Sonnologie di Lidia Riviello
Roberto Milana
Solo pochi poeti sanno veleggiare conradianamente nella nuova apocalisse, uno è Lidia Riviello.
La sua scrittura poetica risalta per la tensione adulta dei temi, la ludica serietà del linguaggio e il coraggio di affrontare il rischio e il mistero dell'innovazione. Inoltre presenta una specie di oscurità naturalistica con blocchi sintattici di forte evidenza referenziale vaganti su una base discorsiva amniotica che non s'addensa mai se non a ritroso, a libro chiuso, nell'animarsi immediato della memoria «... da un'ora non si hanno notizie di nessun mondo/deposta la gola del ragno nell'intimità del tunnel/si organizza un'ultima hola/ i clienti non fanno gli orli sul nero/ adorano riflettersi sul quadro/elettrico nelle punte di giallo sul finire...» Pezzi di svuotate realtà, tranci di sentimento freddo, dolori afoni subiscono un trattamento prelinguistico di psicologia sociale, registrando una cronaca del nuovo danno umano. Riviello adopera l'inchiesta letteraria pasoliniana a lacerti antropologici, la spoglia dei lirismi religiosi e ideologici lasciandole l'intimo della pudica passione conoscitiva, un procedimento reso attraverso le terapie linguistiche dell'avanguardia intorno alla nevrosi necessaria del testo e ai suoi sintomi, gli incongrui e molteplici moti della significazione «...non oltrepassare le linee gialle posa il montone vinto all'ikea lascia il /posto ai vivi come ai morti...». Ma i gesti espressivi della Riviello negano la riconoscibilità dello sforzo introspettivo e della tecnica, come quelli atletici dei puri talenti sportivi, e presentano una naturalezza fisiologica come fossero necessità feriali. Raccontano una realtà oltre, un territorio post onirico, un Cipango contemporaneo abitato da spaesati clienti vittime di nuove e più perverse tecniche di alienazione e dove la Riviello si muove naturalisticamente con una corporalità militante, coi sensi scientificamente accesi in un prevalente pensiero sguardo, scrivendone poi un diario poetico e politico «...una volta si sognava senza produrre...l'istituto chiede di amministrare mitologie utili per questo sistema...».
La struttura epigrammatica fa somigliare il testo a uno zibaldone di prime riflessioni prodotte dal lavorio di raffreddamento dell'indocile spinta empatica ormai tipica del caldo e trasognato mondo poetico della Riviello. La strumentazione è ampia: il tono alto, ufficiale del genere, la sintassi rappresa intorno alle circoscritte frasi, il lessico attinto dai registri più referenziali, tecnologismi, attrezzerie quotidiane, spunti semantici commerciali e artigianali, precisione familiare del morfema, testimoniano una natura sostantivata del linguaggio di poca manipolazione aggettivale. E senza paura dei frequenti polisillabi da cui spreme una musicalità imprevista muovendo frazioni della parola « una manipolazione in superficie/sotto la quale il sonno non è assicurato». Un'altra barra di raffreddamento è la trattenuta ironia che vela l'emozione della denuncia, una specie di accoglienza superiore delle diverse forme del danno umano, affidando al verso più sottili e interessanti sensi politici «una quantità indeterminata di uomini perde peso/ dentro la macchina,/ gli stessi perdono alla schedina, gli stessi perdono un modo/ un potere di indeterminazione/ che li rese lieti quando capitava di ballare in forma di squalo».
Clienti...mercanzia onirica...pareti di vetroresina ...elementi di un commercio globale dell'anima attraverso forme di raggiro subliminale, di controllo iconologico, di visioni indotte con pratiche di comunicazione personalistica continue simili ai chip sottopelle, in un' economia del più classico sfruttamento marxiano che si cristallizza nel sonno «...sull'uso e non sul significato dei sogni lavorano incessantemente/ sottotitolando misticamente il profitto, freddano nel moto infranto/la questione animale/ nella propria deità stordita...» oppure «...possiamo allora /dormire lunghi sonni privi di volontà e rappresentazione...».
Quella freudiana è ormai un'archeologia, sogni e inconscio umanesimo novecentesco, qui ormai si trattano crudeli e asettici plagi dalle forme farmaceutiche svolti nelle sedi biochimiche ormai sguarnite di senso critico e di coscienza e poi però patiti nei corpi ceduti, magari aggraziati con tatuaggi impiegatizi, all'invisibilità finanziaria. Riviello come una piccola ghostbuster colpisce oltre la trasparenza onirica industriale le catene effettuali di una schiavitù sempre più invalidante che riduce gli uomini a seriosi ebeti clienti pronti ad assumere dosi di immaginario malato. Fino all'accettazione di quella specie di tragico trenino allegro, esemplare della robotica di Sebastian Thrun, che senza guida umana, espulso il lavoro come gesto identitario, ci porterà ad una pigra e stupidamente condivisa fine dell'uomo sensibile che abbiamo fin qui interpretato «dentro la cabina di guida/resta accesa la mail di sebastian thrun quando il cliente disorientato/ cade/ si riavvolge nelle ripetizioni,/ la metropolitana leggera si ferma nelle natalità scintillanti...»
Lidia Riviello, Sonnologie, Genova, Zona, 2016