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Fondazione Menna, appunti su un centro studi d’arte contemporanea

di Antonello Tolve

 

www.fondazionemenna.it

ABSTRACT

Questo breve saggio sulla Fondazione Filiberto e Bianca Menna nata nel 1989 a Salerno pone l’attenzione sui vari nuclei di un fondo che conserva, al suo interno, materiali – libri, opuscoli, cataloghi, appunti, opere d’arte, fotografie, giornali e riviste, musicassette stereo9 contenenti tracce di interventi a convegni e video acquisiti soltanto di recente dalle Teche Rai –  inerenti il percorso intellettuale di due figure speciali dell’arte e della critica.

This short essay on the Filiberto and Bianca Menna Foundation founded in 1989 in Salerno focuses on the various nuclei of a fund that preserves, within it, materials – books, brochures, catalogs, notes, works of art, photographs, newspapers and magazines, stereo cassettes9 containing traces of speeches at conferences and videos acquired only recently by Teche Rai – concerning the intellectual path of two special figures in the art and in the critics.

KEYWORDS

Fondazione Filiberto e Bianca Menna - libri - opuscoli - cataloghi - appunti - opere d’arte - fotografie - giornali e riviste - musicassette stereo9
Filiberto and Bianca Menna Foundation - books - brochures - catalogs - notes - works of art - photographs - newspapers and magazines - stereo cassettes9

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Se l’atelier dell’artista rappresenta l’officina di un racconto dal quale scaturiscono opere e riflessioni[1], la biblioteca dello scrittore – del poeta, dello studioso d’arte, del filosofo, dell’intellettuale che lavora appunto prevalentemente con le parole – è, d’altro canto, lo spazio luminoso in cui gli indizi chiari del proprio pensiero si materializzano a tratti o a intermittenze tra gli scaffali, dove libri riviste quotidiani cataloghi foglietti con veloci appunti o con disegnini derivati da un vivace miocinetismo raccontano, dal loro cristallino silenzio, la storia di una collezione (a volte anche involontaria) e, allo stesso tempo, le curiosità di colui che negli anni non ha mai smesso di aggiornarsi sulle ultime uscite (quelle di proprio interesse) o di recuperare una qualche rarità da conservare e magari a tempo debito consultare. Walter Benjamin nel raccontarci della sua biblioteca apre inevitabilmente un discorso proprio sul collezionismo e, assieme, su una certa qual affettività per libri intesi come compagni di strada e di viaggio, come luoghi di gioia infantile o anche come piccole preziose ossessioni personali su una tematica o su un personaggio chiave della cultura. Per Filiberto Menna, ad esempio, tra i personaggi c’è di sicuro William Hogarth su cui si è soffermato sin dal 1962 con una investigazione che culmina, a un passo dalla sua prematura scomparsa, nella pubblicazione di un volume dedicato a Giulio Carlo Argan[2]. Accanto a Hogarth[3] c’è, poi, Prampolini e la stagione del Futurismo, c’è Mondrian tra cultura e poesia, ci sono il design e l’architettura, ci sono il surrealismo e la metafisica, c’è il perimetro del Bauhaus, ci sono la sua linea analitica e la sua critica della critica: ma forse è proprio Hogarth, a mio avviso, la figura chiave che Menna individua per innescare una riflessione sulla rottura metodologica di un sistema antiquato, preso per la coda con lo scopo di distruggerlo dall’interno e di fissare una volta per sempre le idee vaghe del gusto.

Nel 1988 Menna è già gravemente ammalato, ma si affretta a completare e pubblicare i suoi due ultimi libri: Hogarth appunto, e, appena due mesi dopo, come n. 3 della collana Terzo Millennio / Flash Art Books, Il progetto moderno dell’arte che dedica a suo padre Alfonso, il quale, all’indomani della morte del figlio, in dialogo con Bianca e con la famiglia e con Comune Provincia Regione Campania, decide di fondare a Salerno la Fondazione Filiberto Menna, un centro studi d’arte contemporanea.
Istituita sul finire del 1989 – l’avventura intellettuale di Menna si conclude il 6 febbraio di questo stesso anno – e inaugurata nel 1993 con una conferenza di Achille Bonito Oliva, la Fondazione diventa ben presto un punto di ritrovo: accanto a tutta una serie di scopi come promuovere studi e ricerche scientifiche relative al presente dell’arte, favorire convegni, seminari e iniziative dirette alla formazione e all’aggiornamento dei giovani nel campo dell’arte contemporanea, organizzare rassegne e esposizioni[4], assegnare borse di studio e un premio sulla critica o anche caldeggiare con tutte le forze disponibili l’istituzione di un museo e una scuola di comunicazioni visive, la nascita di una biblioteca d’arte contemporanea, con un primo nucleo di libri della collezione personale di Filiberto Menna, rappresenta lo zoccolo duro del programma operativo. Ben preso infatti si avvia una affiatata e affilata organizzazione dei materiali (in questa fase giocano un grande ruolo Lorenzo Mango e Stefania Zuliani), a partire dai libri, dagli opuscoli, dai cataloghi, dagli appunti screpolati dal sole e divisi per anno o per aree tematiche (la teoria dell’arte e la critica d’arte, l’architettura, il design, il teatro) sì da disegnare una mappa, quanto più precisa, dei vari interessi che hanno animato il percorso intellettuale di Menna e che lo hanno portato negli anni a concepire un proprio personale discorso, come pure una serie di scelte, sul tempo presente.

