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Ansia del canone: antologie fra due millenni

Riccardo Frolloni

 

ABSTRACT

La forza canonizzante delle antologie è andata scemando a ridosso del passaggio di millennio di pari passo con la perdita di luoghi riconosciuti come sedi della critica e di alta poesia. Dunque una serie di tentativi di antologie si susseguono tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Dieci del nuovo millennio, dimostrando una confusione riguardante l’idea di canone, di tradizione (di trasmissione) e di critica stessa: l’ultimo stadio degli «effetti di deriva» [Berardinelli 1975]. La nascita dei litblog e poi successivamente dei social sposta l’attenzione su piattaforme di dialogo e di confronto diverse; la fruizione e la produzione poetica si frammenta ulteriormente; si moltiplicano le piccole e medio-piccole case editrici a discapito delle maggiori sempre meno autorevoli e seguite. Una nuova forma di vivere la poesia è oramai in atto e si possono già studiare i riferimenti, i nuovi canali e, dunque, i protagonisti.

 

The canonizing power of anthologies has been waning close to the passage of a millennium hand in hand with the loss of places recognized as places of criticism and poetry. So a series of attempts at anthologies follow one another between the late nineties and the early ten years of the new millennium, demonstrating a confusion regarding the idea of canon, tradition (transmission) and criticism itself: the last stage of « drift effects »[Berardinelli 1975]. The birth of litblogs and then later of social media shifts attention to different dialogue and comparison platforms; fruition and poetic production is further fragmented; the small and medium-small publishing houses are multiplying to the detriment of the larger and less authoritative and followed. A new way of living poetry is now underway and references, new channels and, therefore, the protagonists can already be studied.

 

KEYWORDS

Poesia contemporanea italiana; Antologie di poesia; Canone letterario; Generazioni letterarie; Storia della poesia; Sociologia della letteratura; Critica letteraria.

 

 Anfibio genere letterario, l’antologia oscilla naturalmente tra il museo e il manifesto
Edoardo Sanguineti, da Poesia italiana del Novecento, Einaudi, 1969, vol. I, introduzione

 

Raggiunto il nuovo millennio, la critica ha evidentemente sentito una certa “ansia da terraferma”, non riuscendo più a restare a galla nella fluidità delle poetiche dei precedenti tre decenni. La poesia è ora un mare magnum di poetiche diverse, con storie, tradizioni differenti, che in comune hanno solo (forse) la denominazione di “poesia”: non più il verso (già da anni scardinato anche il così detto verso libero), non più la forma scritta, non più la lettura ma anche la visione, la poesia-installazione (Giovannetti, 2017). Così, nel giro di pochissimi anni escono: L’opera comune (Ladolfi, Merlin, 1999), Akusma. Forme della poesia contemporanea (Mesa, 2000), I cercatori d’oro. Sei poeti scelti (Rondoni, 2000), Nuovissima poesia italiana (Cucchi, Riccardi, 2004), La poesia italiana oggi (Manacorda, 2004), Parola plurale (Alfano, Baldacci, Bello Minciacchi, Cortellessa, Manganelli, Scarpa, Zinelli, Zublena, 2005), Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (Testa, 2005), La poesia italiana dal 1960 ad oggi (Piccini, 2005), Trent’anni di Novecento: libri italiani di poesia e dintorni (Bertoni, 2005), Poesia contemporanea dal 1980 ad oggi: storia linguistica italiana (Afribo, 2007), Prosa in Prosa (Bortolotti, Broggi, Giovenale, Inglese et al., Prosa in prosa, 2009), Poeti degli anni Zero (Ostuni, 2010), La generazione entrante: poeti nati negli anni ‘80 (Fantuzzi, 2011), Post ‘900, lirici e narrativi (Fantuzzi, Leardini, 2015), Sulla scia dei piovaschi - Poeti italiani tra due millenni (Tartaglia, Salvioni, 2015), Passione Poesia. Letture di poesia contemporanea (Aglieco, Cannillo, Iacovella, 2016), Velocità della visione. Poeti dopo il Duemila (Corsi, Pellegatta, 2017); solo per citarne alcune, quelle più note, più criticate.

