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Carta poetica del Sud di Simone Giorgino
Giuseppe Andrea Liberti
C’è un dato di fatto, alla base del nuovo libro di Simone Giorgino: la persistente svalutazione critica della produzione poetica del Sud Italia, peggiorata da direttive ministeriali poco interessate a promuoverne lo studio nei programmi scolastici e da un disinteresse solo episodicamente vinto dagli ‘addetti ai lavori’. Alcune eccellenze riconosciute a livello internazionale, come il Quasimodo assegnatario del Nobel, e la fortuna della narrativa di matrice meridionale non sono bastate a dissodare il terreno ancora incolto di una terra che rimane al limite dell’ignoto, abitata da nomi che sembrano sfuggire alle ricostruzioni storico-letterarie spesso condotte, chissà perché!, a partire da esperienze centro-settentrionali.
L’assenza di un discorso sulla poesia del Mezzogiorno non va ovviamente slegata da un generale movimento di disinteresse nei confronti delle sorti di questa porzione di Paese. La vecchia questione meridionale, nota Giorgino riprendendo Cremonesini e Cristante, si è trasformata in una «constatazione dell’insolubile» (p. 27), come se i problemi e i ritardi che attanagliano il Sud non possano essere risolti. Sarebbe invece necessario un ripensamento complessivo del loro approccio, a partire dalle modalità di discussione di questi temi; Carta poetica del Sud fornisce, sia pure nei limiti dell’ambito della poesia, un contributo al cambiamento del nostro modo di guardare al Meridione.
Di fronte a una simile situazione sono possibili due reazioni: limitarsi alle lamentele, continuando però ad accettare il canone vigente e le coordinate entro cui muoversi nel campo poetico italiano, o intervenire per provare a cambiare quelle stesse coordinate. La tradizione di studi da cui proviene Giorgino è una delle più impegnate in questa direzione: l’Università del Salento, grazie al magistero di docenti come Donato Valli, si muove infatti da decenni su un doppio livello di riscoperta delle produzioni letterarie meridionali e loro promozione. Ai lavori pionieristici dell’italianistica leccese, Giorgino aggiunge l’adozione di una prospettiva ‘meridiana’ che, sulla scorta della riflessione di Franco Cassano, guarda al Sud senza ridurlo a un «non-ancora-Nord» ma anzi valorizzandone l’autonomia e l’originalità.
Partire da Cassano e dal pensiero meridiano consente di guardare con un occhio ‘non colonizzato’ alle esperienze letterarie del Mezzogiorno. È lecito chiedersi se la prospettiva non possa essere allargata fino a ricollocare il Sud Italia in un contesto mediterraneo, individuando temi e immaginari comuni a scritture limitrofe che condividono tratti del loro DNA culturale: credo non mancherebbero le sorprese. In ogni caso, la lettura del Novecento e del primo XXI secolo offerta da Giorgino integra molto bene la riflessione sulla mescidanza quale tratto caratteristico delle culture mediterranee con le concrete dinamiche storiche di un Sud che ha tratto nel tempo la sua identità «dalla coesistenza e dall’ibridazione di culture differenti […] oltre che da un’amara consuetudine alla subalternità e alla dominazione straniera» (p. 24).
Nel corpo della parola, l’identità appena descritta assume i contorni degli acri panorami delle coste meridionali. Ricorrente, nelle testualità prese in esame, è l’insistere sui connotati visivo-ambientali delle proprie terre d’origine. Lungi dal fungere soltanto da cronotopo, il paesaggio è colonna portante di una più complessa struttura culturale attraverso la quale il soggetto poetante si esprime. L’«immaginario ortsgebunden», cioè «legato-al-luogo» (p. 18), non si riduce a un elenco di elementi ricorrenti nelle trasposizioni in versi della Sicilia o della Basilicata; al contrario, «il territorio di appartenenza – o meglio: l’appartenenza a un territorio – continua […] a essere ancora oggi motivo e condizione essenziale di poesia» (p. 64).
L’insistenza diffusa sul locus non va tuttavia confusa con una limitatezza di toni e soluzioni formali. Proprio il rintracciamento di variegate linee poetiche, tutte saldamente radicate nel Meridione d’Italia, rappresenta uno dei contributi di maggior interesse della Carta disegnata da Giorgino. S’impone, com’era forse prevedibile, una linea meridionale, a suo tempo proposta da Antonio Lucio Giannone e che ora si presenta con delle caratteristiche piuttosto definite: «il Sud come tema lirico-narrativo dominante […]; il constante richiamo “alla storia, antica e recente, di queste terre, ai lontani abitatori, ai vari popoli che le invasero e le sottomisero”; l’attrazione verso […] la “realtà dell’invisibile”, e cioè l’inclinazione a un orfismo caratterizzato dalla fusione di elementi magici e religiosi, tipi delle culture popolari […]; e poi il tema della devozione filiale, cioè una declinazione moderna del culto dei lari», al quale si lega il tema «della memoria […] declinato nel mito dell’infanzia e della nostalgia della terra natale» (pp. 43-44). C’è ancora molto da approfondire, a parere di chi scrive, sulla natura e l’effettiva consistenza di una corrente di questo tipo, che coinvolge un’intera macro-regione e lega tra loro poeti di diversa estrazione e abilità; tuttavia, i chiarimenti forniti da Giorgino serviranno per ulteriori messe a punto della tendenza meridionale della nostra letteratura.
