Il Giardino di Calandrone
e l'astuccio oscillante della vita
di Cetta Petrollo
Nella mescolanza di situazioni, ricordi, illuminazioni, lampi di gioia che feriscono come lame, squarci di crudeltà che si intrecciano alla umana capacità di sostare in equilibrio sulla corporea terra del bene, Calandrone attira il lettore dentro alla ricca vegetazione di una parola poetica pienamente radicata nel mondo e, in ciò, fortemente politica (“Siccome nasce/come poesia d'amore, questa poesia/è politica”).
L'amore che si annuncia già dalle iniziali dediche alla madre, corpo immaginato e desiderato, “pietra d'angolo”, confine e misura di ogni altro successivo incontro, non resta fermo nella sua panica evidenza, ritmata e pausata da versetti biblici che punteggiano tutta la prima sezione della raccolta, ma continuamente si allontana su piani e prospettive diverse inducendoci a perlustrare, come rabdomanti, il tessuto vitale e la storia che abitiamo, e che ci abita, alla ricerca di senso (e di significato).
L'incastro dei linguaggi, da quello amoroso e basico che scaturisce dalla contemplazione dell'altro (“ la tua bocca in ottobre, bruna e severa/come un cespuglio di more selvatiche”; “la tua bocca ha il calore dei prati in agosto”; “ la tua schiena divisa/ da un solco di aratura/ arde al centro del prato”) a quello commemorativo (“Mondo contemporaneo che vai a morire/tra i gabbiani delle periferie/ sotto la rotazione della Via lattea come una verde insonnia dell'universo”), al linguaggio della cronaca nera (“ Nel cuore della notte veniamo svegliati da qualcosa che batte/ ripetutamente contro la ringhiera del palazzo”) fino all'ibridazione linguistica (“Io ero andata a leto a mi riposare e al matino ale oto iniziato la/litiga con mio marito, chiesto lui per se ne andare via di casa,/ per tradimento e tante altre cose.”) conduce il lettore in una sorta di infernale Commedia dove, partendo dal paradiso amoroso finiamo per perderci nella quotidianità dell'orrore.
Le undici sezioni che compongono questa raccolta, chiosate in appendice da Calandrone in una nota che ricostruisce la loro genesi e datazione – la maggior parte dei testi è stata scritta negli ultimi tre anni – sembrano attrarsi l'una verso l'altra in vocazione poematica e civile che ci ricorda, nella tensione e nella necessità narrativa, il Pagliarani – peraltro dedicatario di un testo del 2012 – della Ballata di Rudi e il Balestrini de L'Esplosione, frammenti che tentano di dare forma e ragione al nostro mondo contemporaneo svincolandosi, per pause e silenzi, dal loro originario lirismo.
E questa tentazione – resistenza verso una compiuta forma poematica e la tensione a ricomporre, senza successo, un impossibile, materno, nucleo originario che ripari dall'altro e ci faccia leggere l'angosciante soma della nostra contemporaneità, costituisce la cifra della scrittura di Calandrone, giardino – giungla nel quale continuamente perdiamo e ritroviamo quanto oggi ancora sopravvive della nostra umanità.
Maria Grazia Calandrone, Giardino della gioia, Milano, Mondadori, 2019