Una fucina di poeti: Il laboratorio di Elio Pagliarani
Felice Paniconi
Sauro Albisani, Gualberto Alvino, Arnaldo Colasanti, Claudio Damiani, Carla De Bellis, Paolo Del Colle, Sandra Petrignani, Claudio Giovanardi, Giuliano Goroni, Valerio Magrelli, Danilo Plateo, Antonio De Rose, Sandra Petrignani, Chiara Scalesse, Franca Rovigatti, Gabriella Sica, Alberto Toni, Pietro Tripodo, Gino Scartaghiande…
Non ricordo come entrai a far parte del “Gruppo del Laboratorio” di Elio Pagliarani che si riuniva presso la Galleria di Plinio de Martiis in via Pompeo Magno 6/B a Roma, sicuramente me ne parlò Walter Pedullà al termine di una sua lezione alle cinque della sera. Comunque fu un incontro per me fondamentale: il mio matrimonio con la poesia. In seguito vi portai i miei amici, Gualberto Alvino, Arnaldo Colasanti, Paolo Del Colle, Claudio Damiani, Claudio Giovanardi, Giuliano Goroni, Pietro Tripodo.... tutti oggi scrittori affermati.
Giunsi al corso timido e come impaurito, ma stabilii subito un ottimo rapporto con Elio Pagliarani, che riusciva con una facilità incredibile a parlare di poesia e a insegnare i segreti dell’arte. Era impossibile non scrivere frequentandolo, sentendolo leggere mentre dava ritmo al verso con la pipa che batteva sul tavolo. La prima cosa che appresi fu proprio questa: il ritmo. Rivelazione fondamentale per uno come me che veniva dalla campagna con nel sangue ancora caldi sentimenti. Quando Elio leggeva La Ballata di Rudi si sentiva il sudore, la salsedine, le mani callose e forti, la sofferenza umana, l’aria della riviera, ho così imparato che i versi devono essere letti per trovare la loro autentica dimensione. Un altro elemento fondamentale era la novità, l’originalità, la ricerca di una metafora che facesse sobbalzare il lettore sulla sedia; come dimenticare Cavallo trapezio, ma tutto questo poi era ben indicato nel sottotitolo del corso: Regole del ritmo e tecniche della versificazione.
Ogni sera interveniva uno scrittore e così ho conosciuto Arbasino, Malerba, Scialoja…
Una sera, ricordo, si parlava dei Limericks, Elio con Gianni Rodari ne spiegavano i meccanismi e il funzionamento e dopo la teoria si passava alla scrittura e poi alla lettura e al commento. Io ne scrissi subito cinque, trovando una vena inesauribile ma uno, “Il cieco di Lucerna”, fu molto apprezzato e mi aiutò a vincere la timidezza, tanto che Elio Pagliarani mi affidò il compito della raccolta di fine corso.
Il cieco di Lucerna
Un vecchio cieco di Lucerna
un giorno acquistò una lanterna
a chi gli chiese il perché dell’acquisto
Non mi serve vedere ma esser visto
Rispose il lumeggiante di Lucerna
Una sera (il 13 maggio) giunse trafelato Nanni Balestrini, poeta famoso ma considerato in quegli anni un “rosso estremo”. Disse che gli avevano sequestrato le poesie tra cui una Ballata della Signorina Richmond di imminente pubblicazione e ci invitò a scriverla di nuovo insieme con un collage: ognuno di noi doveva scrivere un verso in cui doveva comparire una parola del titolo: VANAMENTE I CARABINIERI CERCANO DI SEQUESTRARE LA SIGNORINA RICHMOND QUALE ARTEFICE DEL COMPLOTTO. Venne fuori un interessante poemetto che fu pubblicato in seguito su Linus. Forte di questo esperimento poetico la settimana seguente proposi una poesia in cui i versi, ben scanditi nella cesura, in due emistichi, potevano essere “smontati e rimontati” secondo una tecnica che oggi si direbbe basata sul computer.