Il fondo archivistico, all’indomani della sua organizzazione (il suo assetto attuale risulta naturalmente ampliato da tutta una serie di successive acquisizioni) rispecchia dunque, un itinerario ben preciso: si articola lungo un lasso di tempo che assorbe al suo interno volumi acquisiti in prima persona da Menna tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento[5], a parte alcune squisitezze come tutti i cataloghi delle Biennali di Venezia (tra questi volumi c’è anche la bozza di stampa del catalogo della 32a Biennale), e tutta una serie di altri materiali raccolti per fronteggiare determinate aree di studio. Dei 25403 documenti, questo il resoconto inviato nel 2020, tra volumi e opuscoli, giornali e fotografie, materiali audio (musicassette stereo9 contenenti tracce di interventi a convegni) e video acquisiti di recente dalle Teche Rai, risulta chiara la trasversalità del ruolo che la Fondazione, in quanto centro studi d’arte contemporanea, ha inteso disegnare negli anni: essere cioè, per Salerno e non solo, un luogo del sapere (dinamico, versatile): e grazie alla sua fornitissima biblioteca, cercare di svolgere anche – e soprattutto – una funzione di primaria importanza nel campo della ricerca e della cultura.

Vecchi giornali su cui è possibile leggere un appunto o una intuizione, foglietti conservati in volumi (magari incipit di preziose recensioni) o geografie segniche lasciate a margine di un catalogo, rappresentano in questa biblioteca le più autentiche tracce di una ricerca che ha sempre scavato nel presente. Accanto ai circa seimila volumi illo tempore donati da Bianca, ci sono nell’Archivio della Biblioteca che rappresenta a pieno titolo lo zoccolo duro della Fondazione, delle aree preziose, legati all’immagine e al suono. Si tratta nello specifico di un piccolo fondo fotografico (con scatti di Verita Monselles, di Mimmo Jodice, di Ettore Consolazione, di Ugo Di Pace, di Pino Grimaldi o di Patrizia Arzeni) e di una serie di registrazioni audio di conferenze.

La brillante attività di militanza sul campo che contraddistingue la ricca raccolta di giornali (Il Mattino, Vogue, Il Globo e Paese Sera ne sono alcuni) caratterizza, per la maggiore, la piccola emeroteca di cui vanta la Fondazione, mentre la più recente Mediateca, organizzata e voluta da Stefania Zuliani accanto al programma Arte di Sera nato nel 2006 (il 3 novembre, più esattamente, con l’evento Bye bye video. Trent’anni di ricerca nella video-poesia – per l’occasione i materiali sono stati selezionati da Tomaso Binga e Enzo Minarelli)[6], rappresenta un momento di più preciso dialogo con le esigenze del presente.

Per ciò che concerne la corrispondenza, le lettere inviate e ricevute da Filiberto Menna a tutta una serie di amici e colleghi e artisti e studiosi del proprio tempo o anche già di tanto più maturi (come, ad esempio, quella breve ma intensa con Longhi)[7], purtroppo il materiale è davvero esiguo: sono davvero pochi i materiali custoditi – Filiberto Menna non conservava nulla, cestinava metodicamente tutto quello che reputava superfluo – e al momento restano non consultabili perché raccontano di fatti privati, di piccole ferite non del tutto rimarginate o di racconti che forse è meglio lasciare ancora decantate sul filo lungo del tempo.

Recente è l’acquisizione di 270 opere che Bianca ha deciso di donare alla Fondazione con l’idea di far nascere, a Salerno, un museo d’arte contemporanea: di offrire alla città, sua e di suo marito, un polo delle arti. Si tratta nello specifico di un cospicuo gruppo di opere che attraversa periodi e climi artistici differenti, dalle Avanguardie Storiche e dai grandi movimenti di primo Novecento all’Arte Cinetica e Programmata, dalla Pop Art all’Arte Povera, dalla Poesia Visiva alla Pittura Analitica, dall’Astrazione Povera teorizzata dallo stesso Filiberto Menna ad alcune sfumature della galassia postmoderna. Nel suo insieme, si tratta di un nucleo organico, denso e interdipendente, che rispecchia appieno il gusto dei coniugi Menna, la loro storia, la loro avventura umana e culturale.

