio. Non c’era bisogno di firmare niente, perché stavo di fatto andando, senza saperlo, a scuola di poesia, anzi alla migliore università di poesia che ci fosse a quel tempo a Roma. In quel n. 7, fin da allora a testimonianza della mia presenza, Elio mi invita a pubblicare qualche cosa, e allora firmo una rubrica di cinema, “Cinemario”, in cui compare un mio testo su Alfred Hitchcock, Carmelo Bene e Giuseppe Bertolucci, in assoluto il primo da me pubblicato, a cui tanti ne sono seguiti ma non più sul cinema. Segno comunque di una mia passione per il cinema coltivata fin da bambina e da tempo estinta o evoluta nelle sue tante forme moderne. Molto fattiva fu la mia partecipazione al n. 11 di “Periodo ipotetico” in cui Elio di sua iniziativa antologizzava anche poeti nuovi, che andavo conoscendo in quel periodo, come Milo De Angelis, Carlo Bordini, Michelangelo Coviello (con cui aveva grande affinità), Gino Scartaghiande (che stava pubblicando Sonetti per King Kong per la Cooperativa Scrittori), Valentino Zeichen (pure autore della Cooperativa Scrittori con Area di rigore) e perfino il giovanissimo Valerio Magrelli che di anni ne aveva appena venti, come sottolineato nella prefazione. Era dunque pronto ad aprire laboratori per i poeti giovani, e certo per me quella frequentazione con Elio era stata simile a un involontario laboratorio, di cui ho da poco scritto, con più ampiezza, anche in un interessante libro di Tiziano Broggiato, I padri della parola, con un testo il cui titolo risulta un po’ misterioso, Prima della poesia c’era Elio Pagliarani. E intendevo dire che prima che io cominciassi a pubblicare mie poesie c’era stato Pagliarani, che ne aveva di poesie da sventolare davanti agli occhi e alle orecchie, tra una declamazione e l’altra, a voce e a memoria, di qualche poesia amata, per esempio di Caproni o di Cardarelli, e qualche scintilla doveva pure suscitare intorno a sé, a Roma.
Tanto ascolto dei versi de La ballata di Rudy, a casa o per strada, o pure da Cesaretto, a vederlo felice nel dirli con tutto quel ritmo fisico da non stare più nella pelle, e quasi a ballare sia con il corpo che con la lingua, ha portato a un esito. Elio ha pubblicato presso la Cooperativa Scrittori brani della tormentata Ballata di Rudi con il titolo di Rosso corpo lingua Oro pope papa scienza, e ha chiesto alla ragazza Gabriella di scrivere un saggetto, cosa che lei ha fatto con passione e serietà ma che da allora ha considerato giustamente non suo, come scritto da un’altra persona. Indotta dal clima generale, avevo scritto sul secondo Pagliarani mentre amavo il primo Pagliarani, quello lirico che pure, sempre a partire dal reale, non fa che fare cronaca e inventario del proprio vissuto amoroso a Milano, suo o di quella controfigura che era la ragazza Carla. Il libro con il mio saggetto uscì nel gennaio del 1977, l’anno della mia trasformazione traumatica da libellula, mite spettatrice nel panorama della poesia anni Settanta, a farfalla nel giardino, anzi nel prato della rivista (“Prato pagano”) che mi inventai poco tempo dopo, cominciando a pensarci, per la precisione, fin dal 15 gennaio del 1978, quando mi installai in una casa da cui si vedeva il cielo, la mia prima casa (da scappata di casa) a Trastevere. E ricordo con gioia che alla prima e per me epica presentazione, il 30 gennaio 1980, del primo numero di “Prato pagano”, in una affollata Galleria a via Giulia, dove in un angolo stavano Goffredo Parise e Giosetta Fioroni, c’era anche Elio (e pure Valentino), in un’ideale staffetta tra riviste di diversa generazione (e di ispirazione e temi molto diversi), cosa che mi viene da pensare solo ora, a distanza di tanti anni.
