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Exfanzia di Valerio Magrelli

Marco Ricciardi

 

Dopo l'esperienza sui generis, tra divertissement d'autore ed invettiva de Il commissario Magrelli (Einaudi 2018) la recente pubblicazione di Exfanzia (Einaudi, 2022) riporta il poeta romano (riferimento fondamentale della poesia italiana a cavallo tra vecchio e nuovo millennio), nell'alveo di un percorso propriamente in versi di ampio profilo. Itinerario che, seppur estremamente vario ed in continua feconda evoluzione (a partire dal deflagrante esordio di Ora serrata retinae fino a Il Sangue amaro, 2014) ha comunque evidenziato, in una ideale heat map stilistica, alcuni elementi ricorrenti e fondativi, in grado di resistere al tempo e di costituire in qualche modo la spina dorsale, l'estetica e l'impronta d'autore del poeta romano. Fin dalle raccolte di esordio degli anni '80, appare chiara e caratteristica in Magrelli l'urgenza “cartesiana” di trasfigurare il pensiero astratto, la res cogitans (vera fonte e impulso primario del suo versificare agli esordi) in res extensa, di tradurre l'immateriale, il fluido sensoriale informe e instabile del vivente, in architettura, oggetto, paesaggio. È un impronta d'autore vivida e consapevole, che trovava le sue prime potenti figure espressive, quasi dichiarazione d'intenti metodologica, fin nelle prime poesie di Ora Serrata retinae: «Questo studio è in realtà soltanto/una paziente meteorologia dell'uomo./Accorta analisi delle maree del pensiero e delle mutazioni della carne,/ che come un pianeta silenzioso lo attrae./Calcolo delle correnti e dei venti,/ dei climi e delle oblique/isobare dello spirito; stesura/ delle effemeridi corporali./Osservatorio appartato di ogni variazione/ che la mente proietta sul cielo del cranio. [...]» (Questo studio è in realtà soltanto). Oppure, nella poesia che seguiva: «Io abito il mio cervello/ come un tranquillo possidente le sue terre./Per tutto il giorno il mio lavoro/ è nel farle fruttare, il mio frutto nel farle lavorare./ E prima di dormire/ mi affaccio a guardarle/ con il pudore dell'uomo/per la sua immagine./Il mio cervello abita in me come un tranquillo possidente le sue terre.» (Io abito il mio cervello). In Magrelli il paesaggio è spesso, appunto, proiezione tridimensionale -ologramma o planetario sui generis ad uso “interno” (“sul cielo del cranio” appunto) della res cogitans, visualizzazione ed esorcizzazione dell'informe psichico negli spazi di un paesaggio cartesiano percorribile, misurabile, cartografabile.

Questo ricco e generativo nocciolo creativo dal quale irradiano poi svariati epifenomeni o evoluzioni (compresa l'introduzione della prosa, che però, come ha sottolineato Gilda Policastro ne L'Ultima poesia, non intaccherà realmente in Magrelli la bipartizione tra i generi), attraversa in modo potente il percorso pluridecennale della poesia del Nostro tanto che si arriva (che è quello che più ci interessa in questa sede) a ritrovarne significative e analoghe manifestazioni anche nelle composizioni di Exfanzia. Alcune poesie della raccolta si muovono ancora chiaramente in questa modalità, come ad esempio Una eccezione alla regola (p.18), dove l'astratto si metamorfizza e si coagula, è proprio il caso di dirlo, in materia organica: «La verità è come il sangue:/ci permette di vivere,/ ma non dovrebbe mai venire alla luce» oppure in Forse con l'età scompare (p.88), dove i processi di senescenza psichica trovano il loro correlativo meccanico-organico: «Forse con l'età scompare/qualcosa di analogo alla cartilagine,/ un tessuto psichico/che fa da cuscinetto/ tra la creatura e la sua vita. I due punti si toccano, e fa male […]». Questa poesia ci introduce peraltro uno dei, se non, IL tema centrale della raccolta, come peraltro il polisemico e neologistico titolo ci suggerisce: la vecchiaia. Ed è proprio Magrelli, in una recente intervista ad Andrea Cortellessa (sul blog collettivo Antinomie, marzo 2022) a spiegarci meglio l'idea di fondo della raccolta, proprio a partire dal titolo: «[...] Partiamo dalla parola, exfanzia. Naturalmente ho giocato con l'etimologia. L'in nella parola infanzia ha valore di negazione: non fantem è l'infante in quanto “non parla”, cioè non parla ancora, dunque in effetti l'exfante simmetricamente sarebbe colui che non parla più. Però per me era ancora più forte il valore diciamo progressivo (che l'etimologia corretta non giustifica affatto) di quell'in: l'infanzia contiene in sé un moto a luogo, un ingresso, un andare verso; e allora per me l'exfanzia a rovescio implica un moto da luogo, un venire dalla regione del linguaggio. [...]».