Il canone si sviluppa nel tempo e lentamente, in diretta continuazione o polemica contrapposizione con la tradizione letteraria. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, persa la rete protettiva della storia letteraria, la sicurezza di una serie di norme e valori che garantivano la trasmissione del passato letterario nella pratica didattica del presente, i testi letterari sono stati oggetto di letture sociologiche, psicoanalitiche, semiologiche, e i critici e gli storici della letteratura hanno cercato altrove che nella tradizione gli strumenti di analisi e i valori su cui fondare la scelta di opere da additare come “monumenti” canonici. La stagione di una critica con forti opzioni metodologiche e vocazioni teoriche è stata, quindi, il frutto della crisi di una tradizione interpretativa e l’apertura a paradigmi epistemologici in grado di rivitalizzare lo statuto della disciplina letteraria e di ampliare la campionatura degli autori e delle opere: «non è un caso che, oggi, in Italia una riflessione sul canone abbia come centro il giudizio sulla contemporaneità»[1].

Si era a un «giro di boa tra due millenni, due secoli, due decenni»: considerare le mutazioni storiche e antropologiche che si sono verificate e, quindi, fare il punto sulla situazione della poesia italiana in rapporto ad esse. Data la mancanza di un pubblico numericamente significativo e la parallela minaccia della scomparsa editoriale della poesia, esiste una “soglia di resistenza”. Secondo un’analisi di Febbraro, proprio le antologie sono fra i luoghi tradizionalmente deputati alla critica di tipo militante:

La critica militante esiste se esiste un’idea del nuovo, […] perché l’orizzonte della critica militante non è tanto l’oggi, come potrebbe apparire, o l’immediato ieri: è sempre una dimensione potenziale, ancora da percorrere, in grado di sorreggere proiezioni (più che “previsioni”) vastissime, spesso onnicomprensive, rivoluzionarie, che infine si realizzano grazie e malgrado l’opera di ognuno. Chi è stato un letterato militante lo è stato perché sapeva che i libri cambiano il mondo, cambiano chi legge e anche chi li scrive; oppure perché sperava che così fosse. […] Così la critica militante è pienamente attiva anche quando è reazionaria, poiché si fonda su un terreno che deve essere ancora costituito in possesso, o che magari si deve recuperare avendolo perduto: dunque la sua essenza è il movimento, la trazione a sé, il lancio o il rilancio, l’impacificata soddisfazione di ciò che già esiste. Il nuovo non vuol dire allora in assoluto il progressivo[2].

Nel Novecento le antologie poetiche sono state di due tipi: alcune guidate da un criterio tematico o ideologico, altre di tipo filologico o stilistico. I due orientamenti hanno dato vita a panorami molto diversi: si pensi solo a Fortini[3] e a Sanguineti[4], da una parte, e a Contini[5] e a Segre-Ossola[6], dall’altra. Le raccolte dell’ultimo quindicennio hanno rilanciato il genere dell’antologia come luogo di discussione e di formazione del canone, ma hanno davvero contribuito a rinnovarlo? Negli anni Settanta, con Effetti di deriva, Berardinelli teorizzava l’inizio di una fase del campo letterario alla quale la storiografia critica (e antologica) avrebbe dovuto adeguarsi attraverso una parziale rinuncia sia alle proprie categorie tradizionali, sia all’intenzione di formare un canone.

Per certi versi emblematico, il fatto che tutte queste antologie aprono il discorso critico ribadendo che l’immortale accusa della «morte della poesia» è una fake news, quando la vera morte sembra toccare la critica[7]: «mi sembra che non esista più la critica militante, che le recensioni spesso si limitino a proporre delle belle quarte di copertina, sulla falsariga dei lanci pubblicitari degli uffici stampa delle case editrici»[8]; la «problematizzazione teoretica manca, così come manca un orizzonte ideologico di fondo»[9]; «il problema è che non esiste più una vera critica della poesia, spesso affidata agli stessi poeti, troppo impegnati a scambiarsi inchini»[10]; «ciascuno abita la sua nicchia ecologica, come è tipico dell’epoca contemporanea individualista e atomizzata in cui viviamo, ma la novità è che i grandi predatori non riescono più a dominare le altre specie, ormai capaci di riprodursi e prosperare liberamente grazie a internet, ai poetry slam e ai tour, come quelli di Guido Catalano»[11]. Da qui il bisogno di antologizzare, mappare, canonizzare, porre fine al caos di poetiche, di circoli letterari e amicali, della fase in cui «ognuno riconosce i suoi»[12] ed aumenta l’entropia. Allo stesso tempo tutti tentano una giustificazione, ammettono l’impossibilità di un discorso totale[13], ma solo uno scorcio, un taglio, una scommessa. Secondo Ben Lerner la «Morte della Poesia» viene invocata per esorcizzare l’atrofizzazione delle nostre capacità immaginifiche: più che «un’osservazione empirica [la morte della poesia] riflette […] un’ansia collettiva riguardo alla nostra capacità di “creare alternative”»[14].

