Soggetti a scomparsa. L’esempio di Elio Pagliarani
Vincenzo Frungillo
In un suo famoso intervento, dal titolo Avanguardia e mediazione, Franco Fortini accusa i novissimi di essere autori di un’arte priva di Vermittung, ossia di mediazione formale, e di essere quindi assoggettati alla spinta entropica del contemporaneo. Scrive Franco Fortini nel suo intervento saggistico:
«Il paradosso dell’Avanguardia […] è quello di non accettare l’incarnazione (è peccato di spiritualismo, sempre …), di rifiutare quello che qui viene chiamato il “compromesso” (connotandolo come spregevole e ambiguo) e che è invece, molto semplicemente, l’opera nella sua oggettività. [… In questo caso è verissimo che l’Avanguardia ignora la mediazione perché si situa “prima” del momento del diniego. Ma, se vi si arresta, non è; si congela nella sua negazione. O, se è, si media (si esprime) in forme altre da quelle artistiche-letterarie.» 1
A questa critica risponde Elio Pagliarani con la prima lettera-poesia che apre Lezione di fisica e Fecaloro, ma l’intera produzione poematica del nostro potrebbe essere letta alla luce di una mancata “incarnazione”. Lo stesso piglio etico, con la conseguente declinazione drammatica, anche se stemperata da una naturale ironia del poeta romagnolo, è frutto di un interrogativo sulla sparizione di un corpo ideale. Questo nodo è evidente nel legame tra i tre poemi: La ragazza Carla, Lezione di fisica e La ballata di Rudi. Due sono, in particolare, gli elementi che si possono rilevare:
l’assenza in Pagliarani di una qualsiasi forma di metafisica o di mito-teologia che giustifichi il corpo del testo in una sintesi assoluta o superiore;
la messa in crisi del corpo dell’eroe protagonista come centro ideale della memorizzazione.
Il venir meno di due capisaldi della tradizione epica occidentale induce il poeta a ritentare in maniera nuova, e adatta ai tempi, il genere. Un’indicazione di lettura del poemetto La ragazza Carla Pagliarani la offre in sottotraccia già nella dedica iniziale dove troviamo scritto:
«Un amico psichiatra mi riferisce di una giovane impiegata tanto poco allenata alle domeniche cittadine che, spesso, il sabato, si prende un sonnifero, opportunamente dosato, che la faccia dormire fino al lunedì. Ha un senso dedicare a quella ragazza questa “Ragazza Carla”?» 2
Accogliendo la richiesta del poeta, si può prendere sul serio la sua dedica e tentare proprio da qui una prima lettura del suo romanzo in versi. La domenica è il giorno del riposo, è il giorno della sospensione dal ritmo lavorativo. La festa, stando alla tradizione ebraico-cristiano, ha origine dal riposo di Dio mentre l’uomo al lavoro è il risultato della pausa del motore primo. Anche agli occhi della credente Simone Weil questa verità ha un suo peso: «Iddio ha potuto creare solo nascondendosi. Altrimenti ci sarebbe stato egli solo». La pausa domenicale ha quindi il senso di una riconciliazione: lo spazio domestico, lo spazio del proprio mondo, riacquista senso grazie a questo giorno d’ascolto. C’è un riconoscersi, anche se in lontananza, con il deus absconditus Quest’elemento religioso in Pagliarani viene completamente eluso, cancellato. Carla è l’impiegata che salta il giorno della pausa per asservirsi alle forze di produzione. Andrea Cortellessa scrive nella sua introduzione al volume Garzanti dedicato al poeta romagnolo: «Nessuna poesia scalcia quanto questa. Nessuna evoca con tanta struggente potenza l’aldilà di se stessa: proprio quando, proprio perché, nega tutti gli aldilà. È questa la sua forza più grande.»3 La storia di Carla, e la cronaca dell’impiegata che l’ha ispirata, nega la certezza di uno spazio narrativo certo, mancando un occhio extrastorico che preservi gli eventi, li ricomponga: non è data una sintesi né storica né extra storica. La stessa lingua del poema è completamente assorbita dal quotidiano. Con una forma di collage futurista, le scritte e le pubblicità della Milano sfavillante di quegli anni vengono riportate nel testo:
[…] Odeon bar cinema e teatro
un casermone sinistrato e cadente che sarà la Rinascente
cento targhe d’ottone come quella
TRANSOCEAN LIMITED IMPORT EXPORT COMPANY.4
La lingua è quella “verissima” del quotidiano. Gli esempi sono molteplici come l’uso dei verbi calare (invece di scendere), mollare, pigliare, smerciare, tirare avanti; o anche l’uso degli avverbi derivanti dal parlato, a braccetto, a spasso, di faccia per dire di fronte, di fresco per dire da poco5. Le coordinate spaziali date al lettore sono però molto precise:
Di là dal ponte della ferrovia
una traversa di via Ripamonti
c’è la casa di Carla, di sua madre, e di Angelo e Nerina.
