Lo sguardo al futuro
La relazione madre – figlia nella poesia delle donne dagli anni Sessanta ad oggi
Cetta Petrollo
Nella postfazione di Saveria Chemotti all’antologia di poesia Matrilineare nella quale, sotto la sapiente cura di Anna Maria Robustelli , Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile e Brenda Poster, sessantatrè poete, attive dagli anni Sessanta in poi, cantano in versi, e si interrogano emozionalmente, sulla relazione madre-figlia, le parole di Luce Irigaray, citate dall’autrice, assumono rilevanza ancora maggiore che per il passato illuminando il cuore di quella che fu la consapevolezza scritturale e poetica degli anni Settanta: “È necessario anche che noi scopriamo e affermiamo che siamo sempre madri dal momento che siamo donne. Mettiamo al mondo qualcosa di diverso dai figli, generiamo qualcosa che non è il bambino. Amore, desiderio, linguaggio, arte, società, politica, religione, ecc. Ma questa creazione da secoli ci è stata vietata e bisogna che noi ci riappropriamo questa dimensione materna che ci appartiene in quanto donne.
È tutt’ora attuale quest’affermazione? La riappropriazione di questa millenaria, culturalmente storicizzata e culturalmente reinventata, dimensione materna, ha ancora lo stesso peso e valenza ora che la centralità della potenza generatrice femminile si avvia, nel nuovo millennio, ad essere marginale?
Di questa forza procreatrice della quale, sulla scorta del movimento femminista, si era tornate ad avere consapevolezza nell’ultimo trentennio del Novecento, le poete dipingono luci ed ombre, violenze e tenerezze, pieghe ed angoli nascosti che si palesano e si manifestano nella continua dinamica di forze contrapposte che costituisce il fondamento della relazione con la madre.
Nelle quattro parti in cui è divisa l’antologia, Nella scia, Controvento e Separazioni, Sguardi indietro e avanti, i versi, all’interno di sottosezioni ben strutturate, raccontano le antiche radici, le sofferte vicinanze, gli allontanamenti e le rinascite proiettate nel futuro, adoperando lingue poetiche diverse, alte o quotidiane, liriche o colloquiali, che risentono del decennio e del Paese - alcune poete sono straniere - in cui operano le autrici.
Si va così dal ricercato canone linguistico primonovecentesco di Maria Luisa Spaziani e di Anna Maria Farabbi, all’aggettivazione, spesso preziosa, di Luciana Frezza, alle presenze esotiche di Cristina Ali Farah, alle esplosioni dialettali di Dina Basso e di Iolanda Insana, al pastiche di Silva Molesini fino ai fendenti linguistici contemporanei di Alessandra Carnaroli e Gilda Policastro.
Alcuni testi dell’antologia che, se non offre un’esaustiva campionatura della poesia maternale, ce ne dà un sufficiente sguardo d’insieme, possono essere definiti capolavori per l’incisività e la coralità che li accompagna e che ogni donna, indipendentemente dall’età anagrafica dell’autrice e dalla lingua adoperata, non può non sentire e far propri.
È il caso di Iolanda Insana (a mia madre Maria Cannistrà:” solo con il pensiero potrebbe disporre lenticchie/ nel piatto con l’acqua/ e riporle nel chiuso dell’armadio/ perché germoglino senza verde”) di Daria Menicanti (La Mamma :” Quando morì prese con sé le stesse/ radici di quel mondo mai maturo./ da allora sono diventata adulta./ Vecchia via. Non temiamo le parole.”) di Vera Lúcia De Oliveira, di Anna Maria Carpi (“ Così io non ho misericordia di me stessa,/ e non ho niente che mi abbracci dentro.”), di Viviane la Marque (“ ce l’ho infilzata nel petto, mi sanguina però / ora che l’ho posata qui sulla carta/ un poco meno (sai facciamo così noi poeti), di Patrizia Cavalli (“ così pesante sovranità che a me/toglie le forze, non so cosa sia,/potrei chiamarla forse mammità.”) e di Gilda Policastro (Precari : “ la dobbiamo far vedere, non è normale,/ e ti potrei presentare i fidanzati, / pure quel curdo di cui diresti non sia mai/ mamma ti vengo a prendere, alzati,/ dai aria alla stanza e, soprattutto,/ fatti trovare”).
Non so se le curatrici nel realizzare questo complesso lavoro ricognitivo abbiano avuto la consapevolezza di concludere una narrazione, forse non più replicabile, della maternità così come percepita nella seconda metà del secolo scorso e se abbiano avvertito che lo spazio riconquistato, nella coscienza di sé, dalle madri–figlie sia già progressivamente invaso da una diversa elaborazione cognitiva, della quale sono già operanti le premesse, indotta dalle sempre più diffuse e nuove tecniche procreative, del corpo generante.
La rivendicazione della potenza generatrice della donna, orgogliosamente esibita nelle scritture, anche poetiche, degli ultimi trent’anni del Novecento, che ha liberato, in modi del tutto inediti rispetto a quelli dei secoli passati, tutte le creatività femminili, artistiche, politiche e sociali, inizia ad arretrare di fronte alle nuove categorie di maternità, non necessariamente racchiuse in una relazione univoca e in un solo corpo di donna, per le quali nasceranno altri linguaggi e altre inedite implicazioni emozionali.
Di fronte ai nuovi scenari l’analisi lucida delle curatrici sulle, spesso incandescenti, parole delle poete, storicizza un’epoca, da poco conclusa, nella quale, finalmente, con miracoloso equilibrio, il corpo della donna che genera e quello di chi è generata trovarono, nella relazione svelata, dignità di parola.
Matrilineare : Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta a oggi : antologia poetica / a cura di Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile, Brenda Porster, Anna Maria Robustelli ; prefazione di Maria Teresa Carbone ; postfazione di Saveria Chemotti,
Milano : La Vita Felice, 2018