Per Carla Vasio
Premio Pagliarani 2018 alla carriera
Giorgio Patrizi
Nel panorama della letteratura sperimentale del secondo Novecento, Carla Vasio occupa un posto di particolare rilievo: e non solo per la qualità dei testi a cui ha dato vita la sua costante ricerca e sperimentazione formale, o per la capacità di raccontare le storie più diverse – da angolazioni peraltro sempre differenti di un mondo complesso e frammentato che le storie appunto aiutano a decifrare. Ma ciò che conquista della sua pratica della letteratura, della sua appassionata militanza nell’universo della parola rinnovata e sottratta ad ogni automatismo della fruizione, è la capacità continua di rinnovarsi, di rinnovare la propria scrittura e il proprio rapporto con i sistemi espressivi esperiti in quello scorcio di Novecento in cui il suo lavoro è nato, cresciuto, acquistato forza e significato. Il significato di un lavoro instancabile sulla e per la parola: per cavare da questa tutti i significati a cui la portavano una cultura ricca e brillante e per renderla, la parola, ancora più fiammante nelle sue performance espressive. Ciò la apparenta, nel nostro Novecento popolato da cultori della parola, ai grandi scrittori espressionisti, lettori di pagine eleganti e sempre singolari e promotori di una letteratura “come menzogna” (Manganelli) e come critica dell’ideologia (Sanguineti).
Carla Vasio scrittrice nasce nel clima febbrile dei Convegni del Gruppo 63 -la raffinata intellettuale, nobildonna veneziana era nata un po’ prima- dove scopre la dimensione del testo come macchina celibe, che produce significati proprio in quanto conquista un’autonomia di funzionamento, in quanto esibisce le proprie dinamiche e le proprie strutture, come nel sorprendente, vertiginoso Orizzonte del 1966, ripubblicato recentemente da Polimata: dove la storia di una relazione tormentata, semplice ma appena accennata, è esaltata da un vertiginoso explicit in cui la narrazione si riavvolge su se stessa, in una inarrestabile spirale. O, ancora, nell’irriverente, giocoso Romanzo storico, del ’74, scritto con l’artista Enzo Mari, che essiccava la storia di un’epopea familiare in un albero genealogico, di fertile suggestione insieme ironica e sapientemente metaletteraria.
Poi vennero altri scenari da gestire e interpretare con la scrittura: l’incontro col Giappone, momento fondamentale della biografia della scrittrice, che in Giappone visse a lungo. Lì ebbe luogo l’impatto con un mondo in cui il formalismo si carica di significati insieme etici ed estetici, metalinguistici, affilando la capacità di guardare indietro, alla cultura europea, insieme con acuta ironia e rinnovata capacità di comprensione.
Ora, per Carla Vasio scrivere - oltre che l’impegno primario di una vita segnata dalla curiosità per il mondo, gli altri, le novità assedianti - diviene l’esercizio di un’etica della letteratura, che tende a ricostruire proprio nella pratica insieme rigorosa e raffinata della forma. Così per lo studio e la scrittura della poesia Haiku: per oltre 20 anni ha organizzato e diretto a Roma, un premio per la Poesia Haiku in italiano. Carla Vasio si accosta a questa tradizione giapponese, forte della sua cultura, del gusto per una creazione letteraria carica di sensi, capace di parlare delle cose del mondo attraverso semplici allusioni, un gioco formidabile di non detto, di non potuto dire.
Ugualmente per le narrazioni, dove gestisce il racconto con una eleganza, che è ahimè sempre più rara nel panorama contemporaneo. E’ possibile individuare un filo rosso che unisce alcune opere narrative, in cui – recuperando un andamento del racconto solo apparentemente più tradizionale - in realtà costruisce un ritratto di personaggi e della modalità in cui questi si collocano in un mondo tutto particolare e problematico.
Carla Vasio tende a ricostruire l’efficacia del raccontare come tensione ad una rivendicazione dei valori morali, quelli che si possono riconoscere al fondo di vite difficili, drammaticamente ostinate, in una ricerca del senso dell’esistenza. Così via via, nella storia della scrittrice giapponese di fine Ottocento, Ichiyo Higuchi, prima poetessa nel giapponese moderno, consumata dalla sua stessa biografia di innovatrice della tradizione. O nelle vicende della veggente Viviana, a cui la Vasio dedica un lungo racconto Invisibile, allusivo proprio alla possibilità della letteratura di parlare di ciò che non appare, di ciò che è impossibile raccontare.
A questa prospettiva Carla Vasio va dedicando gli ultimi suoi esperimenti di scrittura: le brevi narrazioni del Tuono di mezzanotte (Nottetempo 2017), sono una prova suprema di capacità di raccontare in levare, peraltro strutturando i brevi racconti in una sapiente cornice. Storie minime, raccontate con apparente semplicità, all’interno di un universo quotidiano segnato da un evento misterioso (appunto il tuono a mezzanotte) che scompagina esistenze solo apparentemente banali, voci solo momentaneamente silenziose. Esercizio sul tempo e sulla “cadenza” delle cose e dei fatti che ci circondano – come dice la Vasio stessa: cadenza come riconosciamo in musica, ritmo, misterioso ma riconoscibilissimo, della vita.
Ma Carla Vasio è anche una attenta testimone dei propri tempi. Due libri ne ripropongono questo ruolo. L’intervista a Goffredo Petrassi, esito di una educazione musicale che si consolida nella vicinanza al gruppo di Nuova Consonanza e la memoria ironica e appassionata insieme di Vita privata di una cultura, diario delle esperienze con gli scrittori e artisti della Neoavanguardia. Qui lo sguardo sui vicini, - sui compagni di strada e sui sodali, ma anche su quelli più distanti - diventa insieme un esercizio di intelligenza rappresentativa e interpretativa.
Un percorso lungo, complesso, ricchissimo di esiti che lasciano un’impronta indelebile: una scrittrice che impersona quanto di più alto e importante è stato prodotto dal Novecento. Un invito a stare nella letteratura –ma più in generale nelle pratiche artistiche- con intelligenza e passione, con ironia e allegria insieme.