Il ponte sta lì buono e sotto passano
treni carri vagoni frenatori e mandrie dei macelli
e sopra passa il tram, la filovia di fianco, la gente che cammina
i camion della frutta di Romagna.6
Pagliarani mette in scena la Milano delle periferie dove vivono gli immigrati di ogni specie, i lavoratori che si accontentano di impieghi precari o a cottimo. Quelle che oggi diremo vite precarie. Nel corso della narrazione irrompe di tanto in tanto la voce della macchina e, anche se il dettato poetico di Pagliarani è vicino al realismo di questi anni, già si notano le cifre di quella che verrà detta poesia sperimentale7:
È dalla fine estate che va a scuola
Guida tecnica per l’uso razionale
della macchina
la serale
di faccia alla Bocconi, ma già più
Metodo principale
per l’apprendimento
della dattilografia con tutte dieci
le dita
non capisce se è un gran bene, come pareva in casa,
spendere quelle duemila lire al mese
Vantaggio dell’autentico
utilità fisiologica, risultato
duraturo, corretta scrittura
velocità resistenza8
Chi canta l’alienazione è la stessa macchina al lavoro o la lingua spersonalizzata.
Ciascun esercizio deve continuarsi
sino ad ottenere almeno
tre ripetizioni consecutive
senza errore alcuno e perfettamente
incolonnate
O quella povera zoppina, la più svelta
a macchina
Quando il dispositivo per l’inversione
automatica del movimento del nastro, o per difetto
di lubrificazione o per mancanza
del gancio
non funziona.9
Nel racconto compaiono addirittura due prospettive: quella di Carla e quella della macchina, anche se non c’è ancora il totale prevalere della seconda sulla prima:
No, no, no – Carla è in fuga negando
una corsa tra i segnali del centro non si nota
se non c’è fra i venditori di sigarette
un meridionale immigrato di fresco
ancora curioso di facce
avanti in marcia
chi ci mette la carica?
scapigliata pallidona
non è vero se non urli, come, paonazzo strabiliare,
quel tale per diffondere un giornale
questo no. Ho paura, mamma Dondi ho paura
c’è un ragno, ho schifo mi fa schifo alla gola
io non ci vado più.10
Carla è ancora il soggetto della narrazione in versi ma si prepara quanto avverrà con la versificazione informale di Lezione di fisica. Le ragioni di questa alienazione profonda dell’eroina Carla e della lingua sono quindi lasciate presagire dal lettore. Qui possiamo proseguire sulle tracce del nostro primo indizio; nella trama di questo poema contemporaneo la figura del padre è assente. Carla vive con la madre e la sorella Nerina, non ci sono figure maschili, è il femmineo che domina. Gli unici personaggi maschili sono Aldo e Angelo, il cognato di Carla, che condivide gli “scricchiolii” del letto con Nerina. L’assenza del padre però è questa volta evocata dal poeta. Recita l’incipit della parte sei del poema:
Come quelli che non seppero servirsi nell’assenza
del genitore è un trauma poi se manca
la frutta sulla tavola, nessuna scusa a Carla
la pazienza di Aldo sa concedere.11
Agli occhi del lettore diventa rilevante la frutta in mezzo al tavolo, viene da pensare alla lirica di Hölderlin Brod und Wein dove “il dì di festa” è appunto simboleggiato dalla tavola apparecchiata per sospendere il tempo e lo spazio, la relazione tra gli umani e gli dei fuggiti12. Ma noi sappiamo, per voce dello stesso Pagliarani, che il tentativo di evocare gli dei, o un dio, in “parole d’oro” è naufragato a Milano contro “parole di ferro e d’acciaio”13. Ed infatti nei versi immediatamente successivi troviamo scritto:
Tacitamente passa una domenica
che uno gira da solo e l’altra è in casa,
procedendo poi i giorni come al solito
come strumento
come strumento di tesaurizzazione
come strumento di tesaurizzazione l’oro in Europa
s’arriva a un altro sabato, ma casca
un approccio, o si perde per aria: domenica bis.14