Al suo interno la collezione propone un raffinato nucleo di carboncini, matite, litografie, grafiche e incisioni (o anche multipli come quello di Jesu Soto del 1969) comprate a rate da Menna – per la maggiore presso le gallerie romane come Il Segno e Sciortino – sin da quando era un giovanissimo funzionario all’Alto Commissariato d’Igiene e Profilassi. Tra i nomi di questo nucleo storico che evidenzia anche gli interessi nutriti dallo studioso nei confronti dei grandi maestri dell’avanguardia troviamo Georges Braque, Pablo Picasso, Enrico Allimandi, Carlo Carrà, Marc Chagall, Alfred Kubin, Otto Dix, Paul Klee, Jean Dubuffet, Kari Hubbuch, Luigi Veronesi. Successive sono due incisioni di William Hogarth (First stage of cruelty e Second stage of cruelty, del 1750-1751) acquistate da Menna sul finire degli anni Settanta.

Notevoli, nel ventaglio degli artisti storici presenti in collezione, sono i Tre Momenti (1924) e il Conflitto di forze (1952) di Enrico Prampolini che Filiberto Menna riceve in dono dai nipoti dell’artista all’indomani della importante pubblicazione del 1967, prima sistematica ricostruzione della vita e dell’opera di Prampolini.

Un discorso a parte va fatto per Composizione n. 19 (1918-1920) di Julius Evola, acquistata alla Galleria La Medusa di Roma in occasione della mostra di Evola curata da Enrico Crispolti, dove Menna era andato in compagnia di Paolo Portoghesi il 23 novembre 1963, giorno del vernissage. Presentato per la prima volta nel 1920 alla Galleria Bragaglia di Roma e di cui si era persa ogni traccia tant’è che in occasione della mostra Julius Evola e l’arte delle avanguardie tra Futurismo, Dada e Alchimia (Palazzo Bagatti-Valsecchi - Milano, 15 ottobre | 29 novembre 1998) si parla ancora di «ubicazione sconosciuta», la Composizione n. 19 è una delle opere di maggiore rilevanza nell’universo compositivo evolano: «in essa è rappresentata la fase fondamentale dell’opus alchemico: la cottura nella quale, attraverso il fuoco, si compie la trasformazione della materia prima. Composizione n. 19 si può considerare la prima opera nella quale l’Alchimia è dichiaratamente il tema della rappresentazione e dell’operazione pittorica, che nel suo farsi sottolinea e crea parallelismi con l’Arte Regia. È ipotizzabile che Composizione n. 20 e Composizione n. 21, di cui non si hanno tracce, facessero da pendants a Composizione n. 19, quasi una sorta di trittico, in un venivano sviluppate le altre due fasi dell’operato alchemico: l’albedo e la rubedo» (E. Valento). Replicata dallo stesso artista nel corso degli anni Sessanta, l’opera è rimasta per molti anni custodita nella collezione di Filiberto e Bianca, anche se si era smarrita del tutto la sua collocazione. Rintracciata da Vitaldo Conte l’opera è stata successivamente esposta nell’ambito della mostra Arte come alchimia, mistica, biografia. Opera e documentazione (Castello Aragonese - Reggio Calabria, 2 dicembre 2005 | 6 gennaio 2006).

Di notevole interesse storico è anche la serigrafia di Victor Vasarely (Senza titolo, 1965c.), opera esposta in occasione della mostra l’impatto percettivo curata da Alberto Boatto e Filiberto Menna nell’ambito delle tre Rassegne di Amalfi (1966).

La maggior parte delle opere che compongono la collezione sono pregiati doni di artisti e amici come Vincenzo Agnetti, Fabio Mauri, Piero Gilardi, Vettor Pisani, Carlo Alfano, Ketty La Rocca, Renato Mambor, Claudio Verna, Pino Pinelli, Salvatore Emblema, Antonio Passa, Enrico Pulsoni, Bernard Venet, Emilio Isgrò, Michele Zaza o Dadamaino che in una lettera del 10 aprile 1986 scrive: «Carissimo Filiberto, allego alla presente due disegni originali», si tratta delle due Costellazioni china rossa e china blu, «dei quali sceglierete quello da pubblicare. Li spedisco a te perché poi desidererei li tenessi tu quale mio gradito omaggio. […]. Grazie di tutto e un forte abbraccio a te e Binga, con tanta stima ed affetto, dada».

Guardando inoltre con accuratezza i pezzi che compongono la collezione è infatti possibile comprendere le scelte culturali e in alcuni casi la generosità sia di Filiberto che di Binga, attiva con il Lavatoio Contumaciale sin dal 1974 dove organizza, spesso in dialogo con il marito, mostre di poeti visivi e sonori, incontri, progetti di importanti nomi dell’arte come Renato Barisani.