Quest'ultima raccolta sembrerebbe, per antonomasia, il locus letterario in cui questo passaggio anagrafico-epistemico viene maggiormente scandagliato da Magrelli, in realtà sarebbe meglio inquadrarlo come episodio finale di un percorso in cui a prendere pian piano il sopravvento è una faccia opposta e speculare della furia “cartesiana” dell'autore. Se infatti in Magrelli, come abbiamo detto, è caratteristica e prevalente, soprattutto nelle prime raccolte, la proiezione del soggetto (in quanto res cogitans e appunto “fante”, “parlante”), in uno spazio tridimensionale o paesaggio che ne cristallizzi ed esorcizzi la dimensione informale, è altrettanto presente, fin dagli esordi e certamente in modo via via più consistente nelle ultime raccolte (ma con un processo che è già ben chiaro fin dal titolo nell'esperienza in prosa de Il condominio di carne) un approccio complementare e per certi versi opposto, attraverso il quale invece è la materia biologica, il corpo a farsi paesaggio, architettura, ingegneria: «La vecchiaia è questione d'idraulica,/la valvola mitralica che perde,/ l'urina che non viene trattenuta,/ lacrime./Basta un attimo e senti già che affiorano:/ io non pensavo d'avere dei terreni/talmente acquitrinosi,/ d'esser, io stesso, pantano!/Qui, come premi un po', sgorgano liquidi,/ e la vecchiaia è: diventare liquido, ossia diventare quanto seme,/ come la pianta di fico, maledetta,/la sola che da frutto senza fiore […]» (La vecchiaia è questione d'idraulica, p.53). In Lunule, le chiamavano, e da piccolo (p.8) il corpo, come spesso in Magrelli, diviene barocco palcoscenico teatrale, planetario cosmo-metereologico di proiezioni metaforiche: «Lunule, le chiamavano, e da piccolo/ me le vedevo in punta,/sulla punta più estrema delle dita/con candide falci./ Ogni tanto, però, la volta si velava,/e dal fondo, da un'alba di carne,/ si staccavano nuvole minime/ per salire nei giorni, pian piano. [...]». Volendo rimanere ancorati all'immagine “meteorologica” (e il citato riferimento esplicito dell'autore ci autorizza a farlo) con il passare degli anni e delle raccolte in Magrelli i fenomeni “atmosferici” turbativi, entropici, disgregatori provenienti dal mondo esterno acquisiscono una rilevanza via via maggiore (con un processo dapprima ctonio poi via via più in superficie ed evidente già a partire da Esercizi di tiptologia, Mondadori 1992), e vanno spesso a rovesciare il flusso mitopoietico in direzione opposta, dall'oggetto al soggetto, costringendo spesso il poeta ad una reazione “scomposta”, alla polemica, all'invettiva.

La vecchiaia in Exfanzia, diventa più ampiamente la metafora di un soggetto che, per sopravvivere alla disgregazione organica, deve in qualche modo mineralizzarsi, farsi cosa, oggetto: «Mi sbriciolo/ pian piano/ mi sfarino, chiacchiero e intanto/ la vecchiaia tarlo/ mi va nebulizzando. In questo spolverio/affido la risata/ alla dentiera.»(Il metodo Kominsky, prima stagione, p.108). Ne L'importante per un chirurgo (p.95) questo processo di lento rovesciamento poietico ed epistemico trova un suo metaforico ma esplicito corrispettivo: «L'importante per un chirurgo,/diceva il poeta,/ è stare sempre dalla parte del manico./Allora vecchiaia significa passare/dall'altro lato dell'impugnatura.» Ecco che il poeta magrelliano in senectute più che in-cidente si fa sempre più inciso, parlato più che parlante, immortalato in immagine più che proiettato in vivo. Una poesia calcificante, che «è un vaso rotondo, liscio e bianco» (come ci ricorda Magrelli citando i versi di Antonio Porta) che trasforma il flusso informale della res cogitans nell'inorganico di un verso osseo, minerale: «Svelto, che sta chiudendosi!/ Se devi dire qualcosa dilla subito,/prima che sia troppo tardi./Perché una volta saldata,/calcificata come la fontanella/ nel cranio dei bambini,/ è raro che la poesia possa riaprirsi.[...]» p42.