Quando, poco tempo dopo, nel 1981, incontrai a Milano Antonio Porta, come ricordo leggendo il mio diario, e gli parlai del mio primo libro in versi, mi disse che era in via di chiusura la collana gialla di Feltrinelli dove era appena uscito Valerio Magrelli, e mi propose la Cooperativa Scrittori, senza sapere bene che stava chiudendo. Un’epoca si stava sgretolando. Di disastri editoriali nei miei anni ne ho visti molti fin dall’inizio, non solo oggi. Già l’alba di quel nuovo decennio, niente affatto allegro e spensierato come invece si racconta, si profilava prodromo della crisi esistenziale ed editoriale che sarebbe arrivata, e che è stata per molti, in sostanza, piuttosto tragica. Del resto avevo già scritto della nuova solitudine del fare poesia. Da allora ogni libro è stato per me un’invenzione certamente, ma un’invenzione continua e tenace anche dal punto di vista editoriale, in un pellegrinaggio non facile ma sempre anche entusiasmante.
Non posso che concludere con tutta la mia ammirazione per una vita così bella, come si può leggere nel Pro-memoria a Liarosa, e ancora di più per la sua poesia. E con la mia immensa gratitudine per un maestro di artigianato della poesia e anche per un maestro sperimentale. Perché Elio è stato per me, più che un maestro di poesia (non gli ho mai dato una mia poesia da leggere, e in un certo senso non ne avevo ancora) un maestro sperimentale (mi considero una sperimentatrice in poesia, per cui ogni mio libro è diverso dal precedente e include sempre uno scarto, uno spiazzamento) e insieme un maestro di artigianato della poesia, con il suo fare concreto e reale, il suo poiéin. Quando penso a come potrebbe essere un poeta, lo vedo chissà perché come uno che fa per esempio una sedia, con pazienza e attenzione, come vedevo fare un tempo. Ecco, questo è stato ed è per me Pagliarani, un artigiano della poesia moderna con l’eco dentro, ben mimetizzato, della tradizione e dell’antico.
E ogni tanto mi è capitato, da quei lontani anni giovanili, di evocare Elio in qualche mio verso, e convocarlo in una improbabile cena a tre, come in un sogno o in una di quelle ripetizioni proprie alla poesia:
Tu io e Pagliarani come un tempo
Non t’è passata certo di una cena
la voglia qui da me
ti piace la casa lo so e il quartiere
vivrai ora d’aria d’accordo
avrai altri pensieri
forse meno desideri conviviali
ci si poteva anche pensare per tempo
quando con agio si poteva è vero
farne una noi tre insieme di cena
potremmo ancora come un tempo
non conta quanto ne sia passato
salterà l’invitato di gioia
con nuovo bel fiato nel corpo
su su non sempre si muore
proviamo con la poesia proviamo
la dolce cena noi tre insieme
la cambiamo questa morte in vita
su su in alto i nostri cuori su più su
voi che ascoltate i bei respiri
degli amici felici più che vivi
con noi vi prego rimanete con noi
beati gli invitati a questa cena
sognatori di una più bella mensa
tu io e Pagliani come un tempo.
Gli ultimi sette versi di Tu io e Montale a cena li ho trovati in una precedente versione, in otto versi, forse migliore di quella sopra pubblicata, a riprova che si prova, si prova a fare versi, ma questi sono sempre mobili, si allungano, ci sfuggono dalle mani, dal tempo. E comunque li trascrivo per stare ancora un po’ con Elio:
difendiamola su su questa vita
proviamo con il vino rosso
e la tovaglia rossa con i freschi fiori
fiori noi tre e tutti voi
eccoci amici, felici a cena
siamo qui più morti che vivi
siamo i commensali di questa mensa
tu io e Pagliarani come un tempo.
22-23 novembre 2022