L’assenza del padre si lega al tema della domenica. La domenica diventa il motivo principe della “tesaurizzazione”, ossia della mercificazione del reale. Pagliarani dà voce, così, a quella società che verrà poi detta “dei senza padri”15. Già Caproni aveva tradotto le vicende di Enea assecondando un punto di vista contemporaneo, ponendo l’accento sull’incapacità dell’eroe troiano di mettere in salvo il padre, di sostenere tutto da solo il peso di una tradizione16. Nel poema di Pagliarani l’assenza si fa sentire nella stessa lingua, lo scenario capitalista diventa il soggetto stesso della narrazione, così si radicalizza la crisi dello spazio poetico. Quest’esperimento non può tenere conto di un ultimo fattore: il postulare l’assenza di un padre metafisico e biologico ha in Pagliarani la conseguenza inevitabile della perdita dello spazio ideale che rappresenta da sempre il corpo dell’eroe epico. Di fronte a questa verità, Carla rischia di scomparire del tutto. Chi rischia non è l’eroina Carla, ma lo stesso spazio della rappresentazione.
Carla non lo sapeva che alle piazze
alle case ai palazzi periferici succede
lo stesso che alle scene di teatro: s’innalzano, s’allargano
scompaiono, ma non si sa chi tiri i fili o in ogni caso
non si vede […]17
Lo spazio scompare senza motivo, la stessa precisione geografica, esibita all’inizio del poemetto, viene ora spezzata mentre entrano in scena assenze che pesano: ci sono i primi segni del “corpo nero”, matrice dell’indeterminazione, che campeggia al centro del poema didascalico Lezione di Fisica. Il paradigma è già quello della rivoluzione tecnologica che verrà poi cantata nelle opere successive. E di fatto Carla scompare nel finale e con lei scompare la narrazione in versi. Pagliarani conclude la vicenda della giovane segretaria con un coro nel quale questa volta, riprendendo la tradizione delle tragedie manzoniane, pone le questioni etiche fondamentali ed una relativa dichiarazione di poetica:
Quanto di morte noi circonda e quanto
tocca mutarne in vita per esistere
è diamante sul vetro, svolgimento
concreto d’uomo in storia che resiste
solo vivo scarnendosi al suo tempo
quando ristagna il ritmo e quando investe
lo stesso corpo umano a mutamento.
Ma non comprende per dare
empito e farsene diritto:
non c’è risoluzione nel conflitto
storia esistenza fuori dell’amare
altri, anche se amore importi amare
lacrime, se precipiti in errore
o bruci in folle o guasti nel convitto
la vivanda, o sradichi dal fitto
pietà di noi e orgoglio con dolore.18
A quale morte si riferisce Pagliarani? Torna nel finale di un poema epico la morte. La morte però non è più quella a cospetto del padre, sublimata in un accordo biologico di conservazione di fronte alla potenziale dispersione, la vita che si rigenera dalla morte o viceversa la morte che fa tutt’uno con la vita19. Per questo motivo il poeta abbandona la narrazione in terza persona per coinvolgere direttamente il lettore in un noi comune. Il personaggio di Carla scompare e con esso la possibilità di un corpo ideale. La morte è ora una sensazione che il lettore avverte direttamente sulla propria pelle, “è diamante sul vetro”, qualcosa di preverbale. Il poeta ha alle spalle nessuna tradizione umanistica e nessuna trasmissione: “ristagna il ritmo/ e investe lo stesso corpo a mutamento”. Carla ha alle spalle l’assenza dei padri e il vuoto di una tradizione che non prefigura alcuna successione. La tradizione viene meno, viene meno il padre biologico, manca qualsiasi riconoscimento. Il corpo di Carla è ora il centro stesso di “una dialettica senza risoluzione”, è lo spasimo dell’alienazione e il corpo dell’eroina diventa il nostro stesso corpo. Questa è la metamorfosi che la morte regala al poeta nel finale del poema. Lo stesso nome di Carla svanisce, al suo posto ognuno può segnare il proprio nome. Nella figura dell’eroina si annuncia un nuovo tempo che trova il suo senso nella dinamica dei corpi: “non c’è risoluzione nel conflitto/ storia esistenza fuori dell’amare/ altri anche se amore importi amare/ lacrime, se precipiti in errore”. Anche a questa condizione, si traduce in amore e in pietà questo nuovo sguardo sul mondo: “o bruci in folle o guasti nel convitto/ la vivanda, o sradichi dal fitto/ pietà di noi e orgoglio con dolore”. Gli ultimi versi lasciano in eredità una sensazione amara ma necessaria, che il rapsodo contemporaneo capti i rivolgimenti del singolo senza però la certezza pregressa, genetica, mito-poetica, che questa evocazione valga come rappresentazione di uno spazio comune.
