Il mio ricordo di Dennis E. Rhodes, bibliografo *
Marco Menato
Premessa.
Di recente, sono stato costretto a mettere in ordine il mio archivio, trascinato dalla Biblioteca universitaria Alessandrina di Roma alla Biblioteca statale isontina di Gorizia, rimasto separato in due tronconi, mentre invece l’idea iniziale era che si accrescesse a Gorizia: i nuovi impegni amministrativi, la pigrizia, la voglia di ricominciare, hanno fatto sì che l’archivio ‘romano’, consistente in una decina di grandi scatole (che comprendevano però anche libri e riviste), sia rimasto fino al momento della pensione immobilizzato, fotografando così i miei studi ed interessi fino al novembre del 1996, quando optai per la direzione della Isontina e quindi mi trasferii a Gorizia (lo rifarei?). Mentre la parte goriziana dell’archivio si è rivelata agile e limitata ai lavori non ancora, o da poco, conclusi, la sezione romana, che in realtà riguardava nemmeno dieci anni, era quella maggiormente ricca tra corrispondenza, appunti e molte fotocopie, ma non bisogna dimenticare che si era proprio al confine fra la tradizionale metodologia della ricerca e quella che si sarebbe imposta con la ricchezza e la comodità delle risorse presenti nel web.
Cercando, quindi, di dare un ordine alla massa di carte che avevo letteralmente ‘buttato’ alla rinfusa nelle scatole, sono emersi molti spezzoni del mio impegno professionale, tutti riconducibili a una visione delle raccolte bibliotecarie sotto la specie della Bibliografia. Questa la trama più visibile, insieme - è ovvio – ad altro materiale collegato alle pratiche d’ufficio, che ho facilmente scartato: I) la bibliografia veronese del Cinquecento, concretizzata nei due volumi degli Annali della tipografia veronese del Cinquecento, portati a termine con l’amico Lorenzo Carpanè, editi da Valentin Koerner tra il 1992 e il 1994 nella collana “Bibliotheca Bibliographica Aureliana”, senza la richiesta dell’usuale contributo economico (questo è bene sempre sottolinearlo); II) la bibliografia di Conrad Gesner, pubblicata in appendice alla monografia omonima di Alfredo Serrai (Bulzoni, 1990); III) la bio-bibliografia dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, che avrebbe avuto una prima, e tuttora credo insuperata, realizzazione nella Tipografia del ‘500 in Italia[1], scritta con Fernanda Ascarelli (Olschki, 1989) e proseguita nel primo volume del Dizionario dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento[2] (DITEI, 1997) diretto insieme a Ennio Sandal e a Giuseppina Zappella per l’Editrice Bibliografica (il secondo volume, contenente la lettera G, è uscito solo alla fine del 2020, editore la Libreria antiquaria Drogheria 28 di Trieste); IV) la storia della Alessandrina, a seguito di un lungo seminario di Storia delle Biblioteche condotto dalla prof.ssa Tiziana Pesenti, lavoro rimasto allo stadio progettuale pur con una notevole raccolta di saggi in fotocopia ed in originale.
Dennis.
Proprio cercando un filo conduttore fra le carte che mi assediavano e mi riportavano in un’altra epoca, sono venute fuori un po’ alla volta 12 lettere che mi scriveva fra il 1990 e il 1997 Dennis Everard Rhodes, bibliotecario della British Library, studioso della antica tipografia italiana. E’ un nome molto noto ai bibliotecari italiani che proprio negli anni in cui mi riferisco iniziavano la schedatura analitica delle cinquecentine, per partecipare al progetto Edit16, che oggi vede quasi la fine.