La critica, quando è vera, è sempre militante e quindi antagonista, così le tesi di La ragione in contumacia. La critica militante ai tempi del fondamentalismo, breve saggio di Massimo Onofri (Donzelli, 2007); rifacendosi alle radici illuministiche della critica, Onofri parla del «ri-uso» in chiave contemporanea dei testi, riafferma la necessità di concetti come «valore» e «canone», di un «giudizio di gusto» che vive della retorica dell’argomentazione. Onofri non considera l’Autore morto, anzi lo interpreta come «un’entità non riconducibile né alla vita né alla scrittura, ma quale risultato della loro misteriosa contaminazione», e conclude: «inorridisco quando sento dire che c’è posto per tutti. Non è così: il critico ha il dovere di denunciare "l’ecomostro", anche quando ha successo. […] Il piacere del testo è diventato l’elogio della piacevolezza. Abbiamo dimenticato tutta una tradizione umanistica per cui la bellezza era un processo che passava anche attraverso la sofferenza. Personalmente voglio leggere libri che facciano soffrire, che mi costringano a mettermi in discussione, il piacevole mi annoia». L’intrattenimento, il successo, sono concetti che per Onofri poco hanno a che fare con la critica. Un critico militante deve essere necessariamente polemico, «deve saper dire di no ai testi». Contemporaneamente, Pier Vincenzo Mengalo accusa, nell’articolo La critica militante in Italia, oggi apparso in «L’ospite ingrato», la mancanza di preparazione filologica, ma il possesso di quegli strumenti, linguistici, retorici ecc., anche minimali, che consentono di affrontare un testo in quanto testo, e conclude: «il tempo in cui in un recensione di giornale si potevano vedere svolte o accennate anche considerazioni di tipo stilistico, sembra terminato»; e inoltre: «i nuovi critici paiono distinguersi per orrore delle ideologie, esaltazione del cosiddetto “gusto” e ancora tendenza anti-proustiana alla critica, o piuttosto descrizione, dell’autore anziché dell’opera»[15].

Negli anni Settanta e poi con la fine degli anni Ottanta, il crollo dell’Impero Sovietico, è avvenuto un cambiamento psicologico e dunque sociale, «ma il tempo non si è fermato, in questi decenni, la vita non è rimasta sospesa nell'ipotesi da molte parti proposta di una “fine della storia”». I mutamenti decisivi, per quanto riguarda la cultura, sono da annoverare nell'ambito cognitivo, in quello delle tecnologie della comunicazione e nel rapporto tra lingua parlata e lingua scritta in Italia, «l'esito è il venir meno di quei riferimenti costanti che erano i simboli e i colori con cui si disegnava ogni mappa»[16]. Il web viene annoverato tra i cambiamenti esterni che favoriscono una rinegoziazione dei rapporti di forza nel campo letterario contemporaneo. La rete offre ai «nuovi entranti» dei tardi anni ’90 ciò di cui hanno maggiormente bisogno, «un mezzo per scavalcare mediazioni che in quel momento sono in mano ad altri»[17]. I siti letterari e i litblog sono diventati un veicolo importante di testi inediti e di libri del passato; le riviste letterarie attuali catalizzano il dibattito online molto più e spesso molto prima che su carta. I nuovi rapporti di forza presenti nella critica letteraria online hanno determinato un arricchimento del dibattito critico e un rinfocolarsi della critica militante, che fa da contraltare alla perdita delle poetiche “in senso forte”[18]. «Il panorama era fluido – scrive Andrea Inglese –, democratico, caotico, competitivo e si stava tutti entrando nell’epoca spossante dell’autopromozione permanente [soprattutto online]. Anche una sciagurata e universale abitudine come l’autopromozione – che ovviamente non riguarda solo il piccolo mondo della poesia – ha prodotto qualcosa di positivo. Essa ha incitato all’autonomia. In Italia, quindi, una nuova area della poesia –chiamiamola approssimativamente – di ricerca si è precisata attraverso un faticoso fare da sé»[19]. L’autopromozione, strettamente connessa al web e oggi ai social, si rivela un arma a doppio taglio, a causa della complessa e torbida orizzontalità di questi media. In questo intricato panorama, nel quale «non esistono un canone, una poetica dominanti», la poesia si trova al di fuori delle logiche di mercato, ma è ormai priva anche dei propri tradizionali organi di garanzia; da qui deriva il suo status di lateralità. Il panorama poetico è più confuso e indecifrabile, rispetto al passato, e la critica di poesia è ormai simile a una «batracomiomachia». Alberto Bertoni spiega di riscontrare «una sincera propensione al dialogo» nelle opere degli ultimi autori, accompagnata da un forte calo della «passione combattiva» e dal conseguente prolificare di libri di livello medio, in un modo che è definito «orizzontale». Queste opere sono sintomatiche di una fase nuova e fertile per la poesia, per quanto non ancora del tutto visualizzabile: «la ricchezza del quadro sta proprio nella sua provvisorietà costitutiva, ora nel marché aux puces ora nella fantasmagoria di stili, lingue, aggregazioni generazionali o simpatetiche, avventure esistenziali, transfert psichici, visioni del mondo, ideologie, accenti, credenze… E dunque, per quanto dichiaratamente parziale e di comodo, a pensarci bene nella segnalazione di un unico libro a persona […] vige un principio democratico non troppo – poi – trascurabile»[20]. Il curatore, quindi, rivendica la propria fiducia nell’eticità dell’operazione critica come strumento di salvaguardia della poesia; «se le grandi strade sono interrotte, restano infatti da tracciare i sentieri»: così si conclude l’IntroduzioneTrent’anni di Novecento; se definire un canone e identificare tendenze nella poesia degli ultimi trent’anni è impossibile, non ha più senso neanche sottolineare la presenza di una tradizione, poiché «la tradizione può venire a questo punto considerata un catalogo testuale da sfogliare o da ricombinare senza che sia in grado di offrire alcuna resistenza problematica, strenua, ai tentativi di citazione strumentale o di manipolazione ‘debole’»[21].