Lezione di Fisica è inaugurato da un testo che s’intitola Proseguendo un finale e sembra essere una dichiarazione di continuità, almeno sul piano etico, rispetto a quanto cantato nel coro finale di La ragazza Carla. Il testo è indirizzato a Franco Fortini, e forse il finale che continua è anche una risposta che ancora si deve al critico. La prima “egloga” riprende il soggetto della raffigurazione di un corpo in un contesto di alienazione radicale, di sradicamento dal mondo. Anche in questo caso, la poesia di Pagliarani vuole essere un’intensificazione di questioni laceranti e per questo motivo il poeta, come egli stesso ha affermato, assume su di sé le contraddizioni del mondo contemporaneo. La lettera a Fortini rende ragione di questo. Scrive Pagliarani:
L’angoscia intellettuale della gioventù quando scopre insufficiente
l’intelletto, cioè la capacità della ragione di distinguere
com’è lontana, Franco: era quella che chiamavamo
angoscia esistenziale?20
Chi ha cantato la fine del corpo ideale con la ragazza Carla, presenta uno scenario storico in cui la presenza del personaggio e dello spazio mondo che ad esso si riferisce non è garantito né dalla “progettualità esistenziale”, dall’angoscia di fronte alla morte (principio caro all’esistenzialismo degli anni Cinquanta), né dall’intelletto, né dall’amore. I corpi che mancano d’amore, angoscia ed intelletto non hanno figura, sono privi d’immagine. L’unico elemento che il poeta ora riconosce in quanto agente del reale e della stessa versificazione è “la forza”. La poesia assume il compito di conoscenza del reale e di azione sul reale, deve ridare forza allo scontro. Pagliarani ci dice che l’amore, la forza e l’intelletto, ossia la consapevolezza di una radicale esposizione, devono tornare ad esser cantati. Dei soggetti o dei personaggi della narrazione in versi resta la dinamica di fondo, la forza che li muove. Pagliarani ragiona, nel poema del 1968, sulla radice stessa della dynamis; la sua è una sorta di recupero della forza e della cinetica greca in chiave contemporanea. Il rapsodo vede con gli occhi della fisica quantistica e della logica carnapiana l’essenza dell’epica, “la grammatica epica di Achille”, scrive appunto Pagliarani. Lo scontro e la forza sono i motori delle gesta degli eroi, ma qui non esiste un’esposizione ideale, la luminosità del corpo eroico, al contrario esiste “il corpo nero”, l’indeterminazione, prima della mediazione formale, che ha l’effetto di irradiare su ognuno dei noi gli effetti dei recitativi.
1Fortini Franco, Avanguardia e mediazione, in Verifica dei poteri, Einaudi, Torino, 1989, p. 77.
2 Pagliarani Elio, La ragazza Carla, in Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 2006, p. 125.
3Cortellessa Andrea, La parola che balla, introduzione a Elio Pagliarani. Tutte le poesie,op. cit. p. 26.
4Pagliarani Elio, La ragazza Carla, in Tutte le poesie, Garzanti, Milano, op. cit. p. 136.
5Cfr. Di Paola Gabriella, La ragazza Carla: linguaggio e figure, Bulzoni editore, Roma, 1984, p. 21. Si veda anche Lorenzini Niva, La poesia di Pagliarani: la via padana allo “straniamento”, in Il laboratorio della poesia, Bulzoni editore, Roma, 1978.
6Pagliarani Elio, La ragazza Carla, op. cit p. 125.