Conobbi Dennis a Verona, in Biblioteca Civica, in occasione di uno dei suoi pellegrinaggi veneti alla ricerca di storie da raccontare (una di queste è stata la storia della tipografia veronese del Quattrocento). Erano gli inizi degli anni Ottanta e mi stavo interessando (su incarico del direttore Franco Riva) alla costituzione e catalogazione del fondo di cinquecentine, fino ad allora sparse in tutti i fondi della biblioteca (ad eccezione della collocazione ‘C.V.’, sigla che sta per cinquecentine veronesi). Ricordo che Dennis, accompagnato dal collega e amico Pino Simoni (1929-2011), esperto di bibliografia veronese, passava meticolosamente le schede del catalogo speciale, segnando di quando in quando alcuni dati su un quadernetto. In quei pochi giorni ebbi l’opportunità di conoscerlo superficialmente, ma fu sufficiente per chiedergli alcuni anni dopo (mi ero già trasferito a Roma) la schedatura di alcune cinquecentine veronesi possedute solo dalla British Library e la prefazione agli Annali della tipografia veronese, che prima ho citato (a dire il vero l’idea di contattarlo fu di Lorenzo Carpanè e la risposta fu pronta e calorosa, nonostante fossimo due giovani e ignoti studiosi, con molte idee ma alle prime armi). Da allora i rapporti furono abbastanza costanti, soprattutto con la preparazione del primo volume del Dizionario dei tipografi[3], la cui uscita ha segnato anche – non so ancora perché, ma certamente la direzione bibliotecaria mi assorbì di più – l’interruzione del nostro corrispondere, nel momento in cui la conoscenza vicendevole e il mio interesse per la bibliografia antiquaria si erano fatti più maturi.
Il convegno di studi dedicato all’antiquario Tammaro De Marinis, organizzato a Venezia dalla Fondazione Cini il 14 e 15 ottobre del 2019 (poco prima che tutto si oscurasse a causa del Covid19), lo vedeva ultranovantenne presente e felice di incontrare tanti amici: avevo pensato di partecipare con una relazione (De Marinis ebbe un ruolo, poco noto, nell’ambiente bibliotecario goriziano durante la Prima Guerra), mi sarebbe piaciuto andargli incontro e salutarlo scusandomi per i silenzi: non ci sono andato, i soliti impegni, si rimanda e poi… il tracollo. Alle mie assenze, riparo con questo ricordo.
Nell’agosto 1943 Dennis aveva vent’anni (era nato a Londra il 14 marzo 1923, è mancato il 7 aprile 2020), arruolato dall’esercito britannico, fu inviato in tutta fretta in Italia (prima in Puglia e poi nel Veneto, a Vicenza) a combattere contro il nazifascismo. Era iscritto da poco al Sidney Sussex College di Cambridge, dove si sarebbe laureato con Robert Weiss, notevole studioso dell’Umanesimo italiano. Dopo una prima, non esaltante esperienza di insegnante, viene assunto dal British Museum nel gennaio del 1950, istituzione dalla quale uscirà nel giugno del 1985 con il grado di ‘Deputy Keeper’: la pensione fu solo una tappa amministrativa della sua vita professionale, tanto che continuò a mantenere rapporti di collaborazione con la Biblioteca almeno fino al 1997: “Dopo la fine di quest’anno, è molto probabile che io smetterò di lavorare per la British Library. Hanno distrutto la biblioteca che io conoscevo ed amavo, fin dal 1950. Ciò che ne rimane, nella nuova sede, è per me intollerabile, orribile, brutta” (lettera del 12 novembre 1997).