Per completare il quadro delle innovazioni antologiche dell’ultimo quindicennio, vanno considerate due antologie programmatiche o militanti come Prosa in prosa (Le Lettere, 2009) e Poeti degli anni Zero (numero monografico de L’illuminista, Ponte Sisto, 201o): per il dibattito che hanno suscitato e per l’interpretazione del presente che propongono, questi due libri hanno plasmato il campo nel quale un futuro antologista si troverà a lavorare. Vincenzo Ostuni nell’introduzione a Poeti degli anni Zero scrive:

In primo luogo, si sono esclusi, forse con qualche rigore di troppo, rappresentanti del sempre risorgente fenomeno del poetese, per usare un termine caro a Sanguineti: quella sorta di koiné elegiaca, suicentrica, che populisticamente (di fronte a quale popolo, poi?) proclama di fondare la vitalità dell’arte poetica non già sulla tecnica e sulla materialità della scrittura, bensì sulla pretesa del poeta – ultrapostumo vate – di attingere direttamente a verità profonde, preferibilmente semplici o a volte insondabilmente oscure, ma comunque prive di ogni pur tenue capacità di spostamento delle attese, o anche solo di una minima sorpresa cognitiva o formale. Una metafisica del poeta (più che della poesia) che ha trovato nella generale celebrazione del tramonto delle neoavanguardie – fra gli anni Settanta e gli anni Novanta – un fecondissimo brodo di coltura. Bando dunque, per usare le parole di Enrico Testa, ad autori che si pongono entro gli angusti confini della “mitografia della figura dell’autore”– confini entro cui calza intera una certa dimessa elegia del quotidiano, forma perniciosa di preterizione narcisistica.

Certamente una poesia che risponde alla descrizione di Ostuni è una poesia di bassa qualità, visto che non è in grado di produrre «una minima sorpresa cognitiva o formale»: nessuno si aspetta che un’antologia selezioni e presenti poesie di bassa qualità. Per quanto riguarda la «mitografia della figura dell’autore», l’organizzazione stessa per autori dell’antologia finisce per costruire un paradosso, per incentivare, sostenere, coltivare un’immagine dell’autore centrata sul suo genio; l’autore si trova al centro dell’attenzione in quanto autore, con tanto di bibliografia e di testimonianze. Che le tematiche plurioggettive di ricerca sulla metafisica, sulla ricapitolarizzazione scientifica dell’universo, sull’uso e abuso dell’oggetto-significante, e delle figure retoriche come l’allegoria, l’anacoluto, l’anafora, l’antitesi e l’anticlimax ecc. siano o meno gli attrezzi d’officina adoperati dal poeta, questo è prerogativa dell’homo faber e di come egli si colleghi con la realtà.