7L’accostamento che più spesso si è fatto negli anni a proposito de La ragazza Carla è stato con La capitale del nord di Giancarlo Majorino. Ma i critici degli anni Sessanta hanno riconosciuto come antesignano di Pagliarani soprattutto Jahier come ha fatto Franco Fortini in Le poesie italiane di questi anni, Il Menabò, n. 2, 1960 e successivamente Adriano Spatola in una recensione a Lezione di Fisica comparsa su Il Verri, il 20 Febbraio 1966. Cfr. inoltre Andrea Cortellessa, La parola che balla, pp. 11-19, in Tutte le poesie, op. cit. Cortellessa fa una precisa ed attenta ricostruzione delle tendenze realiste e futuriste attive in quegli anni a Milano e che hanno influenzato la poesia di Elio Pagliarani.
8Pagliarani Elio, La ragazza Carla, p. 130.
9Ivi, p. 131.
10Ivi, p. 145.
11Ivi, p. 150.
12Cfr. Heidegger Martin, Hölderlins Hymne «Andenken», Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1982, tr. It. L’inno Andenken di Hölderlin, Mursia, Milano, pp. 55-105, 1997.
13L’espressione si riferisce alle parole usate da Pagliarani per commentare la sua scelta di poetica. Lo fa in una nota del 1990, parlando di se stesso in terza persona. Pagliarani Elio, Tutte le poesie, op. cit. p. 462: «Quando andò a Milano, sui diociott’anni, scrisse o disse, con un linguaggio più o meno rilkiano, che andava a cercare “le parole d’oro”: le trovò di ferro, e poi si accorse che erano proprio quelle, di ferro e d’acciaio, che andava cercando.»
14Pagliarani Elio, La ragazza Carla, p. 150.
15Mitscherlich Alexander: Auf dem Weg zur Vaterlosen Gesellschaft, trd. It. Verso una società senza padre, Feltrinelli, Milano, 1977. Cfr. inoltre Zoja L., The Father, Routledge, London, 2001, tr. It. Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, per un raffronto tra archetipi classici e figure contemporanee dell’alienazione psicologica. In particolare sull’assenza del padre.
16Cfr. Caproni Giorgio, Il passaggio d’Enea, in Il terzo libro, Torino, 1968 : «Enea che in spalla/ un passato che crolla tenta invano/ di porre in salvo, e al rullo d’un tamburo/ ch’è uno schianto di mura, per la mano/ che ancor così gracile un futuro/ da non reggersi ritto […]» Sarà poi negli anni settanta il poema Il disperso di Maurizio Cucchi a tematizzare il tempo dei senza padri.
17Pagliarani Elio, La ragazza Carla, op. cit. p. 151.
18Ivi, p. 153.
19Il riferimento è ad un archetipo dell’epica occidentale, l’episodio finale dell’Iliade è che racconta la venuta di Priamo presso l’accampamento acheo per chiedere la restituzione della salma del figlio. Questo celebre libro è stato commentato in diversi sedi, ma è illuminante quanto scrive Furio Jesi a questo proposito: «Il XXIV canto è uno dei più misteriosi dell’Iliade. È il canto notturno in cui Priamo si spinge fino alle navi degli Achei, fino alla tenda di Achille, per ottenere il riscatto del cadavere di Ettore. Ed è il canto in cui le leggi eroiche dell’inimicizia fra gli uomini sembrano rotte da leggi più profonde e più rare a manifestarsi: quelle dell’umana commozione, della partecipazione al dolore altrui, del sentimento filiale. […] Il cadavere di Ettore è il simbolo di quell’elemento di morte che sta nel seme della procreazione. Nel discendere agli Inferi per ottenere il cadavere di Ettore, Priamo ricerca quella parte di morte che trasmise al di fuori di sé nell’atto del generare Ettore. Nel generare è quindi implicita una partecipazione alla morte: passato e avvenire sono partecipi della morte: antenati e figli sono i vincoli che l’uomo ha con la morte. Ma dai suoi predecessori l’uomo trae vita, e nei suoi figli l’uomo trasmette la vita. È quindi quel flusso di vita –nel cui centro sta l’uomo presente- che è mescolato di morte.»? Jesi Furio, Cesare Pavese, il mito e la scienza del mito, in Letteratura e mito, Torino, Einaudi, 2002, pp. 155-156. Su questo aspetto ho provato a dilungarmi in Vincenzo Frungillo, Il luogo delle forze. Lo spazio della poesia nel tempo della dispersione, Carteggi letterari Le edizioni, Messina, 2017.
20Pagliarani Elio, Lezione di Fisica e Fecaloro, op. cit., p. 161.