Per i suoi studi classici e per la conoscenza dell’italiano (perfezionata anche a seguito dell’esperienza militare in Italia), fu assegnato al dipartimento diretto da Victor Scholderer che procedeva – dopo la dura interruzione degli anni di guerra - nella catalogazione degli incunaboli e delle cinquecentine e nella pubblicazione dei relativi cataloghi speciali (Short-title catalogues[4]), che sono stati per tutti noi, prima dell’avvento dei cataloghi elettronici, gli unici strumenti per la conoscenza dell’antica tipografia italiana: come è ampiamente noto l’amministrazione bibliotecaria italiana, sia statale che di altri enti, non ha mai programmato in modo serio la pubblicazione di cataloghi a stampa, quelli che sono usciti sono sempre stati opera della passione e dello studio di singoli bibliotecari. Il quadro della bibliografia antiquaria italiana mutò radicalmente prima con Edit16 e poi con il Servizio bibliotecario nazionale, progetti voluti e pianificati da Angela Vinay, impareggiabile direttore dell’Istituto centrale per il catalogo unico (ICCU): da allora nulla di veramente innovativo è stato fatto, è stato però intelligentemente manutenuto e migliorato (anche sul verso della digitalizzazione, tuttavia ancora carente) quello che esisteva e bisogna ammettere che lavorare sul libro antico – senza Edit16 e Sbn – sarebbe ora un’impresa disperata, inutile e impossibile[5].
La bibliografia di Dennis Rhodes è ricca di centinaia e centinaia di titoli, in inglese o in italiano, sulla storia della tipografia italiana (particolarmente di piccoli luoghi tipografici[6]), ma non solo, ed è sparpagliata su una miriade di riviste, grandi e piccole, fra le quali spicca ‘La Bibliofilia’ dove pubblicò per la prima volta nel 1954 un articolo sulla tipografia a Cosenza dal Quattro al Seicento[7]. Basti consultare il catalogo del Sbn per avere un saggio della sua vastissima produzione scientifica (ad oggi le schede sono circa 200 e riguardano monografie e spogli). In questa sede cito solo alcuni strumenti utili per la sua conoscenza: gli studi per i suoi 90 anni raccolti a cura di Edoardo Barbieri e Stephen Parkin nel primo numero dell’annata 2013 de ‘La Bibliofilia’[8], l’articolo di Cristina Misiti a commento della laurea honoris causa dell’Università della Tuscia (‘Biblioteche Oggi’, ottobre 2000, p. 90-91), i necrologi di Piero Scapecchi (‘L’Almanacco Bibliografico’, n. 54, giugno 2020, p. 51-52, solo on line) e di Stephen Parkin (‘La Bibliofilia’, 2020, n. 1, p. 190-192, in inglese). La serrata attività catalografica di Dennis[9], iniziata con il mitico Short-title catalogue italiano, del quale curò anche il volumetto di aggiunte nel 1986 (seconda edizione: 1990), è proseguita con i cataloghi degli incunaboli delle biblioteche greche (1980), degli incunaboli delle biblioteche di Oxford (Bodleiana esclusa, 1982), con il catalogo in tre volumi delle seicentine italiane conservate in British Library (1986), delle quattro-cinquecentine spagnole della British Library (1989), si è conclusa con il Catalogo del fondo librario antico della Fondazione Giorgio Cini, edito da Olschki nel 2011, che l’ha impegnato fin dal 1994[10]. Nel campo della bibliografia generale sono pure da ricordare i due volumi di aggiornamento al dizionario degli anonimi e pseudonimi della letteratura inglese del Novecento, compilato con Anna E. C. Simoni (1956-1962).
Le lettere.
Le lettere che ho ricevuto sono vergate con bella e ariosa grafia in inchiostro azzurro, sulla carta intestata della Biblioteca e risultano inviate come posta ufficiale da: The British Library – Great Russel Street - London WC1 B 3DG. Queste le date: 17 dicembre 1990, 2 gennaio 1991, 4 maggio 1991, 11 novembre 1991, 20 novembre 1991, 1. maggio 1992, 16 luglio 1992, 6 gennaio 1993, 6 giugno 1996[11], 14 agosto 1996, 24 ottobre 1997[12], 1. novembre 1997, 12 novembre 1997. A queste si aggiunge una busta, mai partita, con la scheda su Zanetti in prima stesura e le fotocopie del frontespizio e delle p. 28-29 di Irenaeus Carpenterius, Supplementum secundum ad eruditos coelibes, Wittenberg, Chr. Th. Ludovicus, 1717, esemplare della Biblioteca Angelica (non in Sbn, quindi raro, ieri come oggi[13]), certamente a seguito di una esplicita domanda di Dennis, anche se nelle lettere rimaste non vi è traccia di una simile esigenza: a distanza di tanti anni mi fa sorridere quel riferimento agli “eruditi celibi” (così si riteneva Dennis?).