La poesia in prosa è un fenomeno da far risalire almeno all’inizio dell’Ottocento; la sua espressione moderna è generalmente ricondotta alle opere di Bertrand (Gaspard de la nuit, 1842) e di Baudelaire (Spleen de Paris. Petit poèmes en prose, 1864). Nell’antologia del 2009 non si parla di poesia in prosa, ma di prosa in prosa. La costellazione teorica alla quale si appoggiano gli autori in questione è costituita da critici francesi o americani che discutono forme di post-poesia: Jean-Marie Gleize, Christophe Hanna, K. Silem Mohammad, Emanuel Hocquard. L’espressione prosa in prosa, infatti, è un calco da «prose en prose», usato da Gleize nel contesto francese. Guardando più indietro, un autore considerato archetipo sia da Gleize sia da molti italiani è Francis Ponge. In Prosa in prosa non ci sono indicazioni esplicite riguardo alla curatela, tuttavia l’interpretazione critica dell’antologia è affidata a Paolo Giovannetti, autore del saggio introduttivo, e ad Antonio Loreto, che firma le note di lettura finali. Emerge l’idea che la poesia come espressione della propria soggettività, formalizzata attraverso il ricorso a convenzioni metriche, sia un fenomeno superato. Sempre Ostuni in Poesia degli anni Zero parla di poesia «uscita fuori da sé», di «risorgenza della poesia in prosa, o meglio (i coinvolti tengono molto alla distinzione) della “prosa in prosa”, titolo dell’altro “fuoriformato” che ha avuto il merito di portare il fenomeno alla piena attenzione degli addetti». Fra gli esperti del sottogenere, o del non-genere, ci si divide sull’appartenenza di questo alla prosa o alla poesia, ma al di là di questioni nominalistiche, queste prose sembra che siano «poeticamente apparentabili alla poesia»[22]. Gianluigi Simonetti fa rientrare il fenomeno della «prosa in prosa» nel processo di scadimento del linguaggio poetico novecentesco che coinvolge anche autori tradizionalmente non considerati “di ricerca”, come Anedda, Dal Bianco, Benedetti: «ciò che rende esemplare, nel contesto attuale, la “prosa in prosa”, è il suo porsi come frontiera di una precisa volontà di dimissione dal poetico: da una non-poesia a una postpoesia. Né sublime né dimessa, la “prosa in prosa” sperimentale fa quindi riferimento a una genealogia parallela e alternativa a quella della poesia in prosa, ne riscrive la storia. […] Tutto, purché non sia poesia quel che si sta scrivendo.»[23]. L’idea di fondo è che sia impossibile la poesia nel mondo contemporaneo, che la poesia-poesia sia da liquidare puntando su forme artistiche integrali, ricercando un contatto tra il supergenere della lirica con uno o più sottogeneri (diario, aforismi, saggio breve, catalogo, ecc.): «il progetto di un’ibridazione che superi i limiti e le sclerosi del supergenere»[24].