Seguono i profili della linea surrealista e di quella cosiddetta ‘barocca’: per la prima, che già Contini e Macrì avevano scorto e che di recente ha trovato un inquadramento nazionale grazie alle ricerche di Beatrice Sica, si possono fare i nomi di Vittorio Bodini, quasi un suo precoce teorizzatore, come pure di Girolamo Comi, Alfonso Gatto, o del palermitano Edoardo Cacciatore; multiforme è invece la fisionomia del barocco novecentesco, anche per le implicazioni ideologiche che il richiamo a una stagione remota della vita meridionale può portare con sé. Nel 1977 escono Autunnale barocco di Ripellino e Sciarra amara di Insana, opere «decisive per lo sviluppo della poesia del Sud nella direzione di una alchemica sperimentazione linguistica in chiave espressionistica» e nelle quali il barocco viene trattato «come una maschera che nasconde la vacuità e caducità del reale» (p. 56); per il solito Bodini, invece, il termine indica «un atteggiamento estetico contrapposto al classico», segnato da «variazione organizzata, […] policentrismo, [e] ritmo forsennato» (p. 59). Un modus poetandi che trova poi declinazioni diverse di regione in regione, di zona in zona, sì che il «barocco leccese» (p. 61) di Bodini o del Carmelo Bene de ’l mal de’ fiori siano altra cosa da quello siculo.
Se vivono una particolare fortuna nel Mezzogiorno, non di meno alcune linee abbozzate potrebbero essere valorizzate a livello nazionale; non tanto al fine di inserire, col rischio di forzature, autori settentrionali nei filoni del surrealismo o del neo-barocco, quanto per mostrare la miopia del considerare esclusivamente una linea come quella ‘lombarda’ (improntata sin dal nome a un regionalismo spinto) evitando di discutere esperienze maturate in spazi meno rilevanti (si legga: ‘meno ricchi’) ma la cui riscoperta proietterebbe lo Stivale in contesti quanto meno europei.
Il lavoro di Giorgino si basa su un corpus testuale costituito da 31 poesie di sedici tra autrici e autori, alcuni più o meno noti alle cronache poetiche, altri ancora in attesa di un pieno apprezzamento (tra gli altri, citerei almeno Lucio Piccolo e Nino De Vita). Ci si può solo felicitare della presenza di nomi anche molto recenti, come Michele Sovente o ancor di più Antonio Prete, né pare secondaria, per la fruibilità dei testi, la scelta di antologizzarli nella seconda parte del libro assegnando a ognuno una sigla, che rende la consultazione comoda. Casomai si potrebbe ampliare il numero degli autori da considerare, recuperando alcuni ‘esclusi’ che possono essere inseriti senza grossi problemi negli orientamenti descritti: non sarà per esempio del tutto peregrino includere certi lavori di Gabriele Frasca nel filone barocco, o includere parti di Codice siciliano (1957) di Stefano D’Arrigo nei dintorni del surrealismo à la Vittorio Bodini; e, in un’ottica di analisi dei modi di rappresentazione poetica – e quindi al tempo stesso di ripensamento – del territorio, sembra difficile trascurare un poemetto come ’O ggeniuslò di Mariano Bàino (da Ônne ’e terra, 1994), affresco verbale di una Napoli traboccante di registri linguistici e macchiette come pure di merci del capitalismo spettacolare.
Ciò detto, il libro di Giorgino ha il merito di porre diverse questioni alla contemporaneistica: qual è il rapporto tra poesia del Sud e poesia elaborata nel resto del Paese? Quale il suo contributo alla storia letteraria nazionale? Esiste uno ‘specifico’ di questa produzione, che nel contraddistinguerla può renderla un’alternativa a tendenze altrove osservate? È anche su questi temi che bisognerà confrontarsi negli anni a venire, contro una sottostima (non limitata, giova ripeterlo, alla critica letteraria) di troppo lunga durata.
Simone Giorgino, Carta poetica del Sud. Poesia italiana contemporanea e spazio meridiano, Neviano, Musicaos, 2022