Margherita Palli Rota
Autobiografia / semiseria
Sono nata a Mendrisio nel 1951 nella maternità Cantonale dove ora c’è un Università di Architettura e dove ho insegnato sino a quest’anno, sono cresciuta a Lugano ma sono attinente di Pura, cosi è scritto sulla mia carta d’identità svizzera… La mia famiglia non vive più lì dalla fine del ‘700, ma in Svizzera è cosi… le origini sono importanti, puntualmente mi arriva una busta e voto ancora in quel comune di cui sono patrizia ed ho il diritto di fare la grappa all’alambicco del patriziato (ma non ci ho mai provato). Ci vado ogni tanto perché ho dei cugini che sono tornati a vivere lì e che gestiscono una Galleria d’arte a Locarno.
Da parte di papà, dunque, sono originaria di un piccolo paese dove anni fa Arturo Benedetti Michelangeli si è rifugiato scappando dall’Italia. Da parte di mamma di Ghirone piccolo paese di montagna in cui è nata, ma poi è cresciuta a Morcote, i nonni vivevano li e il nonno mi portava al cimitero e con grande orgoglio mi mostrava le tombe di Eugene D’Albert (pianista e compositore), Baklanoff (baritono) e Alessandro Moissi (attore). Non sapevo chi fossero e non capivo perché non fosse la tomba di famiglia quella su cui metteva i fiori. Ora so chi sono.
La città del cuore quella a cui pensi quando pensi casa è Lugano, collocata in una posizione magica fra le montagne e il mare. Vicino c’è Milano. Il mio papà aveva lavorato prima della seconda guerra, per un periodo, nello studio Lingeri Terragni e mi portava a Milano in gita, mi faceva fare visita a vie e trani che frequentava da giovane. Io pensavo che in Corso Matteotti ci fosse alla fine il mare invece c’era la Scala, teatro dove avrei lavorato da grande.
Non sapevo cosa volessi fare da grande, forse il veterinario, ma non avevo voglia di andare a Zurigo, a studiare nella Svizzera interna come si dice da noi; cosi nell’ ottobre del ‘68 sono scesa a Milano. Ho dovuto rifare gli anni di liceo perché all’ epoca non si avevano equivalenze, poi scenografia all’Accademia di Brera (scelta casuale, sembrava una professione seria e quindi accettata dalla famiglia). A teatro andavo sia a Lugano che a Milano, ma non pensavo di lavorarci. Negli anni di Accademia, diligente frequentavo l’aula di scenografia, ma non mi trovavo con quello che si insegnava. Fuori il Living, Ronconi e tanto altro, dentro l’aula tutto era rimasto al teatro ottocentesco plumbeo, noioso. Cosi ho iniziato a frequentare l’aula di scultura, lì insegnava Alik Cavaliere, si dialogava, si parlava di politica e soprattutto si guardava anche fuori dalle mura del Palazzo.
Finalmente avevo deciso cosa fare … lo scultore. Sono andata a lavorare nel suo studio… ci sono rimasta un po’ di anni e li ho imparato a progettare / guardare / gestire lo spazio.
Erano anni di piombo a Milano, ma anche anni fantastici dal punto di vista culturale. Sono stata fortunata, ho fatto incontri sempre straordinari, il primo Italo Rota. Arrivata a Milano ho conosciuto quello che ora chiamo l’archi, iscritto a Italia Cina e ben diverso dagli amici Luganesi. Ho iniziato ad andare con lui alle manifestazioni a leggere cose diverse, naturalmente tenendo all’ oscuro la mia famiglia. Tornavo il sabato a Lugano con i vestiti di ordinanza. Ci siamo spostai nel ’79. Pranzo al ristorante cinese e niente feste, niente famiglia ,solo pochi amici, conservo di quel giorno un abito di lana rosa di Missoni.
Il secondo ovviamente Alik Cavaliere, che un giorno mi ha detto: «Disegni bene sai fare tante cose, cerca un lavoro, non voglio licenziarti, ma fare lo scultore non è facile e per una donna ancora di più». Cosi nasce il terzo incontro straordinario l’arch. Pier Luigi Nicolin, che faceva concorsi e altro con l’archi.
Aveva avuto l’incarico con altri architetti di far ripartire la Triennale e preparare le mostre per la XVI TRIENNALE. Con questa edizione si ricominciava, una specie di risorgimento dopo un po’ di anni oscuri. Un giorno mi ha chiesto di lavorare con lui.
Tornava fuori il mio animo organizzato svizzero, un ufficio, disegni, conti da far tornare, ordine. Di quel periodo mi resta una foto con un abito che amavo molto giallo e nero. Dimenticavo… adoro le novità, cioè, mi piace ricercare vestiti e accessori. Stavo bene mi divertivo e tornavo ogni tanto sul lago perché un po’ mi mancava / mi manca, lo specchio d’acqua piatto con le ripide montagne attorno, una scenografia vera.
In quel periodo l’archi frequentava gli studi di architettura e lavorava alla rivista Lotus. Frequentavamo Gae Aulenti, che disegnava anche le scenografie per Luca Ronconi. Un giorno mi chiede di lavorare ad uno spettacolo con la regia di Ronconi. Lascio la Triennale.
Lo spettacolo era al teatro alla Scala. Non ero mai entrata in un palcoscenico per lavoro, non sapevo niente, paura, ma il direttore tecnico di allora, Giorgio Cristini, incontro straordinario e di grande aiuto, mi prese a ben volere e mi aiutava in tutto quello che non conoscevo. Oggi suo figlio Marco è il mio assistente, unico maschio in un mondo di donne assistenti.
Lavoro per Aulenti su due spettacoli e poi un terzo a Pesaro. Si dice che non ho fatto gavetta in teatro ed è vero.
Non ci sono altri lavori quindi riparto per Parigi, per il progetto della Gare d’Orsay, a lavorare nel suo studio. Aulenti aveva fatto il concorso e vinto con l’archi.
Avevo fatto nel frattempo li quarto incontro straordinario, Luca Ronconi, ma per ora era solo una bella avventura. Lavoravo in studio, ma non amo Parigi, mi prende una depressione, lavoravo aspettando il sabato per tornare 48 ore a Milano. L’archi adora Parigi, prospetta di trasferirsi definitivamente nella primavera dell’ ’83, si cerca una casa e si decide di chiudere la casa di Milano. E’ estate.
Troviamo la casa ma al rientro a settembre. Ronconi è a Parigi per l’inaugurazione dell’Opera e mi chiede di firmare uno spettacolo in Italia… Tengo il piede in due scarpe, di giorno in ufficio alla Gare e la sera disegno Fedra. A marzo ’84 debuttiamo e ritorno a malincuore a Parigi. Per fortuna non avevamo preso casa ancora. Ronconi mi offre due spettacoli.. mollo tutto Aulenti, Parigi e l’archi e torno a casa a Milano e da lì inizio a fare lo scenografo.
Inizio con fatica e paura. Giovane, donna, alta 1,60 in un paese, l’ Italia, dove nei teatri tutto il personale era di sesso maschile e le scenografe donne quasi inesistenti. Ancora oggi non so perché Ronconi si sia fidato di me. Forse perché ero silenziosa, discreta e rapida nel fare le cose o perché le mie origini svizzere lo rassicuravano. Aveva due bovari bernesi e da piccolo aveva studiato a Basilea.
Ho lavorato con lui per tanti spettacoli e mostre sino alla sua morte. Il lavoro con lui mi assorbiva tutto il tempo e dovevo rifiutare altre offerte ma ogni tanto lo tradivo. Facevo mostre ed ho anche iniziato ad insegnare… Pensavo a una supplenza, non ci credevo molto e, invece, sono ancora in Naba e dirigo la scuola di scenografia. Sarà il DNA. Mio nonno Cesare insegnava e aveva fondato a Lugano a fine ‘800, con altri, il Circolo Operaio Educativo, dove aiutavano gli emigranti a leggere e scrivere. Fra le sua carte ho trovato un nomenclatore e cosi lo scorso anno ho fatto un Dizionario di termini teatrali (il nonno è l’incontro straordinario negato , muore nel ‘32 ma ho molti suoi quaderni e dei suoi appunti).
In teatro lavoro sovente con Mario Martone per l’opera lirica, un altro incontro straordinario di lavoro, questa volta di una generazione più vicina alla mia.
Mi diverto a disegnare scene per l’opera lirica, il balletto è una scoperta recente. Da piccola mi mandavano ad una scuola di danza a Lugano. Non mi piaceva, detestavo quella cosa da signorine e cosi non mi sono mai interessata troppo alla mondo della danza ma un po’ di tempo fa la Scala mi ha chiamato per riallestire Lo Schiaccianoci nella versione di Balanchine, scene e costumi, con il Trust Balanchine che sorvegliava e il maestro che dava istruzioni, penso in sedute spiritiche. Un esperienza strana, ma che mi ha fatto apprezzare la danza.
Nelle mostre e allestimenti lavoro un po’ nei vari settori ma l’incontro straordinario è stato con Antonio Ricci. Ho allestito alla Triennale il compleanno per i 20 anni di Striscia e sono entrata nel Guinness dei primati con il muro più lungo di schermi del mondo.
Non ho fatto il veterinario ma ho sempre avuto cani e l’archi i gatti, ora abbiamo solo dei gatti meravigliosi.
Che dire sono stata fortunata, il caso, il destino mi ha fatto conoscere ed incontrare committenti sempre interessanti a volte difficili come Alexander Sokurov. Lui parlava russo e io italiano. Uomo fantastico, ma di impostazione militare, rigoroso , severo, avevano tutti paura di lui, ma io avevo avuto una buona scuola, le prove con Ronconi. Parlavamo poco e ci capivamo con il disegno.
Dimenticavo… il mio libro preferito da piccola era Der Struwwelpeter di Heinrich Hoffmann. Adoravo da bambina rileggerlo e ficcarmi sotto il letto impaurita. Adoravo Paolinetta e più volte ho fatto piccoli incendi nel giardino di casa o su una terrazza di un albergo. Conoscevo a memoria tutti i personaggi e le filastrocche… ma, chissà, forse non si può più regalare ai bambini non è un libro politically correct oggi. Le illustrazioni sono bellissime e mi diverte ancora guardarlo.
Quest’anno ho compiuto 70 anni, la cosa strana è che sono passata da giovane scenografa emergente di successo a vecchia signora del teatro italiano. Non mi lamento. Ho anche fatto il 382 Festino di Santa Rosalia, un incontro straordinario con la Santuzza, i marinai della Kalsa e Daniel Ezralow. Il destino mi è stato benevolo e continua ad esserlo. Ho fatto un altro incontro straordinario ma questa e una altra storia.
Milano 14 settembre 2021 era coronavirus