Apparentemente, oggi chi legge con consapevolezza la poesia e la ricerca, grazie ad Internet, ai social e le nuove piattaforme di comunicazione, ha tutti gli strumenti per potersi avvicinare agli autori di cui necessita senza bisogno di mappature, del lavoro di un critico demiurgo. Ancora (re)esistono alcune riviste cartacee (poche) di poesia ed anche case editrici importanti, le cui ultime uscite, però, non sono più considerate prevaricanti in confronto alle case editrici minori. Autori, magari validi ma poco trattati e discussi, come quelli usciti recentemente per la collana «Lo Specchio» (Vitale, Pellegatta, Bernini, Bona, Ruffilli) testimoniano un probabile declino di autorevolezza di una casa editrice come la Mondadori in ambito poetico, stesso discorso vale per la collana “Bianca” Einaudi; nonostante sia indubbio la forte impronta canonizzante che alcune operazioni editoriali promosse da queste, penso ad esempio alla pubblicazione di Tutte le poesie di Milo De Angelis e di Biancamaria Frabotta per «Lo Specchio», o di Mario Benedetti per «Gli Elefanti» Garzanti, ma anche la “riscoperta” di alcuni grandi autori misconosciuti grazie alla ripubblicazione come Luigi Di Ruscio e Ferruccio Benzoni per Marcos y Marcos, Remo Pagnanelli e Gabriella Sicari per Donzelli. Allo stesso modo, sul versante della poesia di ricerca, autori come Giovenale, Ostuni, Inglese, Menicocci, Bellomi, Teti, restano nomi che non hanno spinto il loro discorso di ricerca oltre la cerchia: «nel panorama dove l’idea di canone e di genere divengono sempre meno influenti – scrive Maria Borio –, le nuove voci emergono in modo irregolare, come se la catena che aveva connesso generazioni di autori, in accordo o in dissonanza tra loro, fosse andata recisa. Gli autori seguono percorsi sempre più isolati gli uni dagli altri. […] Ci troviamo davanti a campi letterari che ridefiniscono la funzione delle poetiche, dei generi e del canone, la rendono più complessa, e danno un volto nuovo al modo di concepire, sia nell’atto creativo sia nell’atto della divulgazione, le forme della letteratura»[25]. Entro questa prospettiva, il canone, qualora si consideri il rapporto d’uno scrittore e un lettore con «quanto è stato preservato di ciò che è stato scritto», e dimenticandone l’accezione di «elenco di libri per gli studi d’obbligo», potrà essere visto «come identico con la letteraria Arte della Memoria». Più difficile comprendere bene, invece, il significato di valore estetico come risultato di una «lotta tra testi», e quello di canone come «ansia compiuta»[26].

 

 

Bibliografia

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[3] Franco Fortini, I poeti del Novecento, Roma, Donzelli 2017.

[4] Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento, Torino: Einaudi 1969. 2 voll.

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[7] Alfonso Berardinelli, Il critico senza mestiere, Milano, Il Saggiatore 1983.

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[9] Fabio Chiusi, intervista a Maurizio Cucchi, L’Italia, il Paese con tre milioni di poeti, in «L’Espresso», 1 gennaio 2017.

[10] Giorgio Manacorda, Manacorda: la poesia italiana oggi, in «Rai Cultura Letteratura».

[11] Valerio Cuccaroini, Tutti i generi della poesia contemporanea, in «Minima&moralia», 30 giugno 2017.

[12] Eugenio Montale, Il piccolo testamento, da La bufera e altro, citato da Guido Mazzoni, Sulla storia sociale della poesia contemporanea in Italia, in «Le parole e le cose», 11 dicembre 2017.

[13] «Le mappe non sono più possibili, che i raggruppamenti e le sigle sono impraticabili»

Giulio Ferroni, Introduzione, in Ciro Vitiello, Antologia della poesia contemporanea. (1980-2001), Napoli, Pironti 2003, p. 16.

[14] Ben Lerner, Odiare la poesia, Palermo, Sellerio 2017, pp. 55-56.

[15] Pier Vincenzo Mengaldo, La critica militante in Italia, oggi, in «L’ospite ingrato», 2004, pp. 55-63.

[16] Gian Mario Villalta, Cartina muta (Esercizi di cartografia), in «Alfabeta2», 20 gennaio 2019.

[17] Francesco Guglieri, Michele Sisto, Verifica dei poteri 2.0. Critica e militanza letteraria in internet (1999-2009), in «Allegoria», n.61, (gennaio-giugno 2011), pp. 153-174. 

[18] Claudia Crocco, Le antologie di poesia italiana del XXI secolo, in «Le parole e le cose», 13 luglio 2017.

[19] Andrea Inglese, Brevissimo trattatello sull’opportunità o meno di certe categorie teoriche e critiche per comprendere, discutere, fare della poesia (???) contemporanea, in «Nazione Indiana», 22 ottobre 2015.

[20] Alberto Bertoni, Trent’anni di Novecento. Libri italiani di poesia e dintorni. 1971-2000, Ro Ferrarese, Book Editore 2005, p. 6.

[21] Ivi, p. 16. 

[22] Vincenzo Ostuni, Poeti italiani degli anni Zero, in «L’illuminista», Roma, Edizioni Ponte Sisto 2011. p. 21.

[23] G. Simonetti, La letteratura circostante, Bologna, Il Mulino 2019, pp. 215-216.

[24] Ivi, p. 217.

[25] Maria Borio, op. cit., pp. 239-240.

[26] Harold Bloom, L’angoscia dell’influenza. Una teoria della poesia, Milano, Abscondita 2014.