p. 33-35 > Un amore da odiare - per una conversazione sull'economia della poesia

N.d.R: Contributo del secondo seminario su “L’economia della poesia” organizzato dalla Biblioteca Elio Pagliarani, tenutosi il 20 gennaio 2022 presso la Casa dello scrittore a Roma

 

 Un amore da odiare – per una conversazione sull'economia della poesia

Piero Cademartori

 

     Certo, essere editori di progetto vuol dire mettere in rilievo e in gioco principalmente le proprie passioni, i propri amori culturali e bibliografici. E questo difficilmente si coniuga con l'essere imprenditori a tutti gli effetti, creare profitti solidi e duraturi, anche se gli esempi virtuosi non mancano.

     Poi, investire le proprie risorse di tempo ed economiche nella produzione di libri di poesia è un azzardo ancora più temerario, perché, ormai per definizione assunta quale prassi “i libri di poesia non si vendono”.

     Da editore di poesia, presente sul mercato da oltre vent'anni, sin da quando, insieme a Silvia Tessitore, nel 1998 - affiancato da tanti amici, poeti, critici, appassionati, che hanno fatto crescere questa nostra esperienza - decidemmo di mettere insieme appunto passioni e letture – poesia e musica, principalmente – la commercializzazione di libri di poesia non ci ha dato certo riscontri positivi. Non ci ha fornito un andamento commerciale sostenibile. Ma tant'è, siamo ancora qui a pubblicar poesia, e a parlarne.

     Perché? Sì, passione e amore. Il sostegno di autori, enti, talvolta sponsor. E lettori. Perché poi, la poesia “non si vende”, ma si legge e si consuma. Si pratica, si confronta, si scambia, si studia. E quindi le forme anche commerciali si trovano, le scelte si possono fare, la vendita si può creare, la diffusione di libri di poesia si può incentivare.

     Preparando questo argomento, sono andato a guardarmi quelle che sono le pochissime e scarne notizie sulla vendita di libri di poesia. Si tratta per lo più di considerazioni sulla difficile vendibilità dei libri di poesia o di “classifiche” che temo lascino il tempo che trovano, anche perché oltre a mettere in un determinato ordine una decina di titoli, non offrono nessun'altra informazione. Per esempio a quante copie vendute corrisponde un certo posto in classifica.

     In sostanza, questo tipo di argomento, più o meno seriamente affrontato, non offre molti riscontri se si intende approfondire e fare una verifica reale della situazione. A differenza di tanti altri settori editoriali, per i quali, pur se i meccanismi di valutazione non variano granché, abbondano però di informazioni sul gradimento, sul numero di copie vendute, sulla “penetrazione” commerciale e la durata nel tempo di determinati titoli e autori. Certo, molto spesso questi riscontri sono piuttosto interessati, redatti dagli stessi attori della filiera. Ma per la poesia tutto ciò manca. Segno che, appunto, un discorso di vendita e di mercato per la poesia valga poco la pena farlo.

     Prendiamo allora la questione da un altro versante: la funzione dell'editore. Che dovrebbe essere quello maggiormente interessato al mercato. Dividendo questo ruolo almeno in due fette: i grossi gruppi editoriali da una parte, gli editori “puri” (cioè persone e aziende che campano solo pubblicando libri) dall'altra.

     Per i grossi gruppi editoriali il settore della poesia è un meandro, spesso in perdita, che sopravvive per ragioni recondite: a) tradizione (ormai più pochi); b) interesse di un direttore editoriale di prestigio, che opera anche in altro per il gruppo editoriale e che sostiene in vita il settore poesia; c) mera occupazione di uno spazio in libreria (se non lo occupo io, lo occupa il mio concorrente). Talvolta i grossi gruppi propongono libri di poesia che affondano nel modaiolo, se mai una moda della poesia si possa dare. Molto più spesso nella tradizione più retriva, il “poetese”, slanci para scolastici, aforismi sentimentali.

     L'editore “puro”, quello “di progetto” no, se pubblica poesia è perché ci tiene, gli piace, ha passione. Salvo lamentare la scarsa vendita, ma questo abbiamo appurato che è così, è un dato di fatto. In questo caso si formano botteghe, scuole, oratori, laboratori, parrocchie. Ci si pubblica spesso tra conoscenti, si fa circolare la merce tra avveduti, si fa scambio. Più che mercato, si fa mercatino.

     Però. Siamo sempre lì, a parlare di libri. Se invece volessimo parlare di autori, di poeti, la questione può presentarsi ben diversa. Se i libri di poesia non si vendono, se nessuno se li vuole comprare, gli autori di poesia invece sì, quelli bravi e in vista si vendono, la gente se li compra. Non per le poesie dentro i libri, ma per la faccia, la voce, le espressioni, i corpi. Persino per i versi. Ce li compriamo dentro i video, i podcast, i reel, le stories, facciamo crescere i loro like, le visualizzazioni, i download e quelli bravi, magari con una buona struttura di mercato dietro, possono monetizzare tutto questo, possono guadagnare soldi veri facendo poesia, distribuendo poesia, recitando poesia, scrivendo poesia.

     Certo, una poesia adatta, mica le solfe. Versi immediati, che arrivano dritti, da dire, sillabare, con cui contornarci un'immagine, da ballare in un video. Che spieghino la vita in poche parole. Meglio se la vita dell'autore, che poi sarà quella di tutti noi, va da sé. Ecco allora che un mercato c'è, e c'è pure una poesia per il mercato. Magari poi l'instatpoet vende anche i libri. Che avranno dentro quella poesia lì, quella che leggiamo su Instragram, che vediamo su TikTok. La leggiamo in un libro e ci sembra proprio di stare sul social, di interagire con il nostro poeta preferito.

     Allora una risposta l'abbiamo, se ci poniamo una domanda sull'economia della poesia. Ecco, c'è una economia della poesia. La poesia, limitatamente intesa all'uso del verso, spesso scisso da una struttura complessa, la poesia paradigma di vissuti condivisi, di pulsioni morali, di slanci emozionali, riconoscibile nel comune sentire, che diffonde piacere della parola, che “arriva” in modo semplice e diretto. Una poesia che piace, “piaciona”. Questa poesia può fare anche mercato, diventare merce ed essere monetizzata. Magari non tanto dentro a un libro (“i libri di poesia non si vendono”), ma insieme a un suono, una musica, una faccia, un  movimento del corpo, un'icona.

     Lascio una serie di link, di cose consultate, che rappresentano il panorama, scarno, di quanto l'argomento “economia della poesia” sia dibattuto, e quindi, vieppiù, ben venga l'essere qui a discuterne, a dibatterne, a confrontare opinioni ed esperienze.

 

Link

 

https://www.illibraio.it/news/editoria/libri-di-poesia-piu-venduti-587742/

https://www.ilpost.it/2018/03/21/poesia-libri-venduti-ibs/

https://www.poesiadelnostrotempo.it/superclassifica-show-della-poesia-i-titoli-piu-venduti-dai-piccoli-e-medi-editori-nel-2020/

https://www.larivistadeilibri.it/libri-poesia/

https://www.avvenire.it/agora/pagine/poesia-amore-e-social-il-mercato-che-funziona

https://www.avvenire.it/agora/pagine/poesia-amore-e-social-il-mercato-che-funziona

https://www.storiacontinua.com/scrittura-creativa/il-fenomeno-degli-instapoet/

https://www.donnamoderna.com/news/cultura-e-spettacolo/rupi-kaur-poetesse-instagram-account-da-seguire

https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/25/sono-poeti-vendono/173162/