Dal 2018 al nome di Filiberto, la Fondazione lega nella propria denominazione statutaria quello di Bianca (Pucciarelli in Menna) per meglio tutelare non solo il lavoro intellettuale della coppia, ma anche l’Archivio del Lavatoio Contumaciale e dell’Archivio Menna/Binga che conserva materiale cartaceo, video e fotografico, nonché un importante nucleo di opere realizzate da Tomaso Binga tra la fine degli anni Sessanta del secolo scorso e il primo ventennio del nuovo.

Nell’ambito delle grandi manovre che la Regione Campania ha avviato con il Progetto ARCCA ‒ ARchitettura della Conoscenza CAmpana affidato a Scabec, la Società Campana Beni Culturali presieduta da Antonio Bottiglieri, tutto il Fondo Menna è rientrato nella digitalizzazione del primo ed entusiasmante Ecosistema Digitale Cultura della Campania e, a breve, non appena saranno portati a termine i lavori, il Fondo denominato Filiberto Menna (suddiviso al suo interno in Subfondo Monografie, Subfondo Interventi critico a Convegni, Subfondo Introduzioni e Saggi in volume, Subfondo Cataloghi Mostre, Subfondo Testi critici su Filiberto Menna, Subfondo Riviste, Subfondo Articoli di giornale, Subfondo Fotografie e Subfondo Opere della Collezione Filiberto e Bianca Menna) sarà reso, gratuitamente e interamente, consultabile ai pubblico.


[1] A questa tematica Brian O’Doherty ha dedicato il suo brillante Studio and Cube. On the relationship between where art is made and where art is displayed, The Temple Hoyne Buell Center for the Study of American Architecture / Columbia University, New York 2007 (oggi tradotto in italiano, per chi vuole, nel volume, a cura di M. Inserra e M. Mancini, che raccoglie anche altri scritti del 1976-1981: Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo, Johan&Levi, Milano 2012).

[2] Cfr. F. Menna, L’Analisi della Bellezza di William Hogarth, in «Il Verri», n. 3, agosto 1962 e Id., William Hogarth. L’Analisi della Bellezza, 10/17, Salerno 1988.

[3] All’attenzione per Hogarth, Antonella Trotta ha dedicato, in occasione del Convegno organizzato a vent’anni dalla morte di Menna, il suo intervento (William Hogarth e il senso comune del vedere) pubblicato in A. Bonito Oliva, A. Trimarco, a cura di, Filiberto Menna. Il progetto moderno dell’arte, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2010, pp. 131-141.

[4] Da ricordare almeno La costruzione del nuovo. Salerno 1966/1976. Documenti immagini testimonianze, a cura di S. Zuliani, 21 dicembre 2004 / 23 gennaio 2005, cat. Edizioni 10/17, Salerno 2005; Filiberto Menna. La linea analitica dell’arte contemporanea, a cura di S. Zuliani, 23 ottobre / 4 novembre 2009, Electa, Napoli 2009; La mostra è aperta. Artisti in dialogo con Harald Szeemann, a cura di S. Zuliani, Chiesa dell’Addolorata – Complesso Monumentale di Santa Sofia, 09 ottobre / 3 novembre 2010, cat. Edizioni Fondazione Menna, Salerno 2010; Per Gillo Dorfles, a cura di A. Tolve e S. Zuliani, Archivio dell’Architettura Contemporanea di Salerno, 12 novembre / 8 dicembre 2011, Edizioni Fondazione Menna, Salerno 2011 e Tempo imperfetto, a cura di A. Tolve e S. Zuliani, Museo Archeologico Provinciale di Salerno, ciclo di 5 esposizioni personali (Fabrizio Cotognini, Gian Maria Tosatti, Giulia Palombino, Elena Bellantoni, Ivano Troisi), Edizioni Fondazione Menna, Salerno 2015.

[5] Cfr. l’indispensabile e purtroppo introvabile A. Trimarco, Filiberto Menna. Arte e critica d’arte in Italia. 1960/1980, La Città del Sole, Napoli 2008.

[6]  Per maggiori informazioni sul programma delle attività (svolte sempre con la luminosa idea di incrementare i titoli della Mediateca e di creare dibattito, nonché partecipazione attiva, sul contemporaneo) si veda il catalogo stampato in 150 copie per festeggiare Arte di sera #50: S. Zuliani, Arte di sera, Fondazione Filiberto Menna, Salerno 2012.

[7] Su tale questione rinvio al prezioso saggio di A. Trotta, «Prudenza sulla strada». Menna, Longhi e il «problema» di Masaccio, in N. Martino, A. Tolve, a cura di, Filiberto Menna, progettare il futuro, Arshake / Critical Ground #12, Roma 2019, pp. 84-86. (Il volume è scaricabile online dal sito della rivista arshake.com, nella sezione Special Projects / Critical Ground).