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Per Pagliarani: qualche nota e una poesia

Valerio Magrelli

 

Conobbi Elio Pagliarani in una domenica del giugno 1975, a Roma, presso la galleria La tartaruga di Plinio de Martiis. Era in corso una lettura pubblica a iscrizione libera, e Pagliarani, seduto in platea, rimase incuriosito da un gruppetto di esordienti, tra cui me. Inizia così a frequentarlo (anche se sporadicamente), e a frequentare i suoi laboratori. Qualche tempo più tardi, con mia somma gioia, il miei primi versi vennero pubblicati sulla rivista “Periodo ipotetico”.

Ebbene, i poteri vorrei ricordare Elio con due mie composizioni, una breve prosa e una poesia. Di poesie, in verità, potrei aggiungerne molte, visto che feci mia la posizione contro il “poetese” (neologismo di Edoardo Sanguineti). Elio, infatti, ci spronava a parlare del panorama tecnologico che ci circondava, piuttosto che di una natura estranea alle nostre esperienze di cittadini. Da qui una serie di mie composizioni sull’autobus, sui telefoni, sulle carrozzerie delle auto. Aggiungo una lirica esplicitamente dedicata alle sfilate di moda, lirica che porta in esergo una sua citazione e una di Vladimir Nabokov. Ma vengo i due testi.

 

I. Da Che cos’è la poesia? Abbecedario poetico abbecedario (Sossella 2005, Giunti 2013)

Tutto può diventare tema di una poesia: questo luogo comune va difeso ad oltranza per garantire la nostra libertà e insieme la varietà delle specie. Conosco poesie che parlano di cibo in scatola, sesso, ferramenta, sapone, fiori, scioperi, violinisti, assenze, lussazioni, droghe o preti. Conosco poesie sulla poesia, su vacanze e omicidi, guerra e pace, cantieri, furti, amori. Mi piacerebbe che ogni lettore, anche senza credere in Dio, riuscisse a gettare sulla poesia quello stesso sguardo microscopico e compartecipe, appassionato e onnicomprensivo che Gerald Manley Hopkins posò sulla natura nei versi di Pied Beauty, ossia Bellezza multicolore:


Sia gloria a Dio per le cose variegate -
per i cieli pezzati come una mucca maculata;
per le rosee macchie punteggiate sulle trote che nuotano;
castagne cadute dai rami in tizzoni accesi; ali di fringuello;
paesaggi pezzati e spartiti - stazzo, maggese e terra arata;
e tutti i mestieri, congegni, attrezzi e il loro assetto.

Tutte le cose opposte, originali, esigue, strane;
tutto ciò che è mutevole, maculato (chi sa come?)
dal veloce, dal lento; il dolce, l'agro; l'abbagliante, l'opaco;
Colui che le ha generate, la cui bellezza non muta:
        Lodate lui.

Dunque in poesia vale tutto? Tutto, tranne il tramonto con gabbiani. La poesia è come Dracula, ma invece di temere la luce dell'aurora, deve evitare l'ombra del crepuscolo. La poesia è come Superman, ma la sua kriptonite sono i richiami degli uccelli a sera. Quando scende il tramonto, svanisce la poesia. Quando un gabbiano arriva, lei se ne vola via.

 

II.Pagliarani sul Niagara (Le cavie, Einaudi 2018)


Parlavi dei bambini,
dicevi della loro furia molecolare,
davanti alla cascata,
anzi, dietro il suo velo,
dentro un cunicolo scavato nella roccia
per sbucare sul retro delle acque.


Al buio, fra la guazza,
con quel film bianco che scorreva in fondo
velando il mondo,
come ficcati dentro un ombelico,
parlavi della nascita,
descrivevi la nascita,
affidavi alla nascita
la parola segreta di ogni storia:

CONTINUA.