In una nota d'autore ne Le cavie (Einaudi 2018; pubblicazione in cui si riproponevano tutte le raccolte di versi fino a quel momento pubblicate dall'autore più alcuni inediti), era Magrelli stesso, in una lucida operazione di auto-analisi critico-letteraria a rilevare come la sua poesia dopo «l'approccio meditativo delle prove iniziali» avesse dovuto fare i conti «con un paesaggio tecnologico e patologico» ed avesse inevitabilmente acquisito «un'intonazione civile, sociale, politica». Da una poesia che era soprattutto “metafisica”, proiezione del pensiero (metamorfizzato in paesaggio-oggetto) si è passati a una versificazione che è divenuta sempre di più anche «ortopedia civica», argine estetico-formale al disordine etico-politico (come pure farmaco o esorcismo della polverizzazione progressiva ed entropica del corpo, dell'organico). In altri termini è una poesia che è passata, per usare ancora le parole dell'autore, «dall'orbita di Francis Ponge a quella di Bertold Brecht». Anche in Exfanzia il registro della poesia civile e/o dell'invettiva morale, pur con un gradiente minore rispetto ad esempio a quanto accade ad esempio ne Il sangue amaro è ben presente in molte composizioni e vi ritroviamo alcune degli elementi perturbanti ormai ricorrenti nel Magrelli delle ultime raccolte quali ad esempio l'ossessione per le “catene” della burocrazia: «Mi sento un topolino nella ruota,/mi sento una scimmietta sul trapezio/ della burocrazia, sotto la spada/ di Damocle delle scadenze/[...] ogni modulo è l'anello/che ti tiene incatenato./Ogni uomo nella culla/ verrà utato dal mercato» (Mi sento un topolino nella ruota, p.54).

Il rumore maleducato è invasivo della civiltà contemporanea è un altro topos magrelliano, dove disagio acustico e morale diventano due facce di una stessa medaglia: «Ho combattuto la mia vita intera contro i rumori,/ e adesso, i rumori, mi sono entrati dentro./[...] Allora ho capito che il suono nasceva dentro me./Non solo dalle orecchie, anche dal cuore,/ perché pare che sia il sangue a creare/ questa mostruosa eco ininterrotta./Così, l'odio assorbito per decenni/ora mi cresce dentro;/ è diventato un nuovo coinquilino»(Ho combattuto la mia vita intera contro i rumori, p. 87). Il rumore, dalle frequenze irregolari, diventa in Magrelli il traslato di un disordine che è, prima di tutto, etico-morale, talmente invasivo da essere ormai ridotto ad acufene, a proiezione e poiesi di un disagio che si è ormai interiorizzato, incarnato. In creature di confine (p.115-116) al “rumore” accerchiante prodotto da una comunità ostile di negozianti di plantari, condòmini, avvocati, cognati, suoceri e fratelli che «Rubano tutto quanto» (in cui perfino il lettore è accusato di «essere un predone») si oppone, per antitesi, una melodia musicale casualmente ascoltata, che improvvisamente viene a rappresentare «[...] quel filo di luce che filtra/ tra le macerie della grotta crollata/un filo d'aria che giunge al minatore sepolto-vivo». Ed ecco che attraverso l'esperienza estetico-formale della musica «[...]grazie alla note-briciole/ che additano la strada a Pollicino» (e malgrado i «Ladrissimi di briciole» che rendono il percorso accidentato se non quasi impossibile) il poeta socialmente ed (est)eticamente “accerchiato” percepisce l'esistenza lontana e attrattiva, di un locus altro, di «un altro modo di essere al mondo» dal quale è gravitazionalmente e inesorabilmente attratto: «È minimo, lontano, impercettibile, /un debole segnale tra le stelle/ (la radiazione cosmica di fondo);/tuttavia c'è/ ed evidentemente, io gli appartengo. Mi chiama. Exit Valerio».

E' una poesia, quella di Exfanzia, che di fronte alla disgregazione morale e/o a quella organica della vecchiaia si fa quanto mai omeopatico-terapeutica (come non pensare d'altronde a Lo sciamano di famiglia pubblicato dello stesso Magrelli per Laterza nel 2015), lo fa “traducendo” il dolore, l'informale, le scorie in oggetto, in "arredamento" , attraverso un'esperienza poietica e formale, economicamente auto-conservativa: «E' una mia vecchia idea:/ immenso lavoro di trasformazione di scorie/in prodotti domestici./Un vaso di fibra di fiele,/un fermacarte fatto di calcoli renali./ Riciclare. Bisogna fare maglioni col dolore,/ trasformare l'angoscia in tappetini/ da bagno. Questa sì, è economia,/la «legge della casa»,/ e insieme metamorfosi del male./Terapia, arredamento, traduzione.»(È una mia vecchia idea, p.73).

 

Valerio Magrelli. Exfanzia, Torino, Einaudi, 2022