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La casa fatata

Danilo Plateo


Questo intervento piu' che un momento critico o filologico o letterario,insomma specifico,vorrebbe essere una speranza sentimentale,un flusso emotivo che accomuna le vite di due o piu' persone che si conoscono dove l'esistenza in vita o l'esistenza in morte è marginale.

Il titolo "la casa fatata" si riferisce all'abitazione di Elio in v.Margutta dove il nostro gruppo veniva regolarmente ed inspiegabilmente invitato dal vate.Il fatto che Pagliarani gradisse i nostri scritti ci risultava inspiegabile e circolavano tra noi teorie strampalate e fantastiche tipo "mo' questo ce chiede dei sordi" oppure "ma nun sara' frocio?".Insomma  qualcosa non quadrava poi pero' alla resa dei conti offriva sempre lui e del resto noi eravamo sempre a corto di liquidi e se non bastasse ci presentò un giorno anche la sua fidanzata una certa Cetta Biancaneve, perfetta nella semiotica del luogo.....eh si perché la casa  era una favola......l'entrata dal civico era monumentale con giardino e fontana con annessa statua fluviale poi dopo il portico una bella salitella con un percorso a gomiti dove tra una tornata e l'altra, arricchita da cespugli di rose ed oleandri, c'erano queste casette....beh casette certo niente a che vedere con le mie due camere e cucina a Centocelle ma insomma dignitose. Un mondo fiabesco dove ti sembrava che da un momento all'altro potessero apparire i sette nani, in effetti poi apparve la citata Biancaneve o qualche mitologico fauno in versione generone romano oppure come in effetti poi mi successe di incontrare il celebre Cesare Polacco il famoso ispettore Rock della brillantina Linetti, che nei carosello anni sessanta risolveva ogni caso poliziesco ed in vita sua,come mestamente confessava, aveva commesso un solo errore cioè era calvo perché non aveva mai usato la brillantina Linetti cosicché io e il mio amico fraterno Guido Galeno, come appunto confidammo una volta ad Elio c'eravamo fidati, e a circa dodici anni, nel timore di una calvizie precoce, avevamo acquistato alla Standa di v. Appia Nuova, un economico sottoprodotto della brillantina Linetti che si chiamava Gommolina che ci incollò talmente tanto i capelli che fummo costretti a tagliarceli a spazzoletta. Naturalmente Elio sghignazzando ci prese per il culo a sangue ma in compenso,conoscendo la sua proverbiale riservatezza, fummo felici di avergli provocato un attacco prolungato di buonumore.

Anche l'interno della house era spettacolare al pianoterra sembrava di essere sul set di un film americano tipo quelli di Hitchock o Billy Wilder..... un salone enorme con alle pareti librerie in legno massello del Tanganica alte credo piu' di due metri eppoi una scala anch'essa in legno di faggio australiano che dava l'accesso presumo alle camere da letto e i bagni.  L'odore di questa orgia di legno prezioso era inebriante anche se pure l'olfatto del vinilico  dei mobili in truciolato che avevo a Centocelle non era male.

Lui poi malgrado la fama e l'età era assolutamente immune da quella forma perversa di pipponismo culturale ed esistenziale che quasi sempre alberga nei professionisti che eccellono in qualsivoglia materia,dalla politica alla salsamenteria, e di questo noi, giovani inadeguati a tutto, un po' scemi, maleducati, dislessici ed anche perché no pure un pò violenti, saccenti ed arroganti.... ma sì abbondiamo.... gliene eravamo grati.

Un giorno per provocarlo paragonammo la sua poetica politica a quella di Alessio Spano, il poeta squattrinato e retorico, interpretato dal grande Vittorio De Sica nel film "il segno di Venere" che rivendicava di aver scritto un poemetto intitolato "Noi cerchiamo la pace" dove, a suo dire, sviscerava con acume la moderna condizione femminile anche se ambientava il tutto nel Medioevo, chiudendo il discorso davanti ad una adorante Franca Valeri con la frase "e chi vuol capire capisca!"........Elio ci guardò imperterrito, serio, minaccioso poi caricando con calma la famosa pipa gialla da cui non si separava mai ci rispose icasticamente "mo scenti che pataca".

Insomma l'uomo dalla pipa gialla piuttosto che del pipponismo,il poeta dal flusso ininterrotto piuttosto che del logorroismo, ci aveva liquidato giustamente con quattro parole in dialetto romagnolo.

La sua disponibilità era selettiva ma infallibile, un giorno gli chiedemmo, con poche speranze, di partecipare ad una lettura happenning a Villa Glori per i malati di aids a cui invece, con nostra sorpresa, aderì immediatamente. Nel gran finale della serata, dopo gli interventi, si aprirono le danze a cui parteciparono tutti, anche delle splendide ed agili suore, preposte ai malati, che incrociarono col vate, un po' impacciato,degli indimenticabili passi di danza.  

Ecco questo era il maestro Elio Pagliarani.