Il tempo è cattivo
Rita è nel libro……di poesia
come gocce strisciando
sui vetri scendono
verdi parole
Lo spirito è impazzito
d’amore e di noia
col suo sogno
che non riesce a volare
Il vento con la criniera
al vento come una cavalla
calpesta correndo il nostro
giardino e gli alberi
Il tempo è cattivo
Rita è nel libro di poesia
il poeta si sta suicidando
vennero fuori tantissime poesie che fecero molto discutere e animarono più di una serata. Riporto uno dei tanti testi
Il tempo è sul letto
Rita è cattiva
dal libro strisciando
come gocce di poesia
sui vetri parole
verdi scendono
Lo spirito è di noia
d’amore è impazzito
col suo riesce a volare
che non sogno
Il vento come una cavalla
al vento con la criniera
calpesta correndo gli alberi,
il giardino e il nostro tempo
Rita è cattiva
nel libro si sta suicidando
il poeta di poesia
Alcuni incontri furono dedicati agli stornelli, agli epigrammi. Tra le mie carte, miracolosamente, sono riuscito a trovare alcuni.
Fiore di calle
c’è uno stornello in cima a un monte
se mi aiuti tu lo porto a valle
Fiore di sasso
scrivere uno stornello è cosa dolce
sembra quasi d’andarsene a spasso
Fiore di pianta
allo stornello mio un bacio manca
se glielo dai tu vedrai che canta
Epigramma finale di un poeta epigrammatico
Vivendo non sono servito molto
forse servirò meglio morto.
Ricordo che per la lettura conclusiva mentre raccoglievo i testi e formulavo la locandina, arrivò sconsolato un poeta da Frascati dicendo che gli avevano rubato le poesie. Io mi misi a ridere pensando all’amara sorpresa dello scippatore, ma poi aiutai il poeta a riscrivere il testo e come titolo proposi “Poesie perdute in pullman”. Per la lettura conclusiva Elio Pagliarani mi diede un indirizzario, io passai un’intera serata a scrivere indirizzi con una mia amica universitaria, ma alla fine nacque un diverbio e lei per dispetto sicuramente avrà gettato nella spazzatura le buste, se nessuna lettera arrivò ai destinatari. Questo fece arrabbiare molto Elio che donandomi il suo libro uscito negli “Oscar Mondadori” mi scrisse come dedica: “A Felice Paniconi con ammirazione e una delusione”.
Il Laboratorio, oltre a creare un cenacolo di poeti, ebbe il merito di riportare l’attenzione sulla poesia, su un linguaggio nuovo fatto di invenzioni poetiche, capace di parlare di tutto. Erano anni magici, era il decennio dopo il Gruppo 63 e i Nuovissimi con una Roma antica e calda: San Lorenzo ribolliva di poeti, quasi una fucina fiorentina rinascimentale, e poi c’erano gli incontri, le serate pubbliche con Franco Cordelli e Simone Carella, in cui la difficile e quasi illeggibile poesia degli anni sessanta andava alla ricerca di un pubblico. Erano gli anni dei sassi di Lama, dell’Università in rivolta e della pantera. Per risolvere tutto, e ingannare il potere, si faceva ricorso alla fantasia ed alla poesia.
I laboratori di Elio Pagliarani continuarono per alcuni anni vicino a Piazza del Popolo, sempre in una galleria di Plinio De Martiis, poi alla Casa dello Studente in via de Lollis e infine in via dei Coronari. Io, oltre ai laboratori, cominciai a frequentare la casa di Pagliarani in via Margutta, andare da Elio significava consegnarmi a un vortice di forti emozioni: non appena, varcato il portone, entravo nel cortile e salivo le scale esterne, tra grandi alberi, fiori e rampicanti in libertà. La casa sembrava senza mura e poggiare direttamente sui libri tenuti in ordine, o disordine, da semplici assi di legno. Spesso si andava insieme alla fiaschetteria di via della Croce parlando continuamente di poesia; là, mentre Elio svuotava e caricava la pipa con dita febbrili, leggevo qualche mio testo e lui batteva la pipa sul tavolo per tenere il ritmo: era sempre estremamente («patologicamente» diceva) scrupoloso, e non ammetteva imprecisioni o debolezze.
Andai a trovarlo con la sua omnia garzantiana sotto il braccio in via degli Ammiragli: dal nome mi sembrava che la spiaggia e il mare viserbese fossero come andati a trovarlo, per sostenere un uomo che aveva le mani da marinaio e una pipa di schiuma, un poeta che aveva messo in versi la durezza e la bellezza della vita.