Gli argomenti sono pochi ma costanti: qualche riscontro nelle biblioteche romane e correzioni all’Ascarelli-Menato; informazioni sugli amici Lorenzo Carpanè, Fabio Massimo Bertolo, Giuseppina Zappella e Curzio Bastianoni; le bizzarrie del tempo; l’impossibilità per motivi familiari di venire in Italia più spesso; interessanti invece le rapide notizie su ignoti tipografi, alcune delle quali sono passate nelle schede del DITEI (per esempio Lorenzo Arnesi, Michelangelo Castagni, Giuseppe di Pietro), altre invece sono rimaste inedite. Riparo alla mia dimenticanza, elencandole qui (saranno, dove possibile, oggetto di schede nei prossimi volumi del DITEI):
Stefano di Baldassar libraio, forse Firenze, 1548;
Domenico di Francesco Celonaio, editore, forse a Firenze, 1530;
Simone de Prello Vercellensis, Venezia 1533;
Giovanni detto Pichaia Cremonese, Venezia 1538;
Lorenzo e Marco Peri, Firenze;
Camillo Patavino, Venezia 1571;
Baldassar Salviani, Venezia 1570;
Sebastianus Vincentinus, tipografo editore, Venezia 1532;
“Venturino. Pisa. Un opuscolo a S. Marco, Venezia”[14];
“Zanobi Tozi da Prato, maggio 1547. Zanobi Caiozzi da Prato. La stessa persona?”;
Francesco de la Cucha libraio veneziano, 1551[15].
Rhodes, infatti si è sempre primariamente interessato a figure minori, a districare casi bibliografici: per il DITEI si era ritagliato il compito di setacciare cataloghi e bibliografie alla ricerca di nomi sfuggiti alla repertoriazione classica (a cominciare dallo Short-title catalogue e dalla Clavis typographorum del grande bibliografo ungherese Gedeon Borsa[16]). Purtroppo, non ho raccolto la sua proposta - e Lui con molta eleganza non me l’ha ripetuto -, e quindi nel primo volume sono pochi i nomi ‘nuovi’, a differenza del secondo volume e del terzo in lavorazione nei quali sono stati considerati nomi, soprattutto di librai, reperiti da un attento esame di varie fonti (per esempio la monografia, ricchissima di dati archivistici, del conte Gian Ludovico Masetti Zannini sulla tipografia romana del Cinquecento edita da Palombi nel 1980).
Oltre a ciò, Dennis mi spedì per il DITEI le schede complete, dattiloscritte, dei tipografi Michelangelo di Bartolomeo fiorentino[17](sotto l’intestazione “Libri Michelangelo” sarà ripubblicata, con breve aggiornamento bibliografico a cura di Piero Scapecchi, nel terzo volume, H-L, del DITEI), Bartolomeo Zanetti e Bernardo Zucchetta: per l’interesse che tuttora rivestono e come segno dell’antica amicizia le riproduco fotograficamente qui di seguito.
[1] Fra le molte recensioni ricevute, mi fa piacere ricordare quella di Rhodes, “The Library”, 1990, n. 4, p. 350-1.
[2] Il Dizionario, secondo la tradizione della Bibliografica, sarebbe dovuto uscire in tre volumi in un’unica volta. Purtroppo, gli impegni lavorativi dei responsabili, il numero forse eccessivo dei collaboratori e la massa di schede da esaminare, hanno spinto l’editore – seppur controvoglia – a far uscire solo il primo volume, in attesa degli altri. Come era facile prevedere, gli altri volumi non sono più usciti e quando ho tentato, dopo anni, di riprendere i contatti, l’editore non era più interessato alla pubblicazione. A questo punto, non volendo buttare al macero chili di ricerche, mi è venuta in soccorso la Libreria antiquaria Drogheria 28, che si è offerta di proseguire l’opera con volumi dedicati o a singole lettere o a piccoli gruppi, appunto per evitare di nuovo il crollo. E’ uscita quindi la lettera G, nel ’22 sarà la volta delle lettere H-L, poi M-N, così che il Dizionario si possa concludere in cinque volumi, con la possibilità di progettare in corso d’opera anche aggiunte e correzioni.
[3] Le voci firmate da Rhodes sono relative a Quintiliano Campo e a Giovanni Bernardino Desa, tipografi pugliesi.
[4] Marco Menato, La tipografia cinquecentina italiana. Appunti di bibliografia generale: i cataloghi cartacei. Con un capitolo sugli Annali tipografici di Aldo, “Studi goriziani”, 111, 2018, p. 109.
[5] Marco Menato, La tipografia cinquecentina italiana, cit., p. 91-147.
[6] In questo 2021 l’editore Olschki, per ricordare l’amico e il collaboratore di tanti anni, ha raccolto in un unico volume i saggi dedicati a luoghi di stampa dell’Italia centrale: The early bibliography of central Italy. Annali tipografici (sec. XV-XVII) di alcuni centri di Umbria, Marche e Abruzzo, a cura di Carlo Dumontet, prefazione di Edoardo Barbieri, XVII-232 p., sulla medesima linea di ricerca uno degli ultimi lavori, gli annali dei Fei: Una tipografia del Seicento fra Roma e Bracciano: Andrea Fei e il figlio Giacomo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2019, XXIV-215 p.
[7] 1954, n. 2, p. 102-109.
[8] E’ ancora visibile in rete la presentazione del numero a Venezia, alla Fondazione Marcianum, il 24 settembre 2013 a cura di Edoardo Barbieri e Marino Zorzi. L’intervento di Rhodes è interessante perché fornisce informazioni sul suo curriculum professionale e scientifico.
[9] Condotta sempre in ambito istituzionale, ossia quale dipendente pubblico. In una lettera, infatti si lamenta che i bibliotecari italiani non lavorano troppo in questo campo.
[10] La Fondazione Giorgio Cini. Cinquant’anni di storia, a cura di Ulrico Agnati, Milano, Electa, 2001, p. 299-300.
[11] Allegato estratto da “Archivio storico pugliese”, 1995, p. 299-306: Uomini e letterati nati a san Severo nel Quattrocento.
[12] Allegato estratto da “The Library”, 1997, n. 1, p. 70-72: Some false Dublin imprints, con la citazione di un esemplare conservato nel Seminario di Gorizia.
[13] Non è nemmeno presente nel catalogo elettronico della British Library, da qui la richiesta di Dennis. Colgo questa occasione per rimarcare quanto sia importante la catalogazione in Sbn soprattutto dei fondi bibliotecari antichi.
[14] Lettera del 1. maggio 1992, trascrivo tra virgolette, in quanto – se confermato – sarebbe un dato molto importante, visto che a Pisa non sono registrate tipografie nel secolo XVI.
[15] Con allegata fotocopia del frontespizio e del colophon del raro opuscolo conservato in Marciana. Si rinvia al terzo volume del DITEI, scheda “La Cucha Francesco da” a mia cura.
[16] Marco Menato, La tipografia cinquecentina italiana, cit., p. 111, 132.
[17] Dalla lettera del 4 maggio 1991: “Michelangelo è un tipografo che ho studiato intensamente, e che conosco bene. Ho paura che altre persone ripeteranno i vecchi errori sulla sua attività” (è già successo in Ascarelli-Menato, mi rimproverava in un